fai il bravo

Il Fast Food è davanti alla Banca e io li vedo quelli che escono dalla banca. Conosco il giro come lo conoscono tutti. Vedo le borse che portano in mano e so esattamente quali sono gonfie di soldi. Lo sanno tutti quali sono. I miei problemi psicologici sono quelli di un precario. Contratto a progetto. Il progetto è friggere hamburger e patatine. Con la cuffia. Soffro di eiaculazione precoce. Oppure non vengo mai e mi si smolla. Un cazzo precario insomma. Alla mia morosa piace bere. Aspirante alcolista nota. Una volta mi ha detto che sono impotente. Sono andato su Wikipedia a vedere di cosa si tratta scientificamente. Una questione psicologica appunto. Ho vent’anni ed escludo a priori altre patologie erettili. Comunque li vedevo quelli che uscivano dalla banca. E c’era una bella figa. Usciva il mercoledì. Sempre di mercoledì. La sua borsa era tra le più gonfie. Non conosco e non voglio capire certi meccanismi. Io dovessi riciclare i soldi li metterei in mano a uno che fa body building, karate, kung fu. La bionda invece aveva la pistola. Lo ha capito subito cosa volevo. Passamontagna d’estate non è normale. Ma. Lavoro di fronte e un minimo di precauzione per la faccia mi pareva necessaria. La pistola l’ho vista, calcio e canna, ma il mio pugno nel mento è arrivato prima. Stesa. Ho preso la borsa e ho cominciato a correre nell’assoluta libertà della legge inesistente. Avevo la bici in piazza e pedalando veloce son tornato a casa con quella. E la borsa appesa al manubrio. Pedalando veloce. Niente targa. Per due giorni non ho mangiato, non ho dormito e non ho risposto al telefono. L’ultima voce che usciva dalla segreteria telefonica era della mia morosa e diceva: scei fhuori dalha miha vitha. In ogni caso niente sirene e macchine bianco azzurre a circondare la casa. Un delitto perfetto. Ho aperto la borsa e in banconote da cinquecento ho contato un milione tondo di euro. Duemila banconote esatte. Avevo il mondo alle calcagna. Ma. Il mondo non sapeva chi ero. Siamo tanti. Con un passamontagna sei anonimo. E. Per la violenza in strada ci sono solo indifferenza e paura. Sicuramente la mia azione determinerà una svolta nel riciclaggio. Non so quale e non so quando. Che mi interessa? Mi sono licenziato dal Fast Food e ho comperato delle tele al Colorificio Sanmarinese. Tele grandi. Due metri per tre. Da portare sul portabagagli della Uno con l’elastico. E ho comperato cinquanta barattoli di tempera acrilica nera. Per dipingere adopero una forchetta. Ne ho fatti un centinaio di quadri neri e da tempo in chat conoscevo Ibiza con cui facevo sesso virtuale. Le ho parlato dei miei quadri e lei ha parlato del fatto che conosce un critico d’arte. Scopano sul serio loro. Ho conosciuto sia Ibiza che si chiama Irene e il critico che è venuto con lei a casa mia. Insomma. I quadri neri sono diventati famosi. Io sono diventato famoso. Ho fatto una scultura con la mia prima forchetta e l’hanno venduta per ottomila euro. La vecchia morosa vorrebbe tornare con me e mi lascia biascicanti messaggi in segreteria. Io voglio stare solo. Al massimo contattare Ibiza ogni tanto. Perché sinceramente. Mi pare tutta una follia di cui non ci ho capito un cazzo. Mio padre è morto. Mia madre ha sessanta anni e mi ha visto in tv. Mi ha detto che lei me lo ha sempre detto che a fare il bravo ci si guadagna. Sempre. E io me lo sento che sono stato bravo. Ma accumulo soldi più che posso. Ho ancora la bici e viaggio con la Uno e faccio vita ritirata. Artista autodidatta e tenebroso. Finché dura. Perché come dicevo. Mica può essere chiara la situazione se tutti i tuoi quadri sono neri.

