19 Princelet Street – Spitalfields "Il mistero della stanza chiusa"

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Londra, si sa, è una delle capitali europee che più solletica la fantasia degli appassionati di noir e gialli: non solo ha una conformazione, un’architettura, un’atmosfera e dei colori che richiamano ad ambientazioni di questo genere, ma nel corso dei secoli si sono verificati in questa città numerosi fatti che hanno affascinato milioni di persone a causa dell’aura di mistero che li ha avvolti.

I casi di omicidi seriali sono innumerevoli, così come eventi inspiegabili che da sempre caratterizzano la routine della grande metropoli: si basti pensare al più famoso di tutti, ovvero la serie di omicidi attribuiti a Jack lo Squartatore, o alla leggenda di Sweeney Todd, fino ad arrivare a personaggi come George Chapman; oppure la misteriosa morte di Roberto Calvi e le centinaia di storie di fantasmi dai quali palazzi e metropolitane della città sembrano infestati.

Insomma, Londra, fra leggende e realtà, è un terreno fertile per le elucubrazioni e le macabre fantasie. I giri turistici suggeriti dalle guide e organizzati dagli operatori del settore sono spesso incentrati proprio su queste vicende e ormai è difficile che al mondo esista una persona che non ne abbia almeno sentito parlare.

C’è, tuttavia, un caso ancora irrisolto di cui si parla molto meno: si tratta della storia di David Rodinsky; una storia recente ed inquietante.

L’abitazione di questo misterioso personaggio sorge nel quartiere di Spitalfields, nell’East End londinese. In questa stessa zona sono stati perpetrati gli omicidi di Jack lo Squartatore; è stata il ricettacolo dei ceti più poveri, delle etnie più disparate: ha ospitato italiani (i quali un tempo erano considerati alla stregua degli zingari), ebrei, musulmani e oggi è il quartiere degli indiani con i loro ristoranti e il commercio delle spezie; è anche il quartiere degli artisti, degli stilisti in erba, delle bancarelle con oggetti vintage e dei locali più particolari e fuori dagli schemi; sinagoghe e moschee, palazzi in mattoni rossi (che danno il nome alla via più famosa del quartiere, Brick Lane), vie strette, incassate fra loro, sono la testimonianza del passaggio di gruppi etnici tanto diversi fra loro e dell’antichità di quella che viene definita spesso la “vera città”.

Spitalfields, in particolare, sorge sui resti di un cimitero romano: negli anni novanta diversi scavi archeologici interessarono la zona e nel 1999 venne rinvenuto un sarcofago di una nobile donna romana; nel 1157 venne costruito su questo antico cimitero “The New Hospital of St Mary without Bishopgate”, successivamente noto come St Mary Spital, fondato da Walter Brunus e da sua moglie Roisia e da cui prende il nome il quartiere (Spital fields, i campi dell’ospedale). Fu il fulcro dell’industria della seta, poi il luogo in cui venivano relegati i malati di colera, poi ancora il rifugio per i tessitori irlandesi, nonchè teatro di rivolte e repressioni sanguinose, fino a diventare una delle zone più malfamate e pericolose di Londra, in epoca Vittoriana.

Oggi è una zona che merita una visita accurata, e non solo per i misteri che la caratterizzano.

Princelet Street è una traversa della più famosa Brick Lane. Al numero 19 sorge un edificio del 1719, il quale fu prima dimora della famiglia Ogier (sfuggiti alle persecuzioni in Francia), poi sinagoga e quindi a tutt’oggi sede del Museum of Immigration & Diversity. E’ qui, all’ultimo piano della palazzina, che si trova la misteriosa stanza chiusa, oggi ricostruita nel Museo di Londra.

Ma parliamo prima di tutto del personaggio che la abitò: David Rodinsky; di lui si sa molto poco, se non che nacque in Polonia e a dieci anni, rimasto orfano, venne adottato da una famiglia londinese; era ebreo, uno studioso della Torah, conoscitore di lingue e dialetti antichi, ma soprattutto era un uomo solitario e schivo. Per questo motivo, quando scomparve nel 1969, nessuno si diede la pena di cercarlo e probabilmente non si sarebbe venuti a sapere di questa storia se alcuni operai addetti alla ristrutturazione della casa non avessero scoperto (ben 11 anni dopo la sua scomparsa) l’esistenza di questa stanza che risultava priva di vie di fuga fatta eccezione per la porta di ingresso, la quale era però sigillata dall’interno. Dentro la stanza di Rodinsky, tutto era rimasto come undici anni prima, ricoperto da uno spesso strato di polvere: la tazza con le foglie di the sul fondo, l’armadio aperto, il letto sfatto, i soldi, i documenti personali.. i giornali risalenti all’anno della scomparsa e una guida di Londra con diversi itinerari segnati dal proprietario.

Questo ritrovamento risvegliò la curiosità di molti, i quali cominciarono ad andare a visitare il luogo. Nessuno, nella zona circostante, sapeva dare una descrizione precisa di Rodinsky: c’era chi lo descriveva come un vecchio pazzo, chi come un gentiluomo elegante ed educato, chi come un genio; le leggende su di lui son prolificate in un batter d’occhio: gente che affermava con assoluta certezza di averlo visto aggirarsi per il quartiere e ridere di chi si poneva domande sul suo conto, altri che sostenevano che nella stanza ci fosse anche il suo gatto mummificato, se non addirittura il suo fantasma, altri ancora convinti del fatto che lui avesse scoperto il segreto dell’invisibilità studiando la Cabala e così via.

Una donna ebrea di origine polacca, Rachel Lichtenstein, si appassionò al caso a propria volta e con l’aiuto di Iain Sinclair cominciò ad indagare sulla vita e sulla misteriosa scomparsa di Rodinsky; ne nacque un libro, “La camera di Rodinsky”, ma non arrivarono comunque ad una spiegazione plausibile dell’accaduto. Rachel in particolare, fu talmente ossessionata da questa storia che proseguì nelle indagini per il resto della propria vita: ripercorse tutti gli itinerari segnati da Rodinsky stesso sulla guida, andò fino in Polonia alla ricerca dei parenti dell’uomo, riuscì a parlare con un presunto cugino di Rodinsky e con una sua vicina , entrambi sostenitori della tesi che fosse un malato di mente, e infine un tale David Jacobs le indicò il luogo in cui Rodinsky era sepolto: il vecchio cimitero ebreo a Waltham Abbey a nord est di Londra, a ben 24 km dalla città. Rachel andò a cercare la tomba e trovò un quadrato di terra senza lapide, ma con una targhetta. Su di essa c’era inciso il nome del defunto, la data del decesso (5 marzo 1969) ed il luogo, Epsom. Impossibile dire chi pagò la tumulazione. Epsom è un paesino a 30 km a sud ovest di Londra. Insomma, dall’altra parte della città, altro fatto che ha contribuito ad infittire il mistero sulla dipartita dell’uomo. Intorno ad Epsom c’erano ben quattro ospedali psichiatrici, ma non c’è prova che Rodinsky fosse stato ospite di uno di questi, cosi come non ci si spiega come mai sia stato sepolto cosi lontano, dato che ogni quartiere di Londra aveva un proprio cimitero.

Forse nessuno scoprirà mai la verità su questa storia, ma resta un fatto sopra tutti: quella stanza chiusa è la testimonianza di come gli oggetti personali di qualcuno possano farci rivivere epoche passate e magari sconosciute attraverso la loro stessa denotazione “quotidiana” e anche solo per questo vale la pena di andare a dare un’occhiata.

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