L’incipit di Milano Criminale
L’uomo cammina tranquillo sul ciglio della strada. Scarpe ricoperte di polvere e l’aria di chi ha tutto il tempo del mondo a disposizione. Ogni tanto si guarda intorno con naturalezza, passeggia e tiene una mazza ferrata e una calibro 9 infilate nella cintura.
A qualche metro da lui, un paio di uomini in tuta da lavoro su un furgone grigio. Stanno in silenzio e nessuno bada a loro, tantomeno ai mitra che tengono sulle ginocchia.
Poco distante, un signore, capelli brizzolati e sigaretta appesa a un angolo della bocca, sfoglia un giornale. Lentamente; troppi minuti su ogni pagina per risultare credibile. È seduto dentro una FIAT 1400 nera con un ferro che gli preme contro la coscia destra.
Accanto all’auto, un ragazzo. Immobile. Un rigonfi amento nella giacca: un cannone anche per lui.
Indossano tutti il toni, la tuta blu da operaio; abbigliamento perfetto per confondersi fra i passanti di quella zona piena di fabbriche e opifici manifatturieri.
Un occhio esperto avrebbe capito tutto. Previsto quello che stava per accadere. Ma non c’erano occhi esperti nei paraggi.
Le danze si aprono quando il furgone portavalori fa capolino all’imbocco della strada. La filiale della Banca Popolare è a nemmeno cinquecento metri. La prima del giro. Velocità moderata e occhi aperti per i tre uomini a bordo: un autista, un agente di polizia e un funzionario della banca.
Il capo della banda si sforza di rimanere serio. Non può vedere la scena, ma gli basta controllare l’orologio. Tutto è cronometrato al secondo e lui, chiudendo gli occhi, può sapere attimo per attimo quello che sta accadendo.
Mentre ci pensa, sta in fila nel gabinetto di un dentista, dall’altra parte di Milano. Lo fa per procurarsi un alibi inattaccabile visto che, a cose fatte, gli sbirri gli saranno subito addosso. Per questo ha bisogno di testimoni affidabili, non come quelli che potrebbe portare lui, i suoi compari di Ticinese.
Vorrebbe sorridere al pensiero ma non può. Sta simulando un terribile mal di denti e deve rimanere concentrato. Ha i capelli neri e crespi, un vestito scuro e una rosa bianca all’occhiello: dettaglio che chiunque ricorderebbe. Il piano è di farsi notare il più possibile, così si lamenta a intervalli regolari, ad alta voce.
È un tipo pignolo e riflessivo. Ha preteso che aspettassero proprio quel giorno del mese per agire.
«Lo facciamo il 27 perché è San Paganini, ciula» aveva ripetuto ai suoi fino allo sfinimento, «e sono carichi di soldi per pagare gli stipendi.»
Ci avevano già provato due volte in precedenza, ma qualcosa era sempre andato storto. Un tentativo al mese. Quella mattina tutto sarebbe filato liscio. Se lo sentiva. “Stamattina ce la facciamo” si dice mentre l’infermiera lo fa accomodare.
L’uomo sulla 1400, appena vede negli specchietti il bianco del furgone, accartoccia il giornale e pesta sull’acceleratore. L’auto prima si accoda, poi schizza al centro della carreggiata.
Antonio sta sul portone di casa, la bicicletta appoggiata al muro, gli occhi incollati a quell’automobile nera che ha superato il portavalori rombando e ha cominciato a zigzagargli davanti.
«Quel lì l’è matt» urla il guidatore del blindato. Il poliziotto accarezza il calcio della pistola.
El matt non fa nemmeno finta di frenare, scarta a sinistra e attraversa il manto erboso dello spartitraffico. La corsa finisce con uno schianto sordo sul lato opposto della carreggiata, contro un muro. Il conducente se la cava senza un graffio; esce con un guizzo dall’abitacolo e se la dà a gambe mentre una folla di curiosi si raduna sul posto. Anche all’autista del blindato viene spontaneo rallentare per capire cosa succede. Il poliziotto si rilassa. E fa male, perché mentre tutti stanno con la testa voltata, spunta contromano un camion, un Leoncino OM, veloce come se fosse sulle rotaie, che va a scontrarsi con violenza contro il portavalori. Gli uomini nell’abitacolo battono la testa.
È mattina e in strada ci sono parecchie persone. Il botto lo sentono tutti, gli spari pure.
Dal Leoncino scende un uomo con il viso coperto e una pistola. Si avventa urlando verso il furgone della banca e punta il cannone in faccia all’autista che s’immobilizza con le mani alzate.
Alle loro spalle, intanto, in uno stridore di pneumatici, si arresta il furgone grigio: via di fuga bloccata.
Il poliziotto, la faccia rigata dal sangue per un taglio sulla fronte, tenta di intervenire ma il vetro accanto a lui esplode. La mazza ferrata che l’uomo sul marciapiede nascondeva in cintura ha fatto il suo dovere. Il cristallo va in frantumi e l’agente di Pubblica Sicurezza si ritrova la canna di una 38 special in bocca.
«Non fare l’eroe» gli ringhia contro. E lui accetta il consiglio.
Nel frattempo, tre uomini a volto coperto ripuliscono il portavalori e caricano i sacchi coi soldi sul furgone grigio e su una Giulietta Sprint, anch’essa spuntata dal nulla un attimo prima. Nemmeno il funzionario della Popolare ha voglia di prendersi una pallottola, così rimane tranquillo sul suo sedile mentre gli portano via i quattrini da sotto il naso.
Fanno in fretta, meno di due minuti. L’operazione funziona come un orologio svizzero mentre uno dei banditi tiene tutti a bada con il mitra.
Alla fine il furgone parte sgommando, subito imitato dall’Alfa, dalla quale spunta la mano beffarda di uno dei banditi che saluta i curiosi. E qualcuno gli risponde pure.
Copyright © 2011 Paolo Roversi
Pubblicato in accordo con PNLA/Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency ©
2011 RCS Libri S.p.A., Milano
Tratto da Paolo Roversi, Milano criminale – il romanzo, p. 422, € 18,90, Rizzoli In libreria dal 2 marzo