padri di famiglia

- Con una così bella giornata non ci speravo di trovare posto qui
- Sarà perché è a pagamento
- No, no, di domenica è sempre strapieno e oggi con questo sole…
- Be’, meglio così no?!
- Infatti
Supero il semaforo verde e svolto a sinistra per fermarmi davanti alla sbarra. Abbasso il finestrino e il gestore prende il biglietto per me e me lo porge. La sbarra si alza, accelero ed entro nel secondo vialetto a destra. C’è un sacco di posto, ma io e mia moglie non commentiamo ulteriormente quanto questo sia eccezionale. Abbiamo ancora qualcosa da dirci senza reiterare le ovvietà e i nostri volti rilassati mostrano che il silenzio non ci pesa.
- Posso portare il Game Boy? – chiede mio figlio mentre tiro il freno a mano
Guardo mia moglie per passarle la palla.
- Non è meglio se lo lasci in macchina e ci facciamo una bella passeggiata?
- Abbiamo caricato il monopattino – dico io
- Vero, me ne ero dimenticato – dice contento nostro figlio
- Mi aspettate un attimo che vado in bagno?
Mia moglie mi guarda male. Le passo le chiavi della macchina e mi incammino verso il bar adiacente all’ingresso del parcheggio. Entro e chiedo del bagno che si rivela essere in fondo a destra. Mentre piscio leggo il cartello che invita a lasciare il luogo pulito come lo si è trovato. Mi pulisco con un pezzo di carta igienica, mi lavo le mani ed esco. Percorro il breve corridoio che porta al salone del bar e giro a sinistra per uscire. A destra della porta noto uno scaffale rosso con due mensole. Su ogni mensola ci sono cinque bottiglie di vino. Rosso. Le cinque bottiglie dello scaffale superiore hanno etichette diverse ma tutte intitolate a Mussolini. Quelle dello scaffale inferiore cinque etichette diverse per Hitler. Le guardo stupito. Costano dieci euro e novanta l’una. Penso che qualcuno imbottiglia il proprio vino dandogli il nome di Mussolini ed Hitler. Che qualcuno cura la grafica delle etichette producendo diverse immagini per lo stesso prodotto. Che qualcuno nel suo bar mette in vendita quelle bottiglie e che, pertanto, ci deve essere qualcuno che le compera. Le osservo ancora e non so più a cosa pensare.
- Belle vero? – mi dice la barista
- Devo qualcosa per il bagno?
- No, si figuri. Ne vuole una?
- No, grazie
- È buono sa
- Non lo metto in dubbio – dico guardandola negli occhi
- Forse non le piace il soggetto
- Ecco infatti
- Magari preferirebbe che sopra ci fossero Lenin e Stalin
- Non credo proprio
- Be’, Hitler e Mussolini erano due padri di famiglia sa!?
- Sì, certo. È sicura che non le devo nulla?
- Un euro
Estraggo il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans e dal portamonete prendo una moneta da due euro. La porgo alla signora che apre la cassa e mi dà il resto di un euro.
- Lo scontrino? – chiedo
- Niente scontrino
- Bene, buongiorno – dico ed esco
La barista non ricambia il saluto. Raggiungo la macchina dove mia moglie mi sta aspettando con il piccolo in braccio. Il grandicello sta correndo in cerchio col monopattino.
- Fortuna che ci mettevi un attimo, dove sei stato?
- C’era la coda
Per un istante guardo il sole che mi abbaglia.
- Lo porti tu? – mi chiede mia moglie indicando l’imbracatura del marsupio
- Ok – dico e mentre lo infilo alzo gli occhi al cielo perfettamente azzurro.
- Non è una giornata perfetta? – dice mia moglie
La guardo, sorrido, e non dico nulla.

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Ula

Ula è gentile. Ula è la moglie del fattore. Ula è molto brava a cucinare. Lei stende la pasta col mattarello. A lei piace usare il mattarello. Il mattarello è un oggetto dritto e duro. A Ula piace usarlo. Ula scopa con tutti i garzoni del fattore. Scopa nella stalla. Li invita in cucina per un tè che non è mai solo un tè. Nella stalla o dove capita. Ula ha la quinta. Suo marito è stremato ed è contento che lei soddisfi le sue voglie anche con altri. Ula è una portaerei. A Ula piace davanti, dietro, in bocca, tra i seni, strisciato sul corpo, sprofondato fino in gola. Adora quando glielo fanno in faccia. Adora il calore sulla schiena e dentro. Ula prende la pillola. Ula è grassa. Ula ha fantasia. A Ula piace succhiare. Le piace infilare la lingua. Ula va a messa, si confessa e fa la comunione. La guardano tutti. La salutano in meno. Lo sanno tutti. Lo sa anche il prete. Ula sorride. Ula è felice.

