Leggo in un articolo di Stefania Vitulli su “Il Giornale” che gli scrittori italiani di fantasy nascondono occupazioni parallele insospettabili. Il punto è che non si parla di scrittori da poche centinaia di copie, ma di autori di punta delle grandi case editrici, dalle grandi tirature e grandi vendite, anche all’estero. Da Licia Troisi, due milioni di copie e ricercatrice all’Università di Tor Vergata, a Roberta Rizzo, due milioni di copie solo in Italia e tradotta in 20 paesi, giornalista di nera che dichiara di scrivere di notte e nei giorni di riposo.
Penso che la questione non riguardi soltanto gli scrittori di fantasy. Le biografie degli scrittori di best seller italiani rivelano magistrati, architetti, docenti universitari, giornalisti, conduttori televisivi, e chi più ne ha più ne metta. In più, la professione dell’autore è strombazzata in copertina, come per dare prestigio al testo. Come se la parola di uno che si definisca “solo” scrittore non susciti sufficiente interesse.
All’estero non è così. Ve l’immaginate Stephen King insegnare ancora in un liceo, e magari a un ricevimento dei genitori fare prima il resoconto dei risultati scolastici di uno studente e poi dedicarsi agli autografi? O John Grisham ancora in tribunale? Nathalie Kuperman, autrice francese poco nota in Italia, dopo il primo best seller ha dichiarato che, finalmente, poteva lasciare il lavoro per dedicarsi unicamente alla scrittura. Viene da pensare che sia una questione culturale. Che, insomma, scrivere libri, in Italia, venga percepito come qualcosa che abbia più a che vedere con il tempo libero che con il professionismo. O che magari il mestiere della scrittura sia considerato troppo “precario” per un Paese ancora saldato fermamente al culto del posto fisso.
Love this blog.
barbara secondo te leggere troppo (mi riferisco ai classici della letteratura internazionale) uccide la creatività di uno scrittore o ne amplia gli orizzonti?
rileggendo ciò che ho scritto mi rendo conto che alcune parti del mio libro ricordano alla lontana libri che ho già letto in passato e questa cosa mi irrita molto,mi sento quasi un copione, anche se magari lo stile è completamente differente,secondo te è il risultato di un normale processo di assimilazione o semplicemente il risultato di una mente poco originale?
scusa la domanda un pò marzulliana,ma sono curioso di sapere cosa ne pensi.
Ciao Conan e scusa il ritardo con cui ti rispondo, ma è stato un periodo in cui sono stata impegnata e non sono mai riuscita ad aprire il blog. Penso che leggere non sia mai troppo, e per uno scrittore sia fondamentale per allargare le proprie fonti di ispirazione, non dico per copiare, anzi, per far saltar fuori ancora di più la propria unicità. Perché leggere è vivere in mondi paralleli, e più tempo trascorriamo “via”, più l’immaginazione viene stimolata. Allo stesso tempo, penso che anche in scrittura, come nelle altre forme d’arte, non ci sia nulla di male nell’avere delle similitudini con altri artisti che ammiriamo. La cosa penso scaturisca spontaneamente.
barbara condivido quello che hai scritto,anche se trovo strano che tu abbia trovato folgorante il primo capitolo del libro di giordano, io l’ho trovato penoso.
per il resto concordo su tutto, con la cultura “alla maria de filippi” che c’è in italia di certo non si sbanca con i romanzi raffinati,complessi e di introspezione… se uno vuole sbancare in italia come dici tu basta farcire una storiella d’amore con dentro un centinaio di cattiverie e parolacce e avrà sicuramente successo.
