Quando ho lasciato uscire il mostro in giardino, la prima volta intendo, dopo le sue infinite insistenze, a colazione, a metà mattinata, a pranzo e a cena e un paio di volte a notte fonda, l’ultima volta in particolare, alle quattro di notte, mentre sognavo di sfrecciare in basso giuliva sullo scivolo dell’AquaFan per schizzare nel tuffo ristoratore ecco la sua voce, sempre uguale, voglio uscire, sempre e solo quelle due parole, ripetute all’infinito, lo scivolo rassicurante nella sua larghezza si è piegato e contorto come fosse di lamiera e mi sono ritrovata per aria e poi al buio e poi a letto e poi la sua sagoma che si stagliava contro la luce accesa del corridoio, lui appoggiato allo stipite che ripete voglio uscire e io di colpo inaspettatamente per me inaspettatamente cedo, crollo dentro e gli dico domani esci, e lui mi guarda in controluce non lo vedo in faccia, mi guarda e esita e poi mi chiede se voglio solo farlo tornare a letto per dormire in pace e io gli dico no, domani esci, e lui se ne torna a letto e il giorno dopo eccolo là, in giardino, lo guardo dalla poltrona, vedo la sua sagoma balzellante oltre la tenda bianca e poi mi alzo e scosto la tenda e lo guardo chinarsi e toccare l’erba, ne stacca un filo e lo annusa, poi lo mette in bocca e lo mangia e fa la stessa cosa con una foglia d’ulivo mentre dal lato opposto della strada la vicina esce sul balcone e lo guarda incuriosita per qualche istante e poi rientra e penso ecco ora chiama i carabinieri o la polizia, ma d’altra parte meglio così, non lo potevo tenere ancora chiuso in casa, mi impazziva, mi faceva del male o si faceva del male, ci facevamo del male, ora arriva la polizia e questa storia finisce e gli porto la frutta e i dolci nel posto dove lo rinchiuderanno dopo che la vicina avrà digitato 112 o 113, qualcuno di loro ora arriva, la legge, o il 118, anche l’ambulanza perché no? e mi stupisco quando la vicina esce da sotto, dall’ingresso, mano nella mano con suo figlio che tiene sottobraccio un pallone e si avvicinano al mio mostro e lei si mette a chiacchierare con lui che le dà la mano e poi fa un saluto al bambino e poi lei se ne va lasciando suo figlio e la palla in compagnia del mostro che comincia a giocare con il figlio dei vicini. Sono incredula. Li guardo. I loro corpi diventano figure e mi si annebbiano e offuscano nelle lacrime. Piango a singhiozzi. Piango forte e mi lamento di gioia. Mio dio mio dio. Tutta la mia paura in tutti questi anni. Sono stata una stupida. Quanto abbiamo sofferto? La prima cosa che è successa è stata giocare a palla, cosa mi credevo? Non hanno visto il mostro, poi anche gli altri, quando si è sparsa la notizia che c’era uno nuovo nel quartiere, non vedevano il mostro, ci giocavano, lo cercavano, telefonavano, ho dovuto comperargli il cellulare. E dopo una decina di giorni, tredici per essere esatta, alla compagnia in giardino, abbiamo il giardino più grande del quartiere, a tutti quanti quei ragazzi si è aggiunto un altro mostro, non ho capito di chi sia, ma la cosa certa è che l’ho visto solo io, l’ho riconosciuto solo io, solo io ho visto che era un mostro, tutti gli altri là fuori giocavano con lui e col mio mostro. Come se nulla fosse.
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