- DALLO SCRIGNO DEL BENESSERE: UNA PERLA DI GIADA –

Finalmente l’estate è arrivata e con lei le sospirate vacanze.

Ed eccoci in riva al mare, spesso tra troppo rumori, che ci impediscono di entrare in contatto con noi stessi e con la natura, con le onde che raccontano dei luoghi lontani da cui provengono, con il vento che a tratti ci raggiunge sussurrandoci qualcosa all’orecchio.

Con frequenza non cogliamo questi regali, ma senz’altro riceviamo con gioia i caldi raggi del sole, che apportano benefici sia alla salute che alla nostra bellezza, la quale ne riceve giovamento. A condizione che….si, certo, nulla è incondizionato! Ormai è di conoscenza comune l’importanza dell’uso delle creme protettive, di intensità direttamente proporzionale alla chiarezza della pelle. Ma anche con questi necessari accorgimenti, a fine giornata, pur avendo evitato diligentemente i raggi delle ore di maggior calore, sentiamo l’epidermide che ci chiede di bere, ha sete, proprio così, se prestiamo attenzione nell’ascoltarla, sentiremo distintamente che ha bisogno di rigenerarsi con liquidi e sali minerali.

Certo, la crema dopo sole va applicata, ma la cosa più importante e anche la più gradevole è una abbondante merenda di melone che oltre al piacevole sapore provvede naturalmente ad apportare gli elementi di cui le cellule che ci ricoprono  necessitano. Non a caso, è di colore arancione, richiama il sole e in natura nulla avviene per caso. I curanderos per riconoscere e scegliere le piante medicinali osservano la forma delle foglie, o dei fusti. Vi è sempre un collegamento tra il male e la medicina, riconoscibile da chi ha occhi per vedere.

Dunque senza addentrarci in sentieri a noi lontani, focalizziamo sui doni che ci  porta questo frutto discreto, reperibile in ogni supermercato o meglio nei banchetti dei mercati.

Mentre la lama taglia la buccia che ci separa dalla polpa, delicatamente dolce e dissetante, già sentiamo quell’acceso profumo di fiori chiari che lo contraddistingue e dal quale possiamo capire il livello di maturazione della polpa.

Solo per dare un’idea fugace e incompleta dell’importanza del frutto, tra le varie componenti, abbiamo il calcio, il ferro, il sodio, il potassio, il fosforo e una tombolata di vitamine! Naturalmente non contiene colesterolo e l’apporto calorico è di solo trenta calorie.

Che altro aggiungere…se non sapere resistere alle tentazioni provatelo come aperitivo o dessert con aggiunta di porto!

 

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AMORE E MITO IN SICILIA

In questa terra generosa e dura, dove la natura è forza e passione e la tenacia della vita vince sui caldi raggi che cadono impietosi, anche le emozioni del cuore si esternano con determinazione, anche fino alla morte.

Uno dei tanti miti, questa volta collocato nelle profumate terre di Aci, narra dell’amore tra un pastorello di nome Aci e la bella Galatea, della quale però si era infatuato Polifemo – già conosciuto per il suo caratteraccio e per il vizio di scagliare oggetti – .

Galatea, innamorata di Aci, aveva respinto le proposte amorose del ciclope, il quale ferito nell’orgoglio e accecato dalla gelosia aveva intimato a Aci di non vedere mai più l’amata. Naturalmente i due amanti continuarono a incontrarsi, fino a che Polifemo li scoprì e invaso da rabbia e collera sollevò un enorme masso e lo scagliò su Aci, uccidendolo.

Nereide chiese allora aiuto agli Dei e trasformò il sangue di Aci in un fiume che scorre lungo i pendii dell’Etna sino a giungere al mare, così che Galatea bagnandosi nelle sue acque poteva continuare a unirsi all’amato.

Questa leggenda spiega la ricchezza di acque dolci che si trovano lungo i pendii etnei.

Vicino all’attuale Capo Molini esiste una piccola sorgente chiamata “il sangue di Aci” proprio per il caratteristico colore rossastro dell’acqua.

Secoli addietro, sempre nei pressi di Capo Molini, esisteva un piccolo villaggio, di nome Aci.  Quando un terremoto lo travolse, i sopravvissuti si sparsero sul territorio fondando nuovi centri, che in memoria del pastorello continuarono a chiamare Aci, seguiti da un diverso appellativo per distinguere gli uni dagli altri. Oggi parliamo infatti di terre di Aci indicando AciCastello, ove appunto sorge il Castello, oppure AciTrezza, il pittoresco paesino, cantato da Verga, ove sorgono i faraglioni e l’isola Lachea, AciSant’Antonio, AciReale, AciCatena….. Il prefisso Aci ci ricorda che sotto ogni pietra di origine lavica scorre amore, acqua e sangue.