In fondo l’italia si sta avviando ad un processo di analfabetizzazione che ha avuto inzio in america, dove dalle elementari all’università si fa tutto con i test a crocette e spesso si arriva alla fine della scuola superiore senza saper leggere nè scrivere, basta mettere una x sul test…assurdo.
come dicevamo, anche nella cultura usa che su tante cose sono più avanti di noi c’è un rovescio della medaglia
barbara volevo anche chiederti di cosa ne pensi dei libri di Moccia o della solitudine dei numeri primi di Giordano, te lo chiedo perchè con i loro libri non sono riuscito a superare la trentesima pagina,li trovo orrendi,sia dal punto di vista della storia,sia dal punto di vista della caratterizzazione dei personaggi,sia dal punto di vista della scrittura,mi chiedo come abbiano fatto a vendere milioni di copie, secondo te è possibile che delle campagne di marketing oculate riescano a “occultare” il valore intrinseco di un libro? spingendo tutti a comprare non perchè il libro sia bello ma solo perchè è la moda del momento? (mi riferisco in particolare al libro “la solitudine dei numeri primi”)
Purtroppo non ho letto né i libri di Moccia, né il libro di Giordano. Lo dico candidamente, e non per levarmi d’impaccio in maniera facile e un po’ ipocrita. Del libro di Giordano ho letto il primo capitolo e l’avevo trovato folgorante, ma tutto qui. Per quanto riguarda Moccia non sono una di quei detrattori a tutti i costi. Dal punto di vista strettamente di mercato penso che Moccia abbia intuito prima di altri la potenzialità del linguaggio giovanile (e giovanilistico, perché no) e abbia parlato a una generazione che non si sentiva rappresentata. Ovvio che per me magari non sarebbe una lettura adatta, a parte il fatto che non sono più adolescente da un pezzo, mi sono formata sui classici del Romanticismo, a diciassette anni leggevo Marguerite Duras e Virginia Woolf. Per me la letteratura deve stupire, meravigliare. Ci sono libri e film per ragazzi che mi fanno sognare. Sui “numeri primi” ho visto una grande operazione di marketing, di cui l’esito però non era affatto scontato. Il titolo è fenomenale, la copertina pure, uno stile che ha segnato l’epoca. Ovvio che ha influito per molti al momento dell’acquisto. E comunque ci sono molte persone a cui il libro è piaciuto moltissimo (come una mia cara amica a cui piacciono anche i miei libri). E in ogni caso credo che qualsiasi opera di intrattenimento, per raggiungere un pubblico vasto, debba fare i conti con una certa semplificazione. Se ti rivolgi alla nicchia degli appassionati della buona scrittura (e magari della buona caratterizzazione dei personaggi), non puoi sperare di “sbancare”. Ma il discorso è talmente complesso… Non so nemmeno se esista un “valore intrinseco” di un libro. Penso che un libro possa essere adatto ai suoi tempi e ai lettori che caratterizzano questi tempi in virtù di tante, tante caratteristiche.
ciao barbara, so che hai avuto molto successo come scrittrice ( non ho letto nessuno dei tuoi romanzi perchè non sopporto il genere “fantasy” spero non te la prenderai), quando hai iniziato a scrivere romanzi prima di arrivare al successo chi ti circondava e soprattutto la tua famiglia credeva in te, ti incoraggiava o eri vista come “uno dei tanti che ci prova” ?
te lo chiedo perchè ho fatto una piccola pazzia, ho lasciato un lavoro sicuro per dedicarmi completamente alla scrittura cosciente del fatto che non possiedo particolari doti, nè “conoscenze”, nè forse un livello culturale adeguato e che probabilmente farò la fame, ho 34 anni,sono in quella fase della vita in cui i sogni lasciano il posto ai bilanci di una vita, un’età in cui molti sono già affermati in una professione “sicura”, io sto iniziando tutto da zero e ancora non ho avuto il coraggio di dirlo a nessuno, temo di essere deriso, di essere preso per un illuso, quello che mi terrorizza è di sentirmi talmente condizionato dal giudizio altrui da perdere fiducia in me stesso ,da perdere la creatività, quando gli altri mi chiedono cosa faccio ora nella vita non so più cosa rispondere,ho paura di cadere nel ridicolo, tu cosa mi consigli?