Posted in racconti | Leave a comment

amore mio adorato

- Claudio mi ha mandato questa lettera, tieni leggila
- È bella come le altre?
- Sono preoccupata, leggila ad alta voce
- Se ti fa piacere
- Sì, ti prego
- Amore mio carissimo, mia amata Giulia, già dagli incipit delle mie lettere ti sarai resa conto che uso parole che, se fossi a casa, non mi sentiresti mai pronunciare. Eppure non c’è nessuna enfasi in esse, ora. È così che ti sento. È così che mi manchi. Comincio a temere che questa guerra non finirà mai. Quelli che i capi definiscono ribelli sono ormai metà della popolazione e tentare di tenerli sotto controllo con le armi mi pare sia diventata una impresa disperata e disperante. Sì. Almeno noi soldati la sentiamo così. Stando almeno alle parole che ci scambiamo tra commilitoni, io e Mario, sempre attenti a non farci sentire dai superiori. Come sai i nostri nemici hanno armato anche i bambini e non lo hanno certo fatto per intenerirci. Questi bambini sono abili, veloci, efficaci. Micidiali insomma ed è solo grazie all’intervento di Mario, che mi copriva, che uno di loro non mi ha piantato una palla in fronte l’altro ieri. Mario lo ha ucciso. Li uccidiamo. Personalmente ne ho uccisi già otto e il più piccolo avrà avuto si e no dieci anni. Dobbiamo farlo perché si tratta di noi o loro. Capisci? Riesci a capire? L’orrore che si delinea in queste nostre azioni di repressione e rastrellamento è una cosa a cui non possiamo permetterci di pensare troppo. Loro sono il nemico. La colpa è della gente che li ha armati. Non è nostra. Non posso pensare nemmeno per un istante che sia anche colpa nostra, ma penso che per me sia una fortuna non ricordare i sogni che faccio. Mario mi dice che la notte parlo e sono agitato. Eppure dormo. Ogni notte dormo. Mi sdraio e crollo e ora ti chiedo come stanno i nostri figli. Come va il grande a scuola? E il piccolo si sveglia ancora di notte? Mi manchi tanto davvero. Qui gli altri frequentano i bordelli, ma io e Mario con una puttana non ci andiamo. Per quanto mi riguarda non è questo che mi serve. Io voglio te. Mi manchi e ti penso. E a volte pensarti mi eccita tanto che mi devo soddisfare da solo. Per farlo penso alle volte che vengo in licenza. Sono già passati tre mesi dall’ultima. Penso a come aspettiamo con ansia che i bambini dormano per buttarci a letto. Io e te. L’ultima volta col vino è stata fantastica. Forse la notte sogno anche te. Sicuramente ti sogno. Ma non ricordo. Non ricordo nulla e credo che alla fine sia meglio così. Ora ancora non so quando ci potremo rivedere. Quando ti potrò riabbracciare e baciare. Uccidere è diventato normale. Certo un soldato sa che questo può fare parte dei suoi compiti. Eppure non pensavo che sarebbe diventata una cosa quotidiana. Una cosa a cui mi sarei abituato. Guardo i corpi stesi nella polvere o nelle stanze delle case che perquisiamo e non provo nulla. O noi o loro. Dopo una sparatoria da cui noi usciamo tutti senza un graffio ci capita di sorridere, a volte di ridere, soddisfatti. È questo il nostro lavoro adesso. Siamo una missione di pace. Portiamo la pace. Ci penso sempre perché come sai all’inizio temevo di non reggere. Di impazzire. Il volto di quel bambino sta impresso a fuoco nella mia corteccia cerebrale. È sbucato da dietro l’angolo. Era già pronto, ma ho premuto il grilletto per primo. Poi ho vomitato. Quante volte te l’ho raccontata questa scena? Nei dettagli. Partendo dall’inizio. Oppure solo il finale o per sommi capi. Solo accennandola. Con quel vomito ho buttato fuori qualcosa che prima avevo e che ora non ho più. Sento una piastra fredda al suo posto. Non so cosa fosse e non so cosa sia adesso. So solo che mi permette di andare avanti e di farti arrivare sul conto i soldi che ci servono a pagare il mutuo e a fare vivere decentemente i nostri figli, e te. Avessi terminato gli studi forse farei un altro lavoro. Ma questi sono ormai pensieri remoti. Amore mio adorato. Ora non so più cos’altro aggiungere anche se in realtà le parole non bastano mai. Le parole non possono riempire il vuoto che sento se non in piccola parte. Per il tempo che mi portano via mentre le scrivo. Vorrei essere lì. Con te. Adesso. Guardarti in faccia e tenerti la mano. Abbracciarti forte. Potrebbe tranquillamente passare un altro mese prima che io possa tornare in licenza. Forse due. I ribelli sono agguerriti e il nostro impegno è sempre più richiesto e urgente. Sono lontani insomma i giorni in cui ci si limitava a presidiare la caserma. Ti dico cose che sai. Te le ripeto perché farlo mi fa sentire in contatto con te. Ora usciamo in missione ogni giorno, anche due volte al giorno. Con me c’è sempre Mario. Con lui mi sento al sicuro. Lui mi protegge e mi copre le spalle. Stiamo parecchio assieme. Parliamo. Ridiamo. Sì. Troviamo la forza per ridere e anche questo non mi fa impazzire. Ecco. Ora suonano per il rancio.
A presto mia adorata.
Tuo Claudio
- Che dici?
- Ma Mario non è l’amico che gli hanno ammazzato il secondo giorno che stava là?
- Sì, lui

