“Siamo a Milano. La Milano degli anni ottanta che si odia o si ama, adesso come allora, senza vie di mezzo. E loro sono una macchia nera tra gente colorata, intolleranti a conformismi ed etichette, compresa quella con cui finiscono per essere conosciuti: dark.”
Questo libro è un viaggio in un’epoca e in una cultura. Un viaggio attraverso testimonianze di vita vissuta, quasi fiabe nere di un’ Italia che non c’è più. I giovani alternativi di ieri, così diversi e al tempo stesso così simili a quelli di oggi. Sognatori e randagi alla ricerca di un’identità collettiva, arrabbiati ed esteti.
Ho letto Creature simili tutto d’un fiato, con un senso di gratitudine verso chi ha aperto la strada e fondato a Milano le radici di una subcultura che sin dalla più tenera età ho riconosciuto come mia. Vengo da una generazione successiva, è vero, ma mi sento accomunata ai resoconti che ho letto per la mia storia di adolescente timida, che si sentiva diversa dal resto del mondo e in un paesino minuscolo, vestita tutta di nero, veniva additata come strana. Non ho mai frequentato le discoteche commerciali come i miei coetanei, piuttosto rimanevo a casa a leggere un libro. Poi sono approdata alla scena dei centri sociali bolognesi,ma è stato quando per la prima volta mi hanno portata al Condor a Modena, che mi sono sentita a casa.
Le storie della Milano degli anni ottanta assomigliano a quella della Bologna alternativa che non c’è più. La Bologna dell’Isola e delle occupazioni, la Bologna che mi raccontavano i ragazzi più grandi e di cui ho potuto vedere soltanto la coda, come quella di una stella cometa che ormai è passata, la Bologna che ho rincorso nel mio primo romanzo.
Creature simili (Agenzia X) è un libro da leggere, un libro che mi ha entusiasmata e a tratti commossa. Il rischio era quello di risultare nostalgico mentre si tratta di un’opera lucida che descrive un periodo storico e sociale con pennellate vibranti e il punto di vista di chi vuole davvero far luce su una subcultura che ha tanto da raccontare. Lascio la parola ai due indagatori, Simone Tosoni ed Emanuela Zuccalà.
Come vi siete approcciati alla stesura di un’opera così complessa e articolata? Vorrei sapere i retroscena di questo vostro viaggio nel dark e come hanno reagito i protagonisti della scena degli anni ’80 quando li avete contattati per le interviste. In linea di massima, sono stati sospettosi o entusiasti nel regalare le loro testimonianze?
Dunque: il libro ha avuto una gestazione piuttosto lunga e travagliata, soprattutto per i nostri mille impegni. L’idea è nata quasi tre anni fa, quando al Mono Davide Rossi e i suoi soci hanno organizzato una mostra fotografica sul dark negli anni Ottanta: mi era piaciuta tantissimo, e avevo proposto a Davide di farne un libro. Abbiamo anche iniziato a lavorarci insieme, ma poi gli impegni legati alla gestione del bar ci hanno imposto un cambio di squadra: Davide è diventato uno dei nostri intervistati ed è subentrata Emanuela Zuccalà che, oltre a essere da sempre una mia amica, è una giornalista molto brava. Lei si occupa soprattutto di storie di donne (il suo ultimo libro parla di donne e ‘ndrangheta), ma la sapevo interessata a questi temi. Così, siamo andati avanti con le interviste e quando, intorno al Febbraio scorso, abbiamo trovato tutti e due una finestra di tempo libero nelle nostre agende, abbiamo spinto tantissimo con la scrittura, riuscendo a chiudere per Settembre. Ed eccoci qua. Devo dire che avendo fatto tanto lavoro prima, la stesura è andata molto liscia: io ed Emanuela siamo riusciti a trovare un approccio comune molto in fretta. Ogni capitolo è stato discusso a fondo e rivisto insieme diverse volte, quindi si tratta veramente di un libro scritto in comune. Il problema semmai è stato tagliare: il prodotto finale è già bello corposo, sulle 320 pagine, ma la prima versione che abbiamo mandato all’editore, Agenzia X, era di oltre 450! Sono svenuti.
Per quanto riguarda le interviste, sono fondamentali per il libro. L’idea era lasciare il più possibile la parola a chi in quegli anni c’era e ha vissuti questa esperienza. Abbiamo intervistato 24 persone, scegliendole in modo da avere la più ampia visione possibile nel dark degli anni ’80: dj, artisti, organizzatori culturali, ma anche gente comune. C’è anche qualcuno che in seguito sarebbe diventato famoso in campo musicale, come Garbo e Andi dei Bluvertigo. Le interviste non sono però pubblicate integralmente: le abbiamo smontate e rimontate per temi, intrecciando in ciascun capitolo le voci di tutti. Volevamo che ciascun tema emergesse da un coro di voci differenti, anche se alla fine ci si affeziona ai diversi “personaggi”, che in fondo raccontano di sé e della propria vita. Proprio per questo le interviste sono state molto intense: è stata anche l’occasione per conoscere a fondo qualcuno con cui avevamo solo una frequentazione superficiale. La cosa veramente difficile è stato però “riportare la gente indietro nel tempo”: far loro recuperare la prospettiva di venticinque anni fa, quando erano adolescenti. È una cosa delicata e faticosa, che avviene lentamente. Per questo le interviste sono state in realtà molto libere – e molto lunghe, anche 3 o 4 ore l’una. Ma alla fine, direi che la cosa ha funzionato.