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satori

Il carrello del rollercoaster s’è staccato e non ho ancora toccato terra. Lo schianto deve ancora arrivare. Sono salito da solo. In un giorno feriale. Non mi sono portato dietro nessuno. I motivi di questa solitudine sono tanti. Tutti attribuibili a me. Al mio modo di gestire le relazioni. Sono egocentrico ed egoista e non so nemmeno celare bene il mio profondo narcisismo. Così alla fine mi sono trovato da solo a gestire un giorno feriale qualsiasi. Il lavoro è stato sempre molto importante per me. È una cosa che mi ha ficcato nel dna mio padre. Non so quanto sia poi giusto visto che alla fine è il mio lavoro a stabilire il mio valore. Tuttavia è una cosa che sento e di cui, se me ne devo liberare, non mi sono ancora liberato. C’è anche da dire che non so realmente stabilire il significato della parola tradimento. Il modo più semplice è designato da una scopata con un’altra donna o con un altro uomo. Non mi interessa comunque indagare ulteriormente. Il tradimento è una cosa banale. È la punta dell’iceberg. Conta solo per il fatto che si mostra, che si vede, ma non sarebbe nulla senza la massa di ghiaccio che sta sott’acqua. Ora io so di avere le mie colpe. Non me ne voglio liberare. Me le vivo. Fanno male. Sentivo male anche quando il carrello non era uscito dai binari. È come avessi sperato in una vacanza costruttiva. In un nuovo sodalizio con la vita. In una soluzione per espandere la coscienza e la capacità di amare di un amore che spingendosi lontano illuminava meglio le cose più vicine. Le persone care. Gli affetti più veri. Ma in questo giorno feriale, che ho deciso di passare da solo, qualcosa è andato storto. Le rotelline non hanno retto. Sono spesso i piccoli dettagli a sancire la grande differenza. E sto volando abbastanza a lungo da poter pensare tutto questo. Il dolore ha una forza illuminante. Nessuno può avere coscienza di Dio. Nessuno lo può sentire vivo dentro e farne piena esperienza se non vede la luce nel dolore. Le stringhe sono membrane che compongono le musica che forma tutti gli universi. Io sono vivo e sto volando. Mi rendo conto di tutto questo. E lo schianto diventa un dettaglio che non vale nemmeno la pena raccontare. Prendo una corda nera. Mi metto un paralume in testa. Mi faccio legare da uno schiavo del tempo di passaggio e mi metto nella posizione del loto. Divento donna. Cosa di non poco conto, anche se non si può dire che il mio seno sia perfetto. Lo schianto poi arriva. È cosa mia. Che sta fuori dalle frasi. Perché dire satori non è un satori.

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silvia

-    Come mai quella faccia?
-    Che faccia?
-    È da ieri che sei seria, che hai?
-    Dimmelo tu che ho
-    Io?
-    Non hai niente da dirmi?
-    Niente di che genere?
-    Non lo so, dimmelo tu, appunto…
-    Senti vogliamo giocare ai misteri o parliamo chiaro?
-    Ok, come mai Silvia quando mi vede pare spaventata?
-    Silvia pare spaventata quando ti vede?
-    Esatto
-    Non saprei, le hai fatto qualcosa?
-    Io non le ho fatto niente e tu?
-    Che dovrei avere fatto a Silvia?
-    Senti, non siamo nuovi a faccende di questo genere, quindi è meglio se me lo dici
-    Cosa dovrei dirti?
-    Ok, la domanda è questa: te la sei fatta?
-    Io? Silvia?
-    Tu, Silvia, sì
-    No
-    E allora come mai quando mi vede scappa e da qualche giorno non fa più uova?
-    E io che ne so?
-    Senti, te lo dico per l’ultima volta: lascia in pace le galline!