Posted in racconti | Leave a comment

la finestra

L’avevo intravista qualche volta mentre entrava nel cortile accanto. Sì era trasferita lì da poco. Da sola, pareva. Già la conoscevo. Di vista certo. Solo di vista. Alle casse del supermercato io mi mettevo sempre in fila dove la cassiera era lei. E. Quando non c’era. Quasi mi dispiaceva. Non poterla guardare sempre più da vicino. Zoomando in avanti mano a mano che i carrelli passavano oltre. Vedere sempre più distintamente i suoi occhi e le sue labbra. Poter sbirciare nella sua scollatura mentre passava i prodotti sul lettore ottico. Certo senza vedere nulla di particolare. Ma con estremo piacere per forme che mi appagavano profondamente. Da vicino cercavo di indovinare il suo profumo. Quando allungava il braccio per passarmi il bancomat. Mette il profumo sui polsi. Poi una sera mentre andavo a buttare la spazzatura ho girato la testa verso il gruppo di case dove abitava e, nella più vicina alla mia strada, si è accesa una luce. C’era lei. Dietro la finestra. Al telefono. È stato così che mi è venuta l’idea di cominciare a chiamarla. Per sentire la sua voce. Per provare anche questo piacere. Visto che il grazie buongiorno detto alla cassa non mi poteva certo bastare. Ma cosa mi poteva bastare? Nulla che fosse troppo poco. E tutto mi pareva troppo poco. Così una sera che già faceva buio mi sono addentrato nel suo cortile e ho spiato nome e cognome sul campanello. Il fatto che la casa fosse una bifamiliare mi ha facilitato il compito. Così con nome e cognome stampati in mente sono tornato a casa e ho cercato il numero sulle pagine bianche. Il nome della via corrispondeva. Ho esitato. L’ho annotato su un post-it e ho preso il cordless. Dal cassetto ho preso il binocolo e mi sono spostato alla finestra della cucina che dà proprio da quella parte. La luce da lei era già accesa. Ho fatto il codice per rendere il mio numero riservato e poi ho composto il suo numero. L’ho vista arrivare dentro al binocolo e alzare la cornetta. La vedevo bene. Non come alle casse, ma bene.
- Pronto – ha detto
E sono stato zitto.
- Pronto chi parla?
- …
- Chi è?
- …
- Pronto
- …
- Che scherzo del cazzo – ha detto e ha riattaccato
Dentro al binocolo l’ho vista fissare per qualche istante la cornetta e poi andarsene. Da quella sera l’ho chiamata ogni sera. E. La sua voce si è fatta via via sempre più allarmata. L’ultima volta, gridando, ha minacciato di denunciare il fatto alla polizia postale se non la smettevo. Questo mi ha spaventato. Ho smesso di chiamarla. A volte passavo davanti al cordless e mi fermavo a fissarlo. Indeciso e timoroso. Una volta ho composto il suo numero e poi ho posato il telefono. Da allora mi sono limitato a guardarla alle casse. Non osavo intavolare un discorso. Nemmeno commentare la temperatura o il tempo. Sono timido. Poi alla festa del quartiere stavo con un amico e la abbiamo incrociata. Stava assieme a una amica. Lui le conosceva e ci ha presentati.
- Ma io ti ho già visto – mi ha detto lei
- Al supermercato
- No, abiti vicino a casa mia
- Vero – ho detto io, cercando di ricordare se quando la chiamavo avessi mai fatto l’errore di tenere la luce accesa.
Ma lei ha sorriso. Così con la sua amica si è unita a noi e siamo andati a bere una birra che un poco ha sciolto la mia timidezza. Sorrideva. Mi sorrideva. Strano non mi avesse mai notato al supermercato se mi sorrideva a quel modo. Ci andavo anche due volte a settimana dopo che avevo smesso di chiamarla. Chiacchierando è venuto fuori che ci piaceva il cinema.
- Scambiatevi il numero – ha detto il mio amico notando quella reciproca simpatia
- Dammi il tuo che ti chiamo io – ha detto subito lei
Ero sorpreso. Molto. Le ho dato uno dei miei biglietti da visita. Quelli che ho disegnato io sottolineando il fatto che li avevo disegnati io.
- Carino – ha commentato
Da quella sera ogni sera ho passato del tempo alla finestra della cucina, col binocolo e il cordless vicini. Ad aspettare. Vedevo la sua luce accendersi e spegnersi. Poi una sera la luce si è accesa. Lei ha preso la cornetta e poco dopo il mio telefono ha squillato. Avevo il cuore in gola. Dopo la serata al cinema con lei ce ne sono state altre. Cinema e concerti. Un sacco di cose in comune.
- Come mai vivi sola in una casa così grande? – le ho chiesto una sera, fuori di casa sua, dopo che l’avevo riaccompagnata
- Non ho parenti. L’ultimo, il nonno, mi ha lasciato dei soldi che uniti agli altri mi ha permesso di comperarmi questa casa. Mi piace avere spazio.
- Pure io vivo solo
- Per te è diverso
- Perché?
- Lo sai che tempo fa mi telefonava un maniaco? -
Mi è saltato il cuore in gola, ma ho mascherato molto bene l’emozione che mi voleva contagiare la voce. Complice la poca luce dell’abitacolo non ha notato la mia espressione.
- Che faceva? Respirava? – le ho chiesto per dissimulare
- No nulla, chiamava e basta. Poi ha smesso. Ma uno di questi giorni faccio la denuncia e dai tabulati scopro chi era – ha detto seria
- E perché, se non ti chiama più?
- Magari starà infastidendo qualcun’altra
- Magari no
- Non lo so. Certa gente non si deve permettere. Certa gente non deve esistere
- Io lascerei perdere
- No. Chiamava ogni sera. Ero terrorizzata
- E perché non lo hai denunciato prima?
- Avevo paura. Ma ora ci sei tu – ha detto e mi ha baciato