quando qualcuno mi chiede che mestiere faccio per vivere e glielo dico, poi li sento ribattere: “no, intendo il lavoro vero”. a volte è frustrante. come hai detto giustamente tu, in italia è visto come inconcepibile il mestiere del narratore. anzi, estendiamo pure il concetto: è visto di malocchio qualsiasi mestiere che non sia considerato una maledizione. se fai un lavoro che ti sei scelto e che ti soddisfa sei considerato un bugiardo o un illuso. quando ho cominciato a pubblicare libri non ho potuto contare sull’appoggio economico di nessuno. nella mia vita ho fatto ogni genere di lavoro, e durante la stesura dei primi romanzi addirittura avevo tre lavori part-time per riuscire a sopravvivere. ho avuto il sostegno di persone che mi hanno dato buoni consigli, questo sì. perché a sentire le campane di tutti dopo un po’ non ci si capisce più niente, e a farsi influenzare da chiunque si finisce per non accontentare nessuno. 34 anni mi sembrano il momento giusto per scegliere cosa si vuole davvero dalla vita, ma la scelta di abbandonare un lavoro pagato degnamente prima che la scrittura ti garantisca la sussistenza mi pare comunque azzardato, perché è un investimento a lungo termine. poi il discorso è complesso, c’è chi ce l’ha fatta con un libro solo. nessun problema per i tuoi gusti in fatto di lettura, che mi paiono sacrosanti. comunque se sei curioso di leggere qualcosa ho postato dei brani tratti dai miei libri nel mio sito http://www.barbarabaraldi.it
lo scrittore è stato sempre considerato un sognatore che impegna il suo tempo libero dal “vero lavoro” per scrivere, basta prendere in mano un libro di hermann hesse o di dostoevskij per vedere che anche alle loro epoche sia in germania che in russia lo scrittore era considerato poco più di un perditempo,anche dai familiari dello scrittore…
la realtà è che ben pochi sono scrittori per vocazione, la maggiorparte di chi scrive lo fa sperando di diventare ricco e famoso, dei pochi che scrivono per vocazione una bassissima percentuale scrive dei grandi romanzi che emoziona diverse generazioni di lettori, quanti stephen king ci sono al mondo?
scrivere diventa una professione solo per le pochissime persone sulla terra che sono realmenti ispirati dalla musa,che riescono ad emozionare con i loro romanzi,che riescono a volte anche ad influenzare i loro lettori da cambiarne il pensiero,arricchirlo,sconvolgerlo,completarlo.
Ciao Conan, non potevi esprimere meglio il concetto… e sono assolutamente d’accordo con te. Grazie per l’intervento!
Dani, non credo affatto che sia qualunquismo, ma la realtà. I cambiamenti nella società non avvengono mai repentinamente, ma penso che cominciare a parlarne seriamente possa aiutare ad abbattere questi assurdi pregiudizi. Sogno un’Italia in cui il livello artistico e culturale si eleva al pari di ciò che avviene nel resto d’Europa, senza aspettare manne dal cielo ma cominciando a lavorare duro nella qualità e rompendo le balle ogni volta che qualcuno dice che fare l’artista (in qualunque campo) non è un lavoro. Per me è un lavoro qualsiasi cosa ci dia da vivere.
La verità anche se sembra una opinione qualunquista, è che semplicemente in Italia l’arte in generale non viene intesa come professione. Nell’opinione pubblica l’artista non è un professionista, a meno che non sia proprio arcinoto a livello nazionale e se possibile anche oltre.
I “professionisti”sono gli avvocati, i notai, gli idraulici, i giornalisti, i dentisti, gli ingegneri…
Il committente approfitta di questa mentalità, spesso la ha proprio e chiede professionalità, ma questa non è sempre valutata in modo adeguato nè ricambiata con altrettanta professionalità da parte loro.
Altrimenti ad esempio tutti gli editori riconoscerebbero delle percentuali quantomeno decenti sempre e comunque, e lo stesso varrebbe per galleristi e clienti con cui si ha a che fare, locali, enti ecc.
Questo è valido sia nella scrittura che in altri ambiti artistici, aggravato dal fatto che c’è chi si svende per “avere visibilità”, chi paga per essere pubblicato ecc. comportamenti che danneggiano anche chi privilegia la professionalità.
Ciò porta automaticamente minori guadagni e pregiudica la possibilità che si possa anche con molto impegno vivere della propria arte.
