Proseguiamo assieme al Professionista nella ‘calda’ indagine sulle armi di seduzione di massa…
Su per le antiche scale
La provocazione sessuale è stata il nerbo del cinema italiano per decenni. Se è vero che esiste una barriera, a tratti impalpabile ma reale, tra erotismo e pornografia; ne esiste anche una tra dramma e comicità. Il cinema italiano si è sempre contraddistinto nelle sue opere migliori per la capacità di mescolare il pianto e la risata. E, in questo campo, l’erotismo, suggerito o esplicito, ha giocato un ruolo importante. Tra le immagini di culto (flash impressi nella mente e strettamente legati all’indumento come arma di seduzione) di certo rimane Laura Antonelli in Malizia di Sampieri. Cameriera in bilico tra possesso e seduzione, schiava e padrona tra Turi Ferro e Alessandro Momo, Lura Antonelli ha stregato milioni di spettatori con l’aiuto di una scala, un paio di calze e un grembiule. La cameriera è un classico tra le fantasie erotiche maschili, un po’ come tutte le categorie che vestono un’uniforme. Esiste, però, una notevole differenza tra il classico completo nero con crestina e grembiulino, spesso abbinati a calze velate di nero e poco pratiche scarpine con il tacco a spillo di moltissime commedie sexy degli anni ’80 (indossate dalle varie maggiorate di turno da Edwige Fenech a Nadia Cassini passando per Carmen Russo e Lory Del Santo) e l’abito da lavoro della Antonelli. Diverso il contesto e differente l’abbigliamento. Se riprendiamo i flani originali del film di Sampieri troviamo due variazioni dello stesso concetto. Il più celebre è, appunto, quello che mostra Laura Antonelli inquadrandola dal basso. Sulla scala per lucidare i vetri, la “domestica” indossa un abitino d’epoca di tessuto stampato blu. In altra occasione sarebbe più che pudico, diventa deliziosamente provocante nella prospettiva dal basso. Lo spettatore s’identifica con i protagonisti maschili e intravede le calze (fermate con una giarrettiera, non potevano essere autoreggenti, considerata l’epoca della vicenda) Non si vede nulla di più ma il grembiulino bianco allacciato in vita (che qualifica la ragazza come “serva”) e lo sguardo rivolto verso lo spettatore fanno il resto. È un’occhiata al tempo stesso indignata e tentatrice, la stessa che appare in un’altra immagine pubblicitaria in cui vediamo la protagonista seduta sul letto con un simile vestito (verde questa volta) rimboccato mentre sta aggiustando le calze (rigorosamente nere). Lo sguardo anche questa volta è rivolto fuori campo, verso Alessandro Momo sorpreso a spiarla in un pannello separato. S’intuisce indignazione, onore ferito ma, al tempo stesso una tacita promessa. È questo ‘vedo-non vedo’ giocato con pochi elementi che presi singolarmente non sarebbero particolarmente erotici. Un abito, un paio di calze, un letto, una scala. Ma è l’inquadratura che suggerisce una complicità tra l’uomo che spia indiscreto e la femmina-preda-dominatrice che compongono il nucleo centrale del film. All’epoca fu proprio questo alludere a relazioni proibite (tra ceti differenti, tra uomini e donne di età diverse)a creare tanto scalpore. La coppia Antonelli –Momo riprese il medesimo spunto in Peccato veniale. Qui la lingerie della Antonelli si faceva più varia con un reggiseno a balconcino bianco con bordi merlati in rosa. Tutto, però, giocando sull’allusione. Alla fine Malizia resta l’esempio più efficace. Le calze nere o color carne, le giarrettiere vecchio stile erano indumenti comuni nelle donne italiane. Nulla di particolarmente peccaminoso. Era il contesto a esserlo. E da quel momento in poi fu un profluvio di zie e governanti che intessevano relazioni “proibite” usando capi di abbigliamento intimo ma tutto sommato “normali”. Differente, sempre seguendo il fil rouge dell’erotismo interpretato da Laura Antonelli, il caso dei film “dannunziani”. Pellicole drammatiche o persino grottesche ambientate all’inizio del secolo. Partendo da Mio Dio come sono caduta in basso (di Luigi Comencini) sino all’ “Innocente” assistiamo a un mutamente dell’o stimolo erotico. Qui la lingerie di classe, ricercata negli accessori diventa protagonista. Nel primo dei film citati c’è una sequenza in particolare che gioca perfettamente tutte le carte del filone. Laura Antonelli, insoddisfatta nobildonna costretta a un casto matrimonio con Edoardo Lionello, cede durante una gita in auto al fascino del suo autista. Giovane e aitante, Michele Placido si presenta in divisa che, in un curioso ribaltamento dei ruoli, assume la valenza di un abbigliamento erotico. Stivali e marsina sono l’equivalente maschile di pizzi, mutandoni, bustini bianchi o neri, guêpières e reggicalze usati a profusione dalla protagonista. Diventa uno scontro alla pari nel quale il desiderio (quindi la fantasia dello spettatore, maschio o femmina che sia) si sublima non tanto nell’amplesso mostrato sempre per parafrasi quanto nei capi di abbigliamento, negli accessori, che diventano qui protagonisti. Sullo stesso sentiero s’incamminerà con successo Tinto Brass, alfiere di un sesso vissuto con allegria, un po’ pecoreccio a volte. Soprattutto nella Chiave (versione italiana di un racconto erotico giapponese di Tanikzaki) porta nella Venezia d’inizio secolo eleganza, atmosfera e una visione dell’erotismo vagamente deviante. La Sandrelli che, spiata, si apparta sollevando le gonne per orinare e così mostra grazie e lingerie provoca in maniera differente la fantasia dello spettatore. Nello stesso film si giunge al paradosso di Frank Finlay che si agghinda con reggicalze e bustino rosso. Da queste immagini iconiche è scaturito un intero filone. Negli anni del softcore che anticipano la diffusione dell’hard più esplicito, il filone erotico dannunziano trova nell’opera di Joe D’Amato(Aristide Massacesi) un cantore di qualità. Decisamente meno sofisticati ma a modo loro efficaci film come Lussuria con Lilli Carati, strizzano l’occhio alla Chiave mostrando più esplicitamente il sesso, ma soprattutto una vasta scelta di pizzi, bustini, calze e velette rigorosamente neri. Come sempre accade, più il prodotto diventa di largo consumo e si fa esplicito, minore è la cura del dettaglio e la provocazioni si fa carnalmente più esplicita. Ma anche queste sono immagini rimaste nella memoria.
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