Posted in racconti | Leave a comment

seguimi

Non lo so perché lo faccia, ma tuo marito guarda dentro il mio piatto. Mangia nel suo e guarda nel mio. La porzione che mi sono preso. Abbondante. Mi piace mangiare e mentre lo faccio lui mi parla del colesterolo e della glicemia. Sono due anni che non faccio le analisi. A me non importa. A lui sì. Me lo chiede e gli rispondo. Fa una faccia perplessa. Vuole essere allarmante. Ma io mi verso un bicchiere di rosso e tu mi chiedi di versarlo anche a te. Cafone che sono. Dovevo chiedertelo. Sorridi mentre alzi il bicchiere. Sorridi a me. Prima. E poi a lui di rimando. Dopo avere bevuto. Ma lui non lo nota nemmeno. Mi chiede da quanto tempo ho smesso di fare sport. È un anno esatto dico. Si vede dice lui. Sei ingrassato dice.
- Sì di quattro chili e mangio e bevo di più.
- Dovresti pensare di più a te stesso. Prenderti cura di te
- È quello che faccio, me la godo
E subito dopo averlo detto sento il tuo piede contro la mia gamba. Ti guardo e slacci un bottone della camicetta. Bianca. Non si vede nulla più di prima. Ma
- Che caldo – dici
Lui nemmeno ha visto quello che hai appena fatto. Non è geloso? Non lo so. Guarda me e continua con consigli e ammonizioni. È più in forma di me. Non ha un grammo di pancia. Ha i capelli e io no. Lui è più sano di me. Ma il tuo piede sale lungo la mia gamba, si ferma alla patta, e preme un poco. Ti guardo sorpreso. Tu sorridi. Togli il piede
- Vado a rifarmi il trucco – dici
Subito non capisco. Sono tardo.
- Anche io devo andare in bagno – dico poi a tuo marito
Dopo averti guardata da dietro mentre ti allontanavi dal tavolo.
- Così finisco la mia porzione e poi passiamo al secondo – dice lui che continuando a parlare sempre ha ancora mezza roba nel piatto.