Naturalmente, non è secondo me una nefandezza il fatto che se costretto, uno scrittore faccia un altro lavoro: grandi scrittori anche del passato e non solo italiani facevano altri lavori senza che ciò pregiudicasse la qualità delle loro opere e hanno visto riconosciuto il loro valore anche dal punto di vista economico solo tardivamente o come spesso accade, pure dopo morti (cosa che ovviamente non auguro a nessuno). Diciamo piuttosto che sarebbe giusto e bello che ciò non accadesse, ma che la realtà nella maggior parte dei casi è cosa ben diversa.
direi che hai centrato perfettamente il bersaglio. Purtroppoè una situazione che lascia poco spazio per dibattiti civili..a volte è questione di sopravvivenza e la maggior parte di ‘artisti improvvisati’ se non addirittura sedicenti tali solo in nome di qualche appoggio compromette la permanenza sul mercato di altri che della loro arte ci vivono. questo non esclude la passione, tutt’altro. ma’fare gli artisti’ inqualsiasi campo nel nostro paeseè una cosa per…chi non deve lavorare…
Thx, e scusami per l’invasione di campo…argomento ghiotto…
Non solo gli scrittori fantasy…io lavoro professionalmente nell’editoria da 20 anni e malgrado abbia pubblicato più di 60 romanzi non posso, come vorrei, limitare la mia attività alla sola scrittura. Traduzioni, consulenze, revisioni fanno parte della mia attività professionale e non potrei vivere decorosamente senza. è la nostra realtà di ‘non ‘ raccomandati. Però conoscere tutti gli aspetti del lavoro editoriale è anche utile. Se non altro ti aiuta a capire come funzionano certi meccanismi. le assegnazioni dei premi per esempio… ma questo è un altro discorso.Poi c’è il lavoro di autopromozione che o te lo fai tu o ciccia. Se dovessi prendere solo 200 euro lordi per ogni presentazione evento, lavoro di promozione(che faccio giornalmente come sai e fai anche tu) sarei a posto.
ma che vuoi fare? Già tanto avere queste possibilità.
Buon lavoro,Barbara…hai il talento e la volontà richiesti da questo lavoro. e non è poco, ti assicuro.
Stefano, credo il tuo caso sia proprio quello a cui dovrebbero tendere tanti colleghi, o presunti tali. Scrittura che è professionalità, e dietro la quale c’è un lavoro quotidiano di ricerca, di informazione, di lavoro sulla scrittura, non un dopo-lavoro, né tantomeno un hobby. Comunque nell’articolo cito esclusivamente gli scrittori di best-seller, gente che ha venduto milioni di copie. Davvero costoro hanno bisogno di un secondo lavoro (o per loro il secondo lavoro è la scrittura)?
il problema è che(e qui mi riferisco a diversi autori italiani che più o meno improvvisamente son odiventati dei best sellers)ci sono dei proffessionisti in altri campi che hanno buone connessioni che hanno permesso loro di arrivare all’editoria ben appoggiati e con la sicurezza che il loro lavoro venisse sostenuto al momento delle prime uscite. Una volta che un autore viene percepito come di successo la promozione diventa ovviamente più facile. Chi sono? be’ scriviamo thriller, una piccola indagine ci porterà alla verità… per poco edificante che sia.
che poi magari uno sia anche bravino a scrivere sicuramente aiuta ma per imporsi nel mercato editoriale non rappresenta la caratteristica fondamentale.