Il dark a Milano ha visto disgregarsi tanti dei suoi punti di riferimento, dal Virus all’Helter Skelter, all’Hysterika tanto per citarne alcuni. Nel frattempo, sono sorti nuovi pilastri?
Non è rimasto moltissimo, in realtà: oggi ci sono alcuni locali di riferimento, come lo Shelter di Colturano, dove il 15 Novembre faremo la presentazione del libro per il circuito dark (quella un po’ più istituzionale, per i giornalisti ma anche per chi non fa propriamente parte del giro, la faremo invece al Mono il 5 di Dicembre). Ma la cosa che è cambiata di più è che, a partire direi dalla metà degli anni ’90 il dark si è chiuso nei locali, mentre negli anni ’80 era fondamentale “punteggiare di nero” la città: scegliersi i propri luoghi nello spazio pubblico, dove trovarsi e radunarsi. E anche dare un po’ fastidio e shockare “visivamente”.
Tra le storie di vita e testimonianze che avete raccolto c’è qualcosa che vi ha colpito particolarmente?
Impossibile scegliere: alla fine, i nostri intervistati siamo arrivati ad amarli tutti. Certo: ogni voce ha le sue specificità. C’è chi è più attento agli aspetti politici dell’esperienza e chi a quelli più intimisti, chi ha un modo di raccontare più frizzante e divertente e chi invece è più riflessivo, ma queste differenze alla fine fanno, almeno secondo noi, la forza del libro.
Giovani con la voglia di vivere una rivoluzione culturale, alla ricerca di un’identità collettiva nonostante parlassero di quel “no future” che tanto era contestato dal movimento punk. Chi erano i dark, ieri?
Li hai descritti benissimo: una serie di persone – di ragazze e ragazzi – che per mille motivi diversi non volevano o non riuscivano a omologarsi al nuovo corso degli anni ’80, che proponeva il divertimento spensierato e individualistico come stile di vita, il successo personale a ogni costo come suo obiettivo, e contemporaneamente reprimeva duramente le forme di espressione – e di vita – non allineate e alternative.
E chi sono oggi le creature simili?
Molto difficile da dire: ci vorrebbe un altro libro! Sicuramente si tratta di un mondo molto diversificato al suo interno, per altro anche per età: molti dei nostri intervistati frequentano ancora il giro, insieme a molti altri di altre generazioni. Quello che è sicuro, è che quello che scriviamo vale solo per gli anni ’80. Quel ciclo si è concluso: oggi il dark è diventato qualcosa di diverso sotto molti punti di vista. Non dico peggiore, migliore o meno interessante, ma sicuramente diverso. Le radici però sono quelle, e proprio per questo ci premeva raccontarle a chi non c’era.
Negli anni ’80 i dark facevano una sorta di rivoluzione estetica. Scuotevano gli occhi dei benpensanti, colpivano duro con il loro aspetto e a volte rischiavano il posto di lavoro per non tagliarsi i capelli o non rinunciare al total black. Oggi che, in città, tutti ormai sembrano abituati a tutto, ha ancora senso questo discorso? O più che altro l’estetica dimostra un senso di appartenenza? Ancora, oggi può capitare che il dark venga inseguito per moda e che i giovanissimi abbigliati di nero non sappiano neppure chi sono i Joy Division. Cosa ne pensate di questo stacco generazionale?
Non siamo nostalgici di un periodo che, come è ovvio, si è concluso. La nostalgia, il più delle volte, è mortifera. Ed è praticamente impossibile oggi segnalare vistosamente la propria differenza a partire dall’estetica, che viene immediatamente fagocitata o rischia di debordare nel cosplaying. Quello che segnali è però sicuramente vero: per questo diciamo che oggi il dark è diventato altro. L’impressione che ho io è che convivano modi di viverlo molto diversi tra loro: ma questo avveniva anche negli anni ’80, con una componente più modaiola, un’altra più convinta, e un’altra ancora fortemente politicizzata. Un altro esempio che ci invita alla cautela nel formulare giudizi: è vero che oggi il senso di appartenenza alla subcultura è più temporaneo e parziale, ma è anche vero che questo vale per ogni tipo di appartenenza, non solo per quella subculturale. In sostanza, per dirti di più, queste nuove generazioni le dovremmo intervistare: ma questo è, veramente, un altro libro. Uno dei motivi che ci ha spinto a scrivere Creature Simili (oltre a capire noi stessi il senso di quell’esperienza, che era anche la nostra) è stato proprio la voglia di raccontare, a chi delle “nuove leve” fosse interessato, da dove viene e come è arrivato fin qui.
La copertina e le illustrazioni che corredano l’articolo sono della talentuosa Ambra Garlaschelli (www.ambragarlaschelli.com)
La prima presentazione di Creature simili sarà allo Shelter di Colturano, il 15 novembre.