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discount

No che uno dice risparmio c’è la crisi e la recessione e in effetti non guadagno poi molto ma il posto per ora pare sicuro e insomma se si tratta di risparmiare ci faccio caso e così mi sono fidato di questo annuncio della prostituta virtuale che sarebbe un ologramma che però lo tocchi per davvero e cioè hai sensazioni fisiche vere e quindi via che vai coi pompini l’anal il davanti e tutto quello che ti può venire in mente e quindi data la magra di figa di cui soffro ultimamente mi guardo le offerte e siccome non mi fido tantissimo delle novità tecnologiche quando sono ancora appunto delle novità rimango su un modello discount che c’è scritto chiaro che non la senti cioè non la puoi toccare come le deluxe ma io giusto per vedere l’effetto me la farei anche bastare che poi non vorrei mai mi saltasse fuori dal kit una roba tipo Second Life che allora col cazzo che mi eccito con quelle sottospecie di androidi  ingommati e quindi mi dico tra me e me rimaniamo sul basso costo che così almeno mi sparo una sega e mi rendo conto meglio e se poi va bene mi so regolare per la prossima volta che magari mi prendo la deluxe e così ordino quella discount e pago con carta di credito e tutto ok transazione avvenuta e consegna espressa tipo telegrammi nel giro di mezz’ora che questi qua saranno anche appena partiti con l’attività ma cazzo quanto bene sono organizzati che difatti il corriere mi arriva subito a casa e mi consegna il pacco rigorosamente anonimo e io saluto il ragazzo chiudo la porta e apro la scatola sul tavolo e ci trovo una scatoletta tipo il telecomando per aprire l’auto e un foglietto di istruzioni piccolissimo con scritto grazie per la scelta e tutte ste menate e poi che per farla funzionare basta premere il tastino rosso e così senza frapporre indugi io lo premo e tipo lampada di Aladino dal telecomando mi si materializza davanti questo ologramma di puttana che mi saluta ciao bello guardandomi negli occhi e comincia a spogliarsi e io allora per non sapere né leggere né scrivere me lo tiro fuori e comincio a menarmelo mentre lei balla e si spoglia nuda lì nel salotto che è veramente una fica stratosferica con due tette da sballo e la fica depilata che le vedi le grandi labbra e lei pare che ti legge lo sguardo e le intenzioni perché quello che tu guardi e cioè il punto che tu fissi lei te lo mostra meglio e così si strizza le tette e si allarga le chiappe e fa di tutto e io intanto meno e poi penso che magari se le ordino qualcosa capace che pure obbedisce che se è così mi viene in mente la furbata che le dico senti vai al termosifone e appoggia le mani sulla mensola che io menandomelo mi figuro che mi ti inculo e lei cazzo obbedisce e ci va e io la seguo e guardandola me lo meno e l’effetto è davvero strafigo che me lo immagino proprio con una deluxe come deve essere e già penso di ordinarne una però il mese prossimo che sennò col budget goduria sforo di troppo che già tre volte ho ordinato la pizza espresso e il cinese take away perché c’è poco da fare che quando sto a magra di figa mi passa pure la voglia di farmi le cose tipo anche la barba o rifare il letto e insomma sono lì che la pompo in simil culo quando lei no che mi si sgrana e si pixela tutta e pare che svanisca che mica l’ho letto se c’era una durata della proiezione e lei sta proprio sparendo e io meno più in fretta ma quando vengo di lei non c’è traccia e schizzo sul termosifone come quando da piccolo mi masturbavo con i cataloghi della Vestro di mia madre alla pagina dei reggiseni che c’erano sempre quelli trasparenti che vedevi i capezzoli e poi nella foga del menare e di passare pagina per riempirmi gli occhi mi sfuggiva la presa e sborravo sempre sulla pagina delle lavatrici.

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festivaletteratura Mantova 2010

Ci era andato da solo alla fine perché Stefano aveva conosciuto Caterina e si incontrava con lei e a lei del Festivaletteratura non importava nulla. Così Marco si era portato il pranzo al sacco e pure qualcosa per la possibile cena in treno. Al ritorno. Qualora ci fossero stati ritardi. Ora che Stefano aveva questa finestra aperta su Caterina le prospettive erano davvero fredde. Le domeniche da solo. Le domeniche sono terribili. Al festival ci sarebbe stata gente. Il festival era una speranza e se è di letteratura c’è gente colta. Intelligente. Anche se lei fosse stata di un’altra città andava bene. Di gente ce n’era infatti e pure un sacco di belle ragazze ma tutti erano compresi nel proprio specifico interesse. Marco non coglieva un solo sguardo sollevato verso di lui. Un solo sguardo in cerca di qualcosa che non fosse già scritto nel programma e nella testa. Tutto prestabilito quindi con Marco da solo che sarebbe rimasto solo. Aveva chiesto una informazione a una ricciolina molto carina seduta davanti alla chiesa, al sole. Lei gli aveva detto che doveva essere per di là, di passare sotto l’arco e girare a sinistra e poi si erano salutati. L’unico contatto umano gli era bastato per non tentare di cercarne altri. E era finito al parco. Vicino al castello di legno per i bambini dove qualche decina di bambini erano intenti a giocare e urlare e divertirsi come meglio gli pareva in quella struttura con scale scivoli e quadri svedesi tutta colorata e con tutte la mamme attorno a chiacchierare tra loro e a costruire una cintura d’affetto. Che divertimento perfetto. Marco aveva provato a leggere il programma come ultimo tentativo per tornare a infilarsi sotto qualche tendone per ascoltare qualcosa di saggio intelligente o chi lo sa? Da qualche parte c’era Margherita Hack e lì vicino Altan. Invece lì nel castello c’era una bimba bionda carinissima che sembrava proprio la principessa per quanto la sua bellezza si stagliava sopra alla bellezza naturale di tutti i bambini. Lei era bella davvero.