scusa Barbara ma intervengo ancora dopo un breve pensamento. L’argomento che sollevi è molto interessante tanto che lo ripropongo sulla mia bacheca in FB.Tocca un discorso che si faceva ieri sera alla presentazione di Vendetta e che ha interessato anche alcuni ragazzi del liceo dove ieri mattina siamo andati con Altieri a parlare di editoria. Fare il ‘ narratore’ è un mestiere a tempo pieno. Sicuramente c’è qualcuno che è così bravo da poterlo fare nei ritagli di tempo dopo aver passato una intera giornata a costruire ponti, ad arredare case, a giudicare in tribunale o anche a curare gente malata(spero almeno che durante questo primo lavoroche gode del suddetto rispetto e stima della società non pensi alle sue storie ma ‘faccia’ il suo lavoro), però…ecco il mio pensiero è che forse questo qualcuno scrivere libri dovrebbe farlo per diletto. Non so… se mi appassionassi alla chirurgia non è che aprirei uno studio medico abusivo magari creando dann ia medici ‘ veri’. Lo stesso dicasi se avessi la passione di fare il pane, non aprirei una panetteria a fianco del mio prestinaio. Forse il mio discorso non è chiaro ma Milano si dice ‘ Ofelè fà il to mestiè’ o qualcosa di simile.
discussione comunque interessantissima.
Chiarissimo, e pienamente d’accordo con te…
ciao, io sono un piccolo emergente, ho appena pubblicato il mio terzo romanzo e probabilmente ne pubblicherò altri, li scrivo, cerco un editore che reputo interessante e che non chieda denaro e spedisco, senza raccomandazioni e facendo dello scrivere e dell’inventare una vera ragione di vita, ma pur sempre secondaria visto che al momento vendo poco e solo a livello locale.
Premessa per dirti che sarebbe bellissimo dedicarsi solo allo scrivere, ma credo sia per la maggior parte degli scrittori impossibile, compresi quelli di cui parlava Barbara.
Il nostro povero paese non sa più cosa sia la cultura, e ha sempre meno risorse, punto uno.
Mio problema personale … se io scrivessi tutto il giorno e non facessi il mio lavoraccio di strada ( sono un poliziotto) tante delle idee e delle emozioni che ricostruisco nei miei romanzi probabilmente non sarebbero così immediate.
Per me la realtà è indispensabile per creare, per ora la vedo così.
In ogni caso mi reputo anche uno che scrive per diletto, per passione, per divertimento, anche perché non credo di essere mai stato un professionista in nulla, troppo approssimativo.
ciao
Sono pienamente d’accordo con te, Max: vivere è indispensabile per creare! Allo stesso tempo, penso che una delle prerogative di uno scrittore sia quella di vivere ciò che scrive, di respirarlo tramite ricerca, interviste, indagini, anche sulla vita.
Credo che dipenda anche dai guadagni che gli autori percepiscono dai libri venduti. Ovviamente non posso dirlo per esperienza personale ma, visto il numero di lettori in Italia, forse scrivere non rende a sufficienza per poter vivere senza un secondo lavoro.
Poi, se non sbaglio, all’estero molti autori famosi, oltre alla classica percentuale sul prezzo di copertina, percepiscono anche un quid per parola scritta (non a caso c’è la moda dei tomi da 900 pagine in sù… o delle trilogie, quadrilogie, multilogie… si dirà così?).
Senza contare che, probabilmente, sempre per il motivo che ci sono pochi lettori forti , la “Personalità”, la “Professione importante”, il “Volto”, servono ad attirare eventuali lettori occasionali. Per ciò le professioni e l’immagine degli autori vengono… usate a mò di calamita.
Probabilmente è un mix di tanti fattori. Boh, Mah, Chissà!
(oggi il pensiero va a ruota libera, per cui chiedo perdono se scrivo in maniera forse sconclusionata).
Ciao Glauco! Le tue considerazioni sono impeccabili. Ma il mio discorso non è in generale, ma limitato agli autori di best-seller. Gente che ha venduto più di 100 mila copie, insomma, e che ha ricevuto una percentuale sul prezzo di copertina per ogni libro venduto. Ingaggeresti un avvocato che esercita nel tempo libero? Ti lasceresti giudicare da un giudice per hobby? Ti affideresti a un medico che lo fa come secondo lavoro?
Quando acquisto un libro, mi “affido” all’autore, e dedico il mio tempo libero alla lettura di ciò che ha scritto.
Oddio, se è vero il “tariffario” che ho visto girare in una casa editrice da me ritenuta importante, allora un secondo lavoro non mi basta, c’è bisogno di un terzo e pure di un quarto.
Non è che le percentuali sul prezzo di copertina siano alte, ma su milioni di copie…