L’uomo di vetro

Quando la Mafia ha ragioni psicologiche radicate nella mente della sua gente.

Stefano Incerti deve averci creduto tanto, quando ha deciso di girare questo film. Una pellicola complessa e di non facile lettura, la sua. Se recentemente ho stroncato piuttosto pesantemente Gorbaciof, ciò non significa che per L’uomo di vetro valga la stessa cosa.

Non era semplice, infatti, trasporre in immagini una storia dimenticata e così importante come la vicenda del primo pentito di Mafia (Leonardo Vitale 1941 – 1984). Leo (David Coco), in realtà, non è propriamente un mafioso puro, perché lo è diventato grazie allo zio (Tony Sperandeo), che lo ha spinto verso quella strada, lo ha formato, erudito nell’arte dell’assassinio.
Ha ammazzato a 16 anni, per la prima volta, quasi come fosse un gioco. E poi di nuovo, qualche tempo dopo.
Leo però sa che non è un gioco, il suo. E decide che quanto sta facendo non è corretto e, per sentirsi veramente in pace con se stesso, affronta di petto l’Organizzazione e racconta tutto quello che sa alla Polizia.

Se un uomo decide di mettersi contro la Mafia, per la più famigerata organizzazione criminale è sempre un problema. Un problema grosso.
Ma essendo Leo il nipote di un affiliato c’è da starci attenti. Non si può farlo fuori senza pensarci su.
E infatti è dello zio l’idea alternativa: per farlo rimanere vivo (e per salvare anche la propria, di pellaccia) lo zio punta sull’infermità mentale di Leo.

Non è un film sulla follia, L’uomo di vetro. Recitato sul filo di un rasoio drammaticamente tagliente, con movimenti di macchina ineccepibili e al servizio degli attori, il film di Incerti scava nel profondo della mente mafiosa, affronta la follia apparente di un uomo lasciato solo, perché reo di aver tradito l’omertà. Un uomo la cui onestà assoluta non trova riscontro nemmeno nei suoi parenti più stretti, che lo preferirebbero omertoso ma vivo, piuttosto che pentito. Ovvero “morto che cammina”.
Leonardo Vitale, per onor di cronaca, verrà ucciso dalla Mafia all’uscita da una chiesa, dopo 10 anni passati in manicomio.

Un film magico e spettrale.
Un film sul dramma di un’Italia che troppo spesso ci dimentichiamo esistere.
Un film, insomma, che si dovrebbe assolutamente vedere.

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