T.S. Eliot una volta ha descritto Ezra Pound, nella sua qualità di mentore, come «un uomo che cerca di far capire a una persona molto sorda che la casa è in fiamme». Raymond Carver aveva esattamente l’atteggiamento opposto.
Ed era timidissimo. Parlava pianissimo, quasi mormorando.
Lo dice Jay McInerney, nelle ultime pagine de Il mestiere di scrivere di Raymond Carver. Jay, allievo di Ray nei primi anni Ottanta capì una cosa, frequentando i suoi corsi: che una persona che ha talento per scrivere, non per forza ne deve avere per insegnarlo. Uno dei corsi di letteratura inglese tenuto da Carver era «Teoria e forma del racconto». Le lezioni si articolavano più o meno così: si leggevano raccolte di racconti e le si commentavano.
Ora, durante un semestre, un giovane dottorando dopo aver assistito per qualche settimana allo stesso approccio, si alzò e disse: «Non facciamo altro che leggere, che fine hanno fatto la forma e la teoria?» Ray fece una faccia serissima. Annuì e diede una tirata esasperata alla sigaretta. «Be’, ottima domanda», disse. Poi, dopo una lunga pausa, aggiunse: «Direi che la cosa più importante è che qui si leggano e si discutano dei buoni libri… poi ognuno si forma la propria teoria». E solo allora sorrise.
E poi Carver era molto attento a non scoraggiare nessuno. Attento e leggero. Delle volte troppo buono. Una volta, racconta Jay, Carver era rimasto ad ascoltare la lettura di un racconto lungo e improbabile di uno dei suoi studenti, la cui storia si articolava nel lungo corteggiamento tra due personaggi che finivano poi con lo sposarsi. Dopo una serie di false partenze, i due protagonisti aprivano un ristorante, ovviamente tutti i preparativi venivano descritti nei minimi particolari. Il giorno dell’inaugurazione, una banda di terroristi armati di mitragliette fa la sua comparsa nel locale e ammazza tutti. Fine della storia.
Dopo che praticamente tutti quelli che erano nell’aula piena di fumo avevano espresso la loro insoddisfazione per la trama del racconto, ci siamo rivolti a Ray. Era chiaro che non sapeva cosa dire. Alla fine ha mormorato: «Be’, a volte un racconto ha bisogno di una buona mitragliata».
Ah, l’allievo Jay prese una bella A a fine trimestre, e fu molto compiaciuto quando Carver gli disse: «Hai fatto un buon lavoro». Poi, però, il professore aprì il registro e Jay trovò una sfilza di A. Avevano fatto tutti un buon lavoro.
Le parti in neretto sono prese da qui:
F. E.
Mi piace Carver, ma questo libro ancora non l’ho letto.
Il tuo post è preciso, sincero e riuscito.
Vado ad acquistarlo subito.
Grazie Francesco,
è un bel libro, vedrai, non te ne pentirai.
Alla prossima.