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Profumo e distanza

Un tonfo sordo seguito da un odore acuto che si spande,

lento e inesorabile.

Nella penombra della notte, con gli occhi mezzi chiusi dal sonno, confido nella memoria delle distanze e  allungo la mano verso l’interruttore della luce.

Si frappone la boccetta di profumo riposta sul mobile, che ora giace riversa sul pavimento, attorniata da una pozza di liquido che si allarga, come sangue dopo l’ultima caduta.

Seccata raccolgo la boccetta e riavvito il tappo recuperato dal pavimento, butto l’occhio sul livello rimasto. Poi guardo il cerchio allungato formato sulle mattonelle.

L’odore mi invade le narici infastidendomi.

La finestra è aperta, penso, spero che l’aria circoli in fretta.

La mente percorre un lungo passo e mi porta nel bagno della casa dei miei genitori.

La confezione del mio profumo preferito. E’ riversa a terra e giace come un corpo prosciugato dall’anima.

Era un pomeriggio di primavera, lo avevo passato con Lui, nella pineta, a ridere di niente e ipotizzare un improbabile futuro.

Uno schianto aveva fermato il tempo, le parole e lo scorrere del sangue.

Sentivo il tonfo, riecheggiarmi all’infinito nella testa e guardavo la boccetta caduta, assente nel corpo e nella comprensione.

Lamine accartocciate e fuoco che divampa.

Uno schianto e una fiammata.

Il serbatoio è pieno. Il fuoco raggiunge il parossismo, poi dopo aver seccato metalli e carne si ritrae, fino a esaurirsi.

Era un pomeriggio di primavera, lo avevo passato con Lui, nella pineta, a ridere di niente e ipotizzare un improbabile futuro.

Ora il nero della notte procedeva  implacabile nel suo abbraccio d’acciaio, i colori erano spariti, fuggiti oltre la linea dell’orizzonte.

Lo stereo non suonava più, i Dire Straits avevano posato le chitarre, i ryban erano cenere tra i rottami dell’auto.  Gli ultimi crepitii del fuoco cingevano chi per ultimo si era arreso al suo  passaggio.

Sono nel bagno della casa dei miei genitori.

La confezione del mio profumo preferito.  E’ riversa a terra e giace come un corpo prosciugato dall’anima.

Immagini indefinite prendono a pugni il portone del mio inconscio, non riescono a prendere il sopravvento, consegnandomi più di un rantolo rarefatto dall’odore dell’inquietudine e della carne bruciata.

Eccomi, mi rivedo, una sagoma che tentenna, rigida e terrorizzata.

Riattraverso il tunnel che ha saldato con acciaio e ferro le ferite dell’anima.

Il pavimento è pulito, congedo il passato che mi ha portata fino a qui e sento la forza delle cicatrici che lo raccontano.

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PIOVE

La primavera splende di sole e
luce.

Ma non c’è pace nei passi che
nervosi si susseguono sui marciapiedi non ancora bollenti.

Il colore dell’anima è verde
bosco, bosco bagnato. E la pioggia continua a cadere, sui rivoli d’erba e sul
terreno sfaldato. Il verde incontra i preamboli del nero.

Cade, rimbalza e ricade.

Il cuore è contratto, stretto in
un pugno ferroso.

Verde e rame.

Ma sono solo striature di rame. Trascinate
dalla pioggia battente.

L’orizzonte è verde muffa, quel
verde che da colore dei prati a primavera è passato alla tonalità delle felci
autunnali, poi all’erba intrisa d’acqua, poi al colore della vegetazione
annegata in uno stagno.

Piove, perché piove dentro.

E la pioggia è così eccessiva,
impetuosa, esagerata che ogni cosa sembra esserne impregnata, i giornali nelle
edicole, gli abiti addosso, i volti sotto ai cappelli, persino la carta del
salumiere.

E mentre la pioggia cade , sempre
più eccessiva, impetuosa, esagerata,  grosse gocce scivolano lungo le strade come palle
sul tavolo del biliardo, scontrandosi, urtandosi, unendosi per percorrere
insieme un tratto di strada, prima di riprendere le rispettive solitudini.

Piove. Ma non è pioggia che nutre,
che alimenta la terra, al contrario, è acqua nata dalle sofferenze, dalle
ingiustizie, dalle diseguaglianza, dalle menzogne e dall’egoismo.

Piove. Piove l’assenza d’amore,
l’assenza di solidarietà, di giustizia e di armonia. Piovono le lacrime del
cuore divelto da troppi colpi.

