Non tutti ricordano quei giorni, forse perché l’Italia, come un puzzle schizofrenico, non ha una sola memoria collettiva, vive la sua storia a compartimenti stagni e un morto, nel periodo greve che precedette il rapimento Moro e la fase più violenta del terrorismo, non rimane nella memoria già piena del paese.
Per Bologna fu il periodo più violento dal dopoguerra, una guerriglia in città, con il movimento da una parte che come un grande contenitore aveva spazio per tutti e le forze dell’ordine dall’altra.
Per un miracolo, o per una scelta consapevole non ci furono altre vittime, ma la città non fu più la stessa.
Non facevo parte del movimento, allora da giovane iscritto alla federazione giovanile comunista ero in federazione, in via Barberia a presidiare la sede del partito.
Mi persi la fase più concitata e lacrimogena degli scontri.
Di quel periodo conservo gelosamente il libro che fu scritto e venduto dopo quei giorni, un’edizione ingiallita che ho ritrovato in cantina e che ho cercato di fare leggere ai figli senza successo.
In quel periodo quando la gente scendeva in piazza le strade si riempivano e avevi netta la percezione dei rapporti di forza.
Da una parte lo Stato, dall’altra una consistente parte del paese.
Oggi di evidente non c’è più nulla solo un’evanescente massa informe in comunicazione frammentaria e concitata nella rete e un ribellismo isterico e teppistico organizzato da poche frange estreme durante alcuni eventi quasi sempre mediatici.
Del resto sono trascorsi 35 anni, io ero giovanissimo allora, oggi sono quasi anziano.
Non mi manca quel periodo, lo ricordo cupo e metallico come un cielo color piombo.
Però almeno nel ricordo ha una consistenza.
Questo periodo come lo ricorderemo?