-       Giuliaaa, hai visto Giulia?

-       Giulia dove sei? Giulia!

-       Ciao Roberta hai visto Giulia?

-       Era lì poco fa non Filippo

-       L’ho vista andare in là. Prova a vedere nei giochi là in fondo, agli anelli

-       È da là che torno

-       Giulia, Giuliaaa

-       Può essere tornata a casa da sola?

-       Impossibile non… Giuliaaa

slideshow

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miss Italia

- Siamo qui con Elena Rampi, la nuova miss Italia. Elena ci vuoi dire qualcosa di te?
- Vuoi qualcosa di particolare vero?
- Sì certo. Qualcosa che ritieni interessante.
- Ho avuto una adolescenza piuttosto turbolenta. Sono stata tossica dai tredici ai diciannove anni. A tredici anni ero bellissima.
- Pure adesso sei molto bella, hai vinto il titolo superando tutte le altre partecipanti
- Lo so, ma è diverso. Ora io mi sento bella. Indipendentemente da quello che pensano gli altri. Allora invece ero oggettivamente bella. Era una cosa innegabile e niente affatto una questione di gusti.
- Tossica hai detto. Ma hai avuto una infanzia particolare? Difficile?
- Normale direi. Da piccola sognavo di fare il veterinario ed ero una grandissima bugiarda. Per un intero anno scolastico ho fatto credere a un mio compagno che avevo sessanta cani e che vivevano con noi, dentro casa.
- Ma il rapporto con i tuoi genitori com’era?
- Madre bigotta, fredda, algida e padre puttaniere, tenerissimo. Solo da poco ho capito chi mi amava davvero e per un sacco di tempo ho creduto l’esatto contrario. L’amore non ha sempre l’espressione che preferisci e che riconosci. Il rapporto tra loro due poi non era certo di quelli che faceva pensare al matrimonio come una situazione felice.
- Come ti sei avvicinata all’eroina?
- Stavo con un ragazzo molto più vecchio di me. Ex tossico. Aveva smesso. Un suo amico è tornato da Londra e gli ha chiesto se poteva procurargli la roba. Ci siamo andati assieme e gliela abbiamo portata. A quel punto il mio ragazzo ha detto “andiamo”. Io l’ho guardato e ho detto “restiamo”. Mai più nella vita ho provato una sensazione così dolce come quella volta.
- E come ne sei uscita?
- In casa non ne potevano più e mia madre si è rivolta a una CT…
- CT?
- Comunità Terapeutica. Io me ne fregavo di quello che faceva lei e continuavo a farmi. Tuttavia lei frequentando la comunità ha capito il da farsi e mi ha sbattuta fuori di casa. Sotto i ponti ho retto pochissimo e quindi sono tornata a casa con l’idea di riuscire a prenderla in giro. Così per un periodo sono stata in una sorta di terra di nessuno. Un poco mi facevo e un poco frequentavo la comunità. Poi i miei si sono separati. Mio padre aveva un’altra donna. Aveva sempre avuto altre donne, ma stavolta era una cosa seria. Più seria del nulla che aveva con mia madre. Così un giorno mi ha portato nel suo pied a terre. Un buco anonimo e male arredato, ma mica potevo dirglielo, così ho detto: carino. E intanto mi chiedevo: ma perché me lo sta facendo vedere? Perché mi sta mostrando queste cose? Poi, mentre spostava una sedia per farmi accomodare, di colpo ho realizzato che era terrorizzato dal mio comportamento. Dal fatto che mi stavo facendo. E quello era il suo modo di confidarsi e di starmi vicina.
- È stata questa la molla per smettere?
- No affatto. Sono tornata a casa come al solito e qualche tempo dopo c’è stata una lite pazzesca con mia madre. Il motivo era sempre il solito. Ero io. Così al fine di ferirla, unicamente di ferirla le ho detto: tuo marito ti mette le corna. Da lì un altro dramma. Nuovo di zecca. Pianti, scenate, disastro e io che nella mia stanza, sdraiata sul letto, guardavo il poster della Pantera Rosa di Peter Sellers. I miei si sono separati nel giro di due settimane.