Piove, dietro il cielo che
splende di luce e sole.

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BONNE CHANCE!

Domenica mattina di un marzo
soleggiato, se l’occasione fa l’uomo ladro, a Milano madre natura non è stata
particolarmente generosa, sicchè, pigliamo al volo ciò che c’è: domenica di
sole, corsa nel parco.

Inizio a corricchiare, piano,
senza pretese, so di essere fuori allenamento. Ascolto un po’ di musica e mi
guardo intorno. Hanno costruito un parcheggio nuovo, deve essere in via De
Pisis se la memoria non mi inganna, ma è quasi vuoto, strano, abbraccia i
palazzi che lo costeggiano, è ora di pranzo della domenica, dovrebbe esserci
movimento. Mi avvicino, noto in sequenza, una volvo col finestrino passeggero
frantumato, una scarpa femminile abbandonata sull’asfalto e una bicicletta,
legata a un palo, con la ruota davanti a forma di otto, ovvero schiacciata da
un’auto. Non mi sento incentivata a usare questo parcheggio caso mai mi dovesse
servire fermarmi.

Proseguo, giro in via Eritrea,
continuo per via Lessona, supero la scuola di ballo e scorgo il parco di villa
Scheibler. Attraverso la strada e varco la soglia. Lo sguardo si spande
curioso, fin dalla prima occhiata il parco si presenta tranquillo e piacevole,
poche persone immerse nella lettura, qualche mamma con bimbo al seguito e
qualche coppia che passeggia. Noto che su molti alberi è esposto un cartello
che ne proclama il nome. Gli uccelli sono numerosi e giocano tra loro,
con un’allegria contagiosa. Soddisfatta della scoperta, dopo aver percorso il
perimetro del giardino, mi ributto sulla strada e poco dopo, in via Console
Marcello, noto un’altra auto danneggiata, la portiera del guidatore era stata
visibilmente scardinata. Milano città sicura, certo. Due anni prima la mia auto
era stata forzata e aperta lungo il viale Milton, ovvero all’interno di quella
che ora è l’area c, in prossimità del castello sforzesco e in pieno orario
lavorativo.

Decido di rientrare, ammiro le
montagne che in lontananza si scorgono mentre attraverso il ponte che porta in
direzione Milano Certosa. Per fortuna sono a piedi, non corro il rischio di
cadere nelle profonde buche del manto stradale che di nuovo, per l’ennesima
volta, si sono formate sulla sommità e che, per chi usa lo scooter,
costituiscono un pericolo a cielo aperto.

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Buongiorno

Le
previsioni danno diminuzione delle temperature, fino a dieci gradi. Il che non
è una buona notizia.

Ho appena
tolto la protezione invernale alle mie gioie profumate che dal balcone
riprendono mezze timide e mezze scheletriche a protrarsi verso il sole….

No, mi hanno
rassicurata, non devo coprirle nuovamente, non andremo sotto zero.

E allora
forza, un buon caffè con del latte, quello dalla confezione rosa, alle
fanciulle piace di più e ….il mattino anche senza sole potrebbe avere l’oro in
bocca, armiamoci di remi e risaliamo lungo la corrente questa nuova giornata,
in fondo chi è più forte o tenace di una donna quando si prefigge di
raggiungere un porto….

Quel porto è
già preso e….per cena salmone, il rosa piace alle fanciulle!

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Ritorno al viaggio

Un raggio di sole entrò nella
caverna e le riscaldò il viso.

Lei aprì gli occhi e si accorse
che il gelo era scomparso, dal corpo e dallo sguardo.

Con fatica si mosse fino
all’entrata del riparo che l’aveva protetta nel lungo inverno: vide che il sole
splendeva alto nel cielo e i colori della natura iniziavano a risvegliarsi,
come se un pittore timido li stesse riportando alla vita. Sentì volteggiare
un uccello, era un falchetto, se ne vedevano spesso nei dintorni del  vulcano.

Guardandolo allontanarsi verso il
cratere sentì riaffiorare le proprie energie, stava ricordando di essere parte
di tutto ciò che ammirava e insieme a bacche e boccioli era tempo di tornare
alla vita.

Tanti erano i rami secchi non
sopravvissuti, ma tanti altri nascondevano boccioli e minuscoli foglioline che
stavano sbucando da rami apparentemente morti. Nuova linfa iniziava a
circolare, le sue vesti erano sgualcite, i suoi capelli aridi, ma sotto il bianco
della  pelle un colorito primaverile
stava ringiovanendo le sue guance e un nuovo potente bagliore nasceva nel suo
sguardo.

 

 

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L’ultimo freddo

Fa freddo!