Posted in racconti | Leave a comment

ahahahah

- Cosa ha da dire a sua discolpa?
- Nulla. L’origine è il dolore. Urla tua madre e urli tu. Io. Cerco rimedio. Parlo di me, che di voi, sinceramente, non mi frega un cazzo. Io. Adattamento continuo tra ciò che vorrei e ciò che è. Regole. Educazione e analgesici. Analgesici per il dolore. Il primo. Il mal di denti. Ho avuto un dentista nazi quando ero piccolo. L’anestesia fa più male del trapano diceva. E io. Urlavo. Urlavo. Urlavo. E lui trapanava e diceva ridendo che facevo scappare gli uccellini. Odio puro e distillato. Per lui. Camice bianco. Imprinting. Per il resto della vita. Per i camici bianchi. Credo. Io credo. E rido di quello che credo. Perché è poca cosa. Camici bianchi. Dolore. Ansia. Sospetto. Prevenzione. Prevenzione. Parola terribile e fondamentale. Quante cose ci sono da prevenire. Ma. riusciremo a prevenirle tutte? Ahahahahahah. No. E all’asilo ero in bagno e non mi sapevo pulire. Madre madre madre. Gridavo alle suore. Sì, rispondeva una voce di bimba. Madre madre madre. Gridavo. Suor Cinerina è entrata nel cesso, lei, voce di bimba, e prima di pulirmi il culo mi ha pestato. E. Ho pianto. Pianto. Pianto. Ma. È così. Che si. Cresce. E crescendo ho sviluppato l’odio. Indistinto. Per tutti. Ogni volta che una delle mie bombe fa una vittima io sono felice. Le preparo con tanta cura sapete? In modo che risultino anonime e accattivanti al tempo stesso. Poi le metto in posti insoliti. Isolati. Dove piazzarle è uno scherzo. Poi aspetto. A volte mesi. A volte giorni. Sono confezionate bene. Resistono a tutte le intemperie. Acqua, neve, gelo, sole. Non fanno nulla. E. Aspetto con ansia. Ho dalla mia gli analgesici. A volte qualche goccia di Valium. Lo so che la mia logica non è la vostra. Per voi sono malato. Ma dove mi sono malato? Sono nato malato? Come mai mi sono malato? Voi lo sapete?
- Ha altro da aggiungere?
- No
- Cosa si aspetta adesso?
- Spero tanto nella pena di morte

Posted in racconti | Leave a comment

- Sì
- Sì
- Sì
- Sì
- Sì
- Sì

Posted in racconti | 2 Comments

nozze


Suona il campanello. Data l’ora sai che è lui. Ha le chiavi, ma gli piace farti correre ad aprire. Per quanto tu faccia presto lui a denti stretti ti chiede sempre cosa stessi facendo e qualsiasi cosa tu risponda subito arriva il primo schiaffo. In faccia.
- Che fai con quelle mani? Che credi di fare con quelle mani? Vuoi ripararti? Ti vuoi riparare? – dice sopra agli altri schiaffi mentre entra.
Spesso va così. Specie nel fine settimana. Il giorno peggiore è il venerdì. Non lo sai il perché. Poi arrivano i pugni e se cadi arrivano i calci. Cerchi di non cadere, ma se il pugno colpisce lo stomaco o il fegato il k.o. è sicuro. I calci non te li dà in faccia. Preferisce la pancia e la schiena. Al pronto soccorso con tre costole rotte hai detto che sei caduta dalle scale.
- Basta, basta, basta
Quando dici basta pare che lui si ecciti e picchi più forte. Così ora. Lasci uscire solo i lamenti. Hai detto che lo lasci. Una sera che non ti ha picchiata hai preso coraggio e glielo hai detto. Ha detto che se lo fai ti cerca, ti trova e ti uccide. Lo ha detto calmo. Con un tono che ti ha convinta. E hai paura. Sai che ne è capace. Ora ti sanguina il naso. Lui con te ha smesso e si è seduto a tavola. Tieni un fazzoletto sotto al naso e con l’altra mano lo servi. Poi vai in bagno e ti lavi la faccia. Ti guardi allo specchio. Non piangi. Controlli il naso. Lo sciacqui ancora con l’acqua fredda. Non sanguina più. Dalla tasca davanti dei jeans tiri fuori la cannuccia di biro tagliata a metà. Dalla tasca posteriore sinistra estrai la bustina. Apri la bustina e la appoggi sul bordo della vasca da bagno. Ti inginocchi e con la cannuccia sniffi. Un colpo per narice infilando la cannuccia nel mucchietto. Non frazioni più. Non fai più le righe. Infili la cannuccia nella polvere e tiri. Quasi subito ti senti meglio. Poi ti senti donna. Poi ti senti figa. Torni di là e sei pronta per la cena. Lui ti parla di una causa che ha vinto e del fatto che al negozio è arrivata la collezione autunnale. È calmo ora. Si è versato un bicchiere di rosso e poi un altro. Ti chiede come è andata in libreria. Le nozze sono fissate per marzo. La convivenza serve a capire quanto si sta bene insieme.

