Cult movies: Hard Boiled

John Woo, i ralenti e l’estetica post noir in uno dei film più action di sempre.

Metà anni 90. Estate. Notte inoltrata. Il caldo torrido entra dalla finestra aperta e soffoca anche il ronzio di agguerrite zanzare. Rai 3 spara pubblicità a intervalli regolari ma brevi.
Parte un Tg. Parlano di Tangentopoli.
Alla fine il giornalista guarda verso la telecamera e augura buona notte.
Schermo nero.
Appaiono dei titoli. Un tizio di Hong Kong suona il sax. Altri titoli, in mandarino. Montaggio alternato. Il tale finisce la canzone, si alza e insieme a un’altro musicista va in una Teahouse.
E scatena un inferno di pallottole.

Il mio primo contatto con il mondo di John Woo avvenne così. Per caso, una notte qualsiasi. Ma fu indubbiamente fulminante. Hard Boiled (1992), il film di cui ci occupiamo oggi, non è la sua opera migliore tuttavia ne esalta la cifra stilistica al punto tale da ridurre la trama a un aspetto collaterale e privo d’importanza.

Ultimamente si è parlato di Cult. Continuiamo a farlo. Proponendo “ri-visioni”.
Hard Boiled, nelle notti calde di questa ennesima estate italiana, ci sembra una buona scelta. Potente e violentissimo, tra ralenti vertiginosi ed esplosioni debordanti non manca di suscitare ironia (una scena su tutte, quasi tenera, ma non ve la sveliamo…) ed è praticamente privo di cadute di tono. Vola alto, grazie al ritmo alacre e alla leggerezza tipica di un’impostazione basata sul “non prendersi troppo sul serio”. D’altronde John Woo (del quale parleremo più approfonditamente tra qualche tempo) girò questo film dopo il completamento di un progetto non da poco, The Killer (uno dei suoi capolavori), che lo aveva decisamente stremato.
E una sorta di pausa filmica gli poteva solo far bene.

Hard Boiled dunque è una specie di “viaggio premio”, una vacanza con la valigia in mano, senza andare troppo a fondo, ma solo sfiorando la superficie frastagliata del genere cinematografico. In qualità di omaggio a un filone molto in voga negli anni 30 (l’Hard Boiled del titolo), il film di Woo è in questo senso identificativo di una visione ex-post molto orientale (oltre che sua personale ed ebbra degli stilemi di tutto il cinema wooiano precedente), iperbolica ed esasperata. Frutto anche, forse, dell’avvicinarsi a una svolta epocale: il passaggio di Hong Kong alla Cina.

Ma ora non stiamo a contestualizzare proprio tutto, cercando chissà quali interpretazioni critiche. Vedetevi questo film perché merita (senza troppe motivazioni socio-culturali) una serata sul divano di casa.
E non fate i difficili.
Trovare il dvd in vendita nel nostro Paese fortunatamente non è più un’impresa impossibile.

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