- E tu?
- Lo staff della CT ha ritenuto che io dovessi passare al più presto alla fase due.
- Fase due?
- La comunità vera e propria. Per tirarmi fuori da quella atmosfera negativa, come la chiamavano loro. Così ho fatto le valigie e mi sono trasferita. Ci sono stata dodici mesi. Due volte sono scappata e due volte sono tornata. Non volevo smettere di farmi. Assolutamente non volevo. Non volevo lasciare il mio ragazzo che amavo tantissimo. In comunità si lavorava molto e poi c’erano i gruppi. Dinamici, statici, psicodramma. Ma niente io non volevo smettere.
- E loro?
- No, niente. A un certo punto per uscire ho finto di volere smettere e lo staff mi ha passato alla fase tre. Il rientro.
- Sì
- Tornata in città non ero capace nemmeno di attraversare la strada. Ero ingrassata di 30 kg. Da 47 a 77. Ho cercato i vecchi amici di strada. Cercavo anche lavoro e la sera dormivo nella comunità di rientro. Cercavo chi mi potesse dare la roba, ma non trovavo più nessuno.
- Come mai?
- Qualcuno era morto, qualcuno in CT, qualcuno aveva smesso per conto suo, qualcuno aveva traslocato. Poi ho finalmente trovato uno che conoscevo e ho comperato due scudi di roba. Ho caricato la spada. Cintura al braccio a stringere forte. E poi. Spada nel cestino. Intatta, piena. Non mi sono fatta. Sono tornata dal mio staff e ho raccontato tutto.
- Cosa ti ha fatto cambiare idea nell’ultimo istante?
- Ci credi che non lo so?! Non so cosa sia scattato in me per farmi buttare la siringa.
- Dio? Credi in Dio?
- Forse. A quel tempo ancora non lo odiavo.
- Perché ora lo odi?
- Perché il mio primo marito a furia di mettermi corna è diventato sieropositivo e vivere con lui è diventato un inferno fino al punto che, quando ho deciso di chiedere la separazione, lui col ricatto della malattia è riuscito a tenere con sè i figli.
- Hai fatto un sacco di cose in pochissimo tempo
- Ho bruciato tutte le tappe. Ero cresciuta solo a metà. Ero diventata una sorta di mostriciattolo asimmetrico.  Molto corto da una parte e molto lungo dall’altra.
- In che senso?
- La parte che governava sulla responsabilità, il senso del dovere, i valori etici era gigantesca la parte emotiva era nanerottola. Così ho sposato il primo che capitava tra le persone più facili da sposare. Solo perché era un ex tossico come me e cercavo sicurezza nella normalità. Volevo avere un lavoro, una famiglia, dei figli. Poi la malattia di mio marito è diventata la spada di Damocle. Lui poteva picchiarmi, offendermi in tutti i modi tanto non potevo lasciarlo. Era come se gli fossi debitrice perché io ero sana. Quasi fosse una colpa. Quando me ne sono andata ero disperata. Avevo toccato il fondo. Ero finita sotto il fondo. Spiavo i miei figli. Rubavo istanti. Attimi. Gridavo a dio di uccidermi. Urlavo dio mio uccidimi ti prego ti prego uccidimi. Ma lui non lo ha fatto. Ha voluto tenermi in vita, questo dio che tanto vi ama. Ma poi ho trovato una sistemazione e un lavoro. Mi sono rimessa in sesto e i miei figli hanno capito e sono venuti con me. Le cose si sono sistemate insomma.
- Pure tu ti sei sistemata. Non avresti vinto il titolo se non fossi in perfetta forma
- Grazie
- Bene e ora come ti senti ad essere miss Italia?
- Non saprei. Non è una sensazione nuova. Quando mi facevo mi sentivo sempre miss Italia.
- Ma ora avrai opportunità di lavoro. La TV, il cinema.
- Sì lo so, ma allora era tutto un cinema.
- Hai dei ripensamenti? Delle nostalgie?
- No nessuna. Sono ricordi. Sono io.
- Bene il tempo a nostra disposizione è finito. Ciao, grazie e buona fortuna.
- Ciao. Grazie a te

