Di Stefano Todisco
Luogo misterioso e romantico al contempo, più o meno a metà strada fra Milano e Lecco, Montevecchia è un piccolo comune arroccato sul fianco di una collina situata nell’omonimo Parco regionale di Montevecchia e della Valle di Curone.
Il fascino di questo luogo è riposto nella conformazione del territorio, secondo alcuni dominato dalle tre “piramidi” collinari, allineate e adattate ad ancestrali calcoli astronomici, realizzate da antichi popoli (c’è chi dice i celti).
Il panorama cambia a seconda dell’ora del giorno e della notte; in qualunque momento però, Montevecchia è la “vedetta” brianzola tra Milano e i laghi di Lecco. Le poche luci del paesino, dopo l’imbrunire e il tramonto, garantiscono un’ottima visuale, a dir poco eccezionale: i profili scuri delle colline fanno da contrappeso alle centinaia di bagliori dei centri della Brianza e del milanese che si adagiano nelle valli e verso l’orizzonte.
La postazione privilegiata per le osservazioni è il piccolo borgo antico, sormontato dalla collina che ospita il santuario della Beata Vergine del Carmelo (XVII secolo, su preesistenze). Nella piazza prospiciente la facciata della chiesa ci si trova nel punto più alto di Montevecchia, quello che secondo la leggenda fu una delle tre cime delle piramidi-osservatorio astronomico. Il continuum d’uso, sempre secondo la leggenda (in mancanza di prove archeologiche certe), si mantenne sotto il dominio di Roma, epoca in cui l’altura divenne sede di un appostamento per le vedette. Infatti il nome di Montevecchia deriverebbe da Mons Vigiliae (monte della vedetta) mutato poi, nel tempo, in Mons Vegia fino all’odierno nome (in dialetto Munta-vègia).
Forse non sapremo mai la verità sulla fortificazione d’avvistamento d’età romana, vista l’impossibilità a scavare sotto la chiesetta adagiata sulla cima del colle, ma l’incantevole attrazione di questo luogo è suggellata dal tempietto, raggiungibile unicamente tramite una scalinata; a metà di questa, due cancelli portano all’emiciclo posto dietro il santuario e recante le tappe di una Via Crucis settecentesca in arenaria locale.
Se mai vi fu un luogo di culto preromano dedicato ai culti celesti, esso fu corroborato dall’amenità del panorama e dall’elevatezza del piccolo insediamento perché, una volta giunti a Montevecchia, è praticamente impossibile non fissare il cielo stellato o l’orizzonte immenso che si presenta davanti allo spettatore.