Posted in racconti | Leave a comment

inevitabile

Gli scuri chiusi lasciano filtrare la luce del sole. Da quanto tempo siamo nascosti qua dentro? Il letto è sfatto e non ci siamo mai addormentati. Troppo nervosi. Abbiamo preso la camera in fretta e furia. Non parliamo. Parliamo a monosillabi. Ho perso l’orologio. Dove cazzo mi è caduto? Tuo marito ci cerca. Te ne stai rannicchiata nell’angolo. Una fetta di luce ti cade su metà faccia. Sulla spalla. Sei immobile. Guardi in alto. Aspetti. Aspettiamo. Quando ci trova mi ammazza. Che dici se chiamo la reception perché almeno rifacciano il letto? O lo rifacciamo noi? Il letto. A letto. Lo rifacciamo.

Posted in racconti | Leave a comment

lei, lui, io

- Posso?
- Prego – dice lui
Si avvicina la cameriera.
- Cosa le posso portare?
- Una grappa, grazie!
- Che vuoi?
- Riportarti a casa mia
- Non ci torno a casa tua
- Stai con lui?
- Sta con me
- Stai con lui?
- È mio marito
- Mi pare una ragione stupida
- Ci sono i bambini
- Ci sono io
- Tu …
- Tu stai zitto!
- Non fare così!
- Ti piace quando faccio così e ne ho quattro dosi in tasca
- Q… quattro?
- Quattro e le sprizze
- Dove hai trovato i soldi?
- Cavalli
- Sei pazzo
- Sì
- Ti alzi?! – dice lui
- Mi spiace caro
- E i bambini?
- Mi spiace
- Andiamo? – dico io
- Andiamo – dice lei
- Un attimo – dice lui
- Ecco la sua grappa – mi dice la cameriera
- La beve il signore – dico io

Posted in racconti | Leave a comment

sondaggio

- Pronto
- Ministero delle finanze
- Buongiorno
- Stiamo facendo un sondaggio
- Non mi interessa
- In che senso?
- Non voglio rispondere
- Prima aspetti le domande e poi decida
- No
- Lei ha figli?
- Non ho intenzione di rispondere
- Era una domanda preliminare, sappiamo benissimo che ha due figli
- Ho da fare
- Per i suoi figli si rivolge a centri specializzati o ai grandi magazzini?
- Io non ho due figli
- Non sia maleducato
- Sono un evasore?
- Non ho detto questo
- Non ho intenzione di partecipare al sondaggio
- Le persone maleducate vengono schedate
- Mi schedi con gli islamici
- È islamico?
- Boh
- Come vuole lei, ma qui stiamo lavorando
- Pure io
- Non come noi
- C’è lavoro e lavoro
- Cosa intende?
- Nulla
- Nulla?
- Nulla
- Sia gentile
- Non sono gentile
- Abbiamo il dovere di entrare nella sua intimità
- Vuole scoparmi signorina?
- Signora
- Vuole scoparmi?
- Quanti figli ha?
- Ne ho avuti 35 da diverse mogli e 32 li ho venduti alla sperimentazione farmaceutica e al commercio di organi
- In nero?
- Ho dichiarato tutto
- Sì in effetti questo ci risulta
- Sono bravo no?
- Lei è ligio
- Non voglio rogne
- Ma si rivolge a centri specializzati o ai grandi magazzini?
- Al cazzo, io fotto e dichiaro, il netto è mio
- E sua moglie?
- Io non sono sposato

Posted in racconti | Leave a comment