(uno speciale ringraziamento a Simona)

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doccia

Sto facendo la doccia e suona il campanello. Sei tu. Se sto sotto la doccia e suona il campanello sei tu. Immancabilmente. Pare che hai il radar, un detector, il sonar. Tu. Che arrivi. Suoni. Io che. Corro ad aprirti e ti vedo. Tu. Dalla soglia mi metti in mano qualcosa che hai appena comperato. Mi baci sulla bocca. Con la lingua. Quasi sempre a lungo. E poi te ne vai. Sempre te ne vai. E mi lasci lì gocciolante. Con quella tua cosa in mano. Ci vediamo solo così ultimamente. Certo le mail e gli sms ci sono ma di vederci ci vediamo solo così. In questo tuo modo. E. Sono così sicuro che adesso sei di nuovo tu che stavolta non metto né l’asciugamano intorno alla vita, né l’accappatoio. Sgocciolo per tutto il corridoio e la donna della pulizia mi chiederà ancora una volta cosa ho combinato. Tocco la maniglia e ci penso un attimo. E se fosse una raccomandata? Boh, penso di rimando. E. Apro. Incontro i tuoi occhi che fissano un istante i miei e poi percorrono lentamente tutto il mio corpo esposto. Hai in mano un peluche. Sai che li odio.
- Finalmente – dici
- Finalmente cosa?
- No, niente. Posso entrare? – dici

- Come mai mi hai portato un peluche?
- Perché so che li detesti
- Appunto chiedo…
- Era l’ultima volta
- L’ultima volta di cosa?
- L’ultima possibilità
- Per me?
- Sì
- Ma certo che sei proprio str…
- Shhhhh
- !
- Sorpreso?
- M… molto
- Ti piace?
- Non so
- Non ti piace?
- Sì, continua
- Così?
- Sì
- Ti piace?
- Sì
- Non ti avvicinare con la bocca
- V…a bene
- Togli le mani
- …
- Ti piace?
- Sì
- Ti piace?
- …
- Non ti piace più?
- Mi piace molto
- Molto?
- Sì
- Mi hai pensata?
- Sì
- E come mi pensavi?
- In tanti modi
- Nessuno in particolare?
- Non saprei
- Nessuno in particolare?
- Continua
- Prima rispondi
- In particolare a quando lo facevamo
- Qualche volta in particolare?
- La prima
- La prima?
- Quando me ne stavo andando e mi hai detto baciami
- Così ti piace?
- Sì
- E cosa è successo quella volta?
- Ti ho abbracciata e baciata per la prima volta
- E?
- Mi piaceva la morbidezza del tuo corpo contro il mio
- E cosa hai fatto?
- Ti ho alzato la gonna e ti ho abbassate le mutandine
- E io?
- Tu hai detto no
- E tu?
- Mi piace
- E tu?
- Io sono tornato a casa
- Cosa pensavi?
- Che eri mia
- Non sono tua
- Lo so
- Lo sai?
- Sì
- Tieni giù le mani
- Va bene
- Non ti spogli?
- No
- Ti piace ancora?
- Sì
- E cosa facevi quando mi pensavi?
- Niente
- Mi pensavi e basta?
- Qualche volta mi sono masturbato
- Pensando a quando ti ho detto no?
- Sì
- E tutte le altre volte?
- Pensavo a quella
- Non pensavi ad altro?
- Sì
- A cosa?
- Pensavo anche al tuo urlo strano
- La prima volta?
- No, le altre, dopo
- Ti piace il mio urlo?
- Ma non lo sentono i vicini?
- Forse
- E che pensano?
- Non ne ho idea, spero gli venga voglia
- Me lo prendi in bocca…?
- Dopo
- Non resisto
- Non resistere…
- Dopo quando?
- Dopo
- Rimani con me?
- Solo dopo