Alza la sciarpa, fin sopra la bocca, riparati!

Il peggio deve ancora arrivare!

La neve si posa su paesini e città, cambia la percezione del
tempo, lo rallenta, fino a fermarlo.

La natura è madre incondizionata della vita, ma noi la
rispettiamo e agiamo secondo le sue leggi, per cui non temiamo nulla, né alterazioni climatiche, né inquinamento, niente può succederci.

La protezione civile è all’opera, tutto tornerà alla
normalità, i morti, i senza tetto delle grandi città verranno sepolti e il
silenzio accompagnerà la dimenticanza, mentre i titoli nelle prime pagine
ridaranno al gossip l’attenzione rubata dall’emergenza maltempo.

L’orizzonte è immobile, ghiacciato e denso, statico, quasi
opprimente, spaventoso nelle sensazioni che suscita, cubetti di ghiaccio
scagliati da lontano. Cerchiamo calore, protezione, nelle case, vicino a
caloriferi, sotto le coperte che ci accolgono …e poi?

Ricopriti e riparti, è un altro giorno e la morsa di ghiaccio
è fuori che ti attende col pugno ancora un pochino più serrato…

“ok, prenderò a morsi anche questa giornata, ce la farò,
arriverò a sera e tornerò al caldo, qui a casa…e lì, sul divano mi berrò una
tisana calda per tornare in temperatura, questo gelo ti entra dentro…!”

Già dentro….forse c’è qualcos’altro a cui pensare….

Il calore umano di quell’altra persona, quella che saprebbe
dartene, già perché l’amore è bello, è fatto di sospiri, di telefonate che
emozionano….così mi ha detto ieri un’amica. Come quando eravamo a scuola e
avevamo lo sguardo trasognato e trepidante…Ricordo, ora che lei me lo ha detto.

Già, quando il gelo arriva blocca tutto, ci piove in testa
come tante stilettate, aghi che perforano il corpo fino a impedirci i movimenti.

E’ un freddo che blocca la circolazione del traffico, come l’altro
freddo, quello interiore, blocca la circolazione del sangue.

Allora spargiamo sale, attrezziamoci di pale e…lasciamo una
tenda aperta così che il sole possa ancora coi suoi raggi leccarci le occhiaie
e asciugarci le lacrime.

J

 

 

 

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E se l’amore…

E’ bella questa Milano che ci
regala scorci di luce brillante e arancione.

E’ allegra, come un’anziana
signora che ha ritrovato un po’ della voglia di giocare dell’infanzia.

Non bussa alla porta, entra sicura
senza chiedere il permesso, passa dalle finestre, dalle fessure, dagli sguardi
non assuefatti al grigio.

Magari ci illude, per poi riportarci
in basso, ma abbiamo imparato a prendere il meglio e superare il peggio.

E se un giorno, magari proprio
oggi, o domani, il cuore si svegliasse? Se cercasse di alzarsi, mettersi al
comando e riprendere il timone delle emozioni, riportandoci in oceani
misteriosi tra tempeste e bonacce, tra terre sconosciute e vite differenti, dove
diversa è la profondità dello sguardo, l’ascolto di nuove percezioni e di istinti
ritrovati  ….

no, meglio che lui resti lì, mezzo
sopito e intontito, sospeso, in un’altalena tra sogno e opaca realtà, una
realtà vista solo attraverso uno specchio, ben spesso naturalmente e neppure
troppo pulito, che allontani il pericolo del risveglio e dell’incontro di due
anime, che trovandosi potrebbero avere la stessa forza di attrazione di due
treni, che percorrono in direzione opposta lo stesso binario.

J

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IL BIANCO, IL ROSSO E IL NERO

Le previsioni annunciano neve.

Il vento si sta alzando, scuote i rami e maltratta le foglie. Gli uccelli sono nervosi.

Il sole tramonta dietro il centro commerciale, lascia nel cielo raggi arancioni e superbi, venati di dorato.

Il freddo punge. Non ci sono camini scoppiettanti e bianchi abbracci.

La gente ha freddo ed è incazzata. Essere incazzati al freddo è molto più che esserlo quando fa caldo: risentimento e irritazione sono così forti da sopraffare l’indicazione metereologica e il suggerimento ambientale, quello di scambiarsi mielosità sotto al vischio, per esempio.

Uno gorgoglio lento ma costante si sta levando attraverso l’indifferenza e i ciechi sguardi vitrei. Qualcosa sta smuovendo e chissà mai svegliando gli animi e… si sa, la rabbia troppo a lungo repressa si manifesta sino al massimo parossismo.

Lava che cola. La neve, se anche ci fosse, sarebbe già evaporata.

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