- Quindi ora rimani?
- Un po’ sì
- Un po’ quanto?
- Dipende
- Da cosa?
- Da quello che mi dici
- Cosa devo dirti?
- Qualcosa su di noi ad esempio
- Su di noi?
- Sì, su di noi
- Be’, cosa potrei aggiungere? Non sono molte le persone a cui ho detto ti amo
- Quante?
- Solo tu a dire il vero
- E cosa ti ha trattenuto dal dirlo prima?
- Non ho mai incontrato la persona giusta
- O forse eri solo più giovane e avevi meno paura di rimanere solo
- Non mi credi?
- Non so su cosa si basa il tuo amore
- Sul fatto che mi piaci. Fisicamente e di testa. Mi piace come ragioni e mi piace quello che fai
- Anche quando sparisco?
- Quello no, ma credo che sia solo una fase
- Cosa ti fa pensare che sia una fase?
- Nulla in particolare. Forse lo spero solamente
- Non ti sei mai chiesto perché lo faccio?
- Non sei altrettanto sicura di amarmi forse
- E perché non mi sento sicura?
- Dimmelo tu
- Tu non lo sai?
- No
- Questa è la ragione infatti
- La ragione di cosa?
- Del fatto che sparisco
- Il fatto che io non sappia perché sparisci è la ragione per cui sparisci? Mi pare contorto come ragionamento
- Forse più che la ragione è il presupposto
- Cioè. Se io lo sapessi capirei o farei cose che non ti farebbero poi sparire?
- Esatto! Vedi io mi chiedo su cosa si fonda il nostro amore. C’è l’attrazione fisica sicuramente e c’è una certa intesa ma non riesco a vedere oltre. Siamo d’accordo su molte cose, ma quali sono le cose che vogliamo fare assieme? Vivere assieme? Dormire nello stesso letto e mangiare assieme? Andare al cinema, ai concerti e tutte queste belle cose?
- Non bastano?
- Sono cose da fratelli
- Noi non siamo fratelli
- Appunto
- Quello che è appena accaduto non è cosa da fratelli
- E secondo te basta?
- Non c’è solo quello
- Vedi… non riesco a intravedere un progetto comune
- Cosa intendi?
- Qualcosa da costruire assieme
- Dovevamo anche scrivere assieme un libro…
- Parlo di un progetto di vita
- Le cose che hai detto non fanno parte di un progetto di vita?
- No, quelle sono un progetto di convivenza
- E non è la stessa cosa?
- La differenza è enorme e il fatto che tu non la conosca mi spaventa
- …
- …
- Vuoi un figlio?
- Anche
- E cosa ci può essere di più di tutte le cose che abbiamo detto messe assieme?
- C’è
- Non capisco
- C’è e sta alla base
- Non capisco
- Lo so che non capisci
- Che cos’è?
- Tutte le cose che hai detto sono deformabili
- Tutto è deformabile
- Il tempo fa e disfa e i giorni passano senza più intenzioni comuni. Tutto si appiattisce e si livella al minimo
- Questo è il rischio ed è un rischio che con te mi sento di correre
- Volessimo le stesse cose non lo correremmo affatto
- Ma vogliamo le stesse cose
- Vuoi un figlio?
- Be’, non ora
- Perché non ora?
- Mi pare ci siano molte cose che possiamo fare assieme prima di avere un figlio
- Cose di che tipo?
- Vivere assieme ad esempio
- Quindi nemmeno tu sei sicuro e non vogliamo le stesse cose
- Tu vuoi un figlio?
- Sì
- Ora?
- Sì
- Con me?
- Questo non lo so
- Ecco vedi. Nessuno è mai sicuro di niente tranne che della morte
- Siamo morti se non abbiamo un progetto
- Ma noi ce lo abbiamo
- Stiamo solo facendo quello che fanno tutti, la nostra è solo una resa. Fisiologica, biologica. Nulla a che vedere con la crescita
- Non ti capisco
- Non c’è sintonia
- Come no? Sono venuto ad aprirti nudo, sapevo che eri tu
- Ma non mi capisci
- Non del tutto
- Io invece ti capisco
- E cosa capisci?
- Che sei una bella persona ma a me non basta
- Tra un po’ mi incazzo
- Hai ragione. Vedi che ho fatto bene a portarti un peluche?
- E lo dici sorridendo?
- Non dovrei?
- Che stai facendo? Non dovevi rimanere?
- Mi vedo con un’altra persona
- Chi?
- Non lo conosci
- Ora capisco
- No, non capisci
- Non ti basto
- Nemmeno lui mi basta
- Ma si può sapere cosa vuoi?
- No. Game over

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i sandali (reprise)

Ci sono notti che sogno di essere solo al mondo. Notti consecutive in cui sogni differenti si ripetono con questa stessa costante. Sono solo al mondo e cerco una donna. Non una donna qualsiasi. Non sono sogni erotici in cui cerco per scopare. Cerco la donna della mia vita. Quella con cui formare una famiglia. Poi mi sveglio in preda all’abbandono e vedo la sagoma di mia moglie. Lì sdraiata nel letto accanto a me. Sotto le lenzuola. Non li faccio mai per una sola notte. E quando si ripetono per una intera settimana. Mentre la vita di tutti i giorni continua nel suo tran tran. Io alla fine. Quando sono solo in casa. Quando non ci sono nemmeno i bambini. Apro l’armadio dalla mia parte e cerco la scatola con i sandali. La tiro fuori. La poso per terra e la apro. Un poco li guardo lì per come sono messi, punta retro. Poi li sfilo dalla scatola e li poso a terra. E li guardo. Sono adorabili perché sembrano sandali da bambina. In cuoio con quattro stringhe intrecciate. Solo che tre stringhe sono colorate. Una di fucsia, una di viola e l’altra d’azzurro. Tutto il resto mantiene il colore del cuoio. Non lo so perché se ne sia andata scalza. Anzi lo so. Voleva sentire la sabbia sotto i piedi. Voleva sentire che era capace di camminare da sola. Per una strada che stava solo intravedendo. Così non le serviva niente che la separasse dal contatto con la spiaggia. Anche la camicetta l’aveva messo all’ultimo. Quella perché poi lo sapeva che dopo la sabbia c’era la strada con la necessità di chiedere un passaggio. A qualcuno che forse le avrebbe chiesto cosa ci faceva in giro scalza. Credo che a lei avrei potuto perdonare mille tradimenti. Ma non il fatto di non amarmi. Non so dire esattamente quale sia l’emozione che mi tiene inginocchiato a terra mentre guardo i sandali. Certo è un’emozione molto forte. Che mi comprime dentro. Mi imbottiglia l’anima. O forse. Semplicemente. Mi fa vedere come sia stata imbottigliata. Poi. Dopo un tempo che non saprei definire. Prendo i sandali e li rimetto nella scatola e la scatola al suo posto dentro l’armadio. Mi alzo e torno a fare le mie cose. Mezzo morto e mezzo vivo. Lasciando sprofondare nei gesti quotidiani tutto quello che mi manca.

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i sandali

Me li ha lasciati in macchina i sandali. E se ne è andata scalza. Sulla spiaggia. Dove avevamo parcheggiato su un tratto umido di sabbia compatta, a rischio di non poter più ripartire. Pensavo tornasse indietro, arrivata ad un certo punto, e invece, lontana che nella luce della sera la vedevo e non la vedevo, ha svoltato verso la strada ed è sparita. Dovevamo andare a vivere assieme. Trovare un appartamento grande abbastanza, per noi e per eventuali figli. Lei doveva solo dare la laurea. Poi non sapeva bene cosa voleva fare. Ma un passo alla volta. Uno alla volta dicevamo. Quella sera, dopo la pizza, avevamo deciso per quella gitarella al mare. In spiaggia, senza lasciare l’abitacolo, avevamo cominciato subito a baciarci. Poi lo avevamo fatto e poi senza rivestirci avevamo cominciato a parlare. Mentre parlava la osservavo e la sentivo diversa. Mi pareva distante, ma forse stavo fraintendendo. Forse la poca luce che dopo il tramonto sgrana le cose. Così a un certo punto, interrompendo la descrizione delle manie del suo relatore, gliel’ho chiesto. Cos’hai. E la risposta è arrivata secca a spandere silenzio per chilometri. Ci ha pensato solo un istante. Un suo piccolo momento di indecisione. E poi. Non ti amo più. Che mi ha lasciato senza fiato. Senza replica. Il modo. L’espressione del viso. Era irrevocabile. Così sono arretrato. Lentamente. Nudo. Sono tornato sul mio sedile e l’ho guardata rivestirsi. Lentamente. In silenzio. Tutti e due in silenzio. Solo i fruscii dei suoi movimenti. Delle mutandine e della gonna infilate con calma. La sua schiena mentre con le gambe fuori dall’abitacolo si allacciava il reggiseno. E poi si è alzata in piedi e ha indossato la camicetta camminando in direzione del porto. Che da lì però non lo vedi. Fino a quando, come ho detto, è sparita. Scalza. Mi ha lasciato i sandali ed è sparita. Di lei non ho più saputo nulla. Ho conservato i sandali. Di lei non ho più voluto sapere nulla. Li tengo in una scatola bianca, in basso a destra, nel ripiano dell’armadio a muro dove ci sono i miei vestiti.

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