Il Killer: un racconto in regalo

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In attesa dell’uscita di IL PROFESSIONISTA STORY A MAGGIO , un racconto in regalo e auguri di buona Pasqua dal Professionista e dal suo autore
IL KILLER
di Stefano Di Marino c-2009
Hong Kong
Quando il sole morì, il cielo divenne un drappo di seta amaranto, screziato da irre-golari lacerazioni cremisi. Jeff Costello rima¬se ancora qualche attimo a osservare la grande vela ad ala di pipistrello che vibrava in bando, mentre la giunca riduceva la velo-cità per entrare nella baia. Non si chiamava realmente Jeff ma, tanti anni prima, aveva deciso che Godfroi non gli piaceva, era troppo francese e lui si sentiva corso. Così aveva scelto Jeff che suonava inglese ma, sussurrato, recava il sapore del gergo di casa sua. E nessuno chiamava mai il suo nome ad alta voce.
Sul mare aleg¬giava il miscuglio di odori indefinibili tipico dei porti asiatici: umori salmastri, kerosene e cibo cotto a vapore. Con cautela Ko-Un¬-Orecchio, il timoniere, spinse il battello nel dedalo di canali di case galleggianti, sam¬pan e wallah-wallah, avvicinandosi alla ban¬china che ospitava il mercato del pesce.
Aberdeen, il rifugio degli Hoklo, aveva perso la pittoresca atmosfera di un tempo. Gli Zingari del Mare si erano convinti che, dopotutto, le vecchie superstizioni fossero uno scomodo retaggio del passato. Solo qualche vecchio romantico si ostinava a ripetere che il cielo sarebbe caduto se si fos¬sero trasferiti sulla terraferma, ma senza troppa convinzione. Aberdeen era diventata un’attrazione e la maggior parte dei sam¬pan serviva per portare i turisti gweilo sino al ristorante Jumbo, decorato con festoni, luminarie e draghi di legno dipinto, degni di una parata di carnevale.

Oltre i capannoni e il deposito dei camion del pesce, Costello distingueva la collina di Peel Rise, il cimitero buddi¬sta che anche di notte si popola di spiriti. Nel cielo passò rombando l’ultimo aereo in arrivo in picchiata verso Lantau, il nuovissimo aeroporto che aveva sostituito la vecchia pista di Kai Tak, protesa tra la penisola di Kowloon e l’isola di Victoria. Tutt’intorno le luci della baia sembravano lot¬tare con l’oscurità incombente.
A Jeff piaceva Hong Kong. Dava l’impressione di trovarsi costantemente sull’Orlo, in bilico tra mondi differenti, che riuscivano a trovare un punto di contatto a dispetto delle differenze cultura¬li. Un poco gli ricordava Bastia.
Costello consultò l’orologio. Era il momen¬to di prepararsi. Scese sottocoperta lascian-do a Ko il compito di trovare un punto d’at¬tracco. Venivano dal fiume Shum Chun, per una rotta illegale. Come Ko fosse riuscito a eludere i controlli della polizia costiera era solo un altro dei misteri che accompagnava¬no quel contratto. Il committente doveva essere una persona influente, capace di aprire i cancelli che, per la maggior parte dei contrabbandieri di Guangzhou, restavano sigillati.
Sottocoperta, Costello aprì la valigia di pelle dove aveva radunato l’occorrente. Sfilò il maglione girocollo, i jeans e le scarpe da ginnastica, restando per qualche atti¬mo nudo di fronte a uno specchio che aveva visto tempi migliori. Alla luce della lampada a olio, il corpo muscoloso e compatto ricor¬dava una delle figure guerriere del Monte Cinto, rimaste per secoli a guardia delle tradizioni di un popolo di pirati e naviganti spazzato via dall’esplosione di Cantorini. Un’altra Era… Il tatuaggio scaramantico si avvolgeva intorno al braccio sinistro come un serpente.
Costello indossò la biancheria pulita, provando una piacevole sensazione mentre allacciava la camicia di seta legger¬mente profumata. Come i pantaloni di vigo¬gna, gli calzava a pennello. Mocassini ita¬liani; papillon, giacca di buon taglio e un lungo spolverino di seta nera completato da una sciarpa color ghiaccio.
– Un figurino — soggiunse controllandosi allo specchio. — Pronto per lo spettacolo.
Un cigolio annunciò l’arrivo di Ko. Dall’esterno giungevano lo sciaguattare delle onde contro le murate e i richiami dei marinai. — Siamo arrivati.
Costello passò un velo di gel sulla capi¬gliatura corvina poi si volse verso il vecchio contrabbandiere. — Bene, non perdiamo altro tempo. Ho fretta di terminare il Lavoro.
Lavoro. Proprio così lo chiamava, come se fosse una normale attività. Un impiego che da vent’anni riempiva tutti i suoi giorni e tutte le sue notti. Non sapeva fare altro e forse il suo Lavoro era un rifugio, un santua¬rio dove nascondersi quando la sensazione d’inutilità della vita veniva ad assalirlo. Costello era venuto a Hong Kong per uccide¬re quattro persone, ma parlare esplicitamen¬te della morte gli metteva tristezza.

Sul molo, le luci del mercato erano quasi tutte spente. Le barche erano in mare e tra i banconi restavano solo poche donne intente a preparare le bancarelle, in attesa dell’alba. Aveva piovuto nel pomeriggio, uno di quei rapidi acquazzoni che oscura¬no il sole solo per pochi minuti. Il selciato era coperto da una patina viscida sulla quale i fari della limousine lasciavano una scia irregolare. Costello aprì la portiera posteriore, scivolando. sul sedile. Al volante c’era una donna con una, capigliatura blua¬stra e l’uniforme da chauffeur. Chiu Chaw, a giudicare dal taglio obliquo degli occhi riflessi nel retrovisore.
– Benvenuto a Hong Kong — disse la donna, mentre eseguiva una curva per immettersi nel tunnel sotterraneo che univa Victoria a Kowloon, la Penisola dei Nove Draghi. –L’equipaggiamento e le istruzioni sono accanto a lei, nel cofanetto.
Costello pose sulle ginocchia la vali¬getta chiusa da cerniere nichelate. Fece scat¬tare il meccanismo sollevando il coperchio. All’interno c’erano una busta gialla e quattro pistole inserite nei vani sagomati dell’involu¬cro imbottito. Beretta 92, Glock 14, Sig Sauer P226, Colt Mark IV Desert Eagle. Quattro ferri in acciaio brunito con scorta di caricatori e munizioni Hydra-Shock a punta cava. Proiettili immersi nel mercurio, letali anche se non raggiungevano punti vitali. Costello controllò rapidamente il caricamen¬to di ognuna delle armi, inserendo il primo colpo in canna. Le nascose poi nelle fondine che aveva applicato sulla giunca. Comple¬tata questa operazione, dedicò la sua atten-zione alla busta. Ne strappò il sigillo per fare scivolare all’esterno quattro fotografie in bianco e nero, scattate con un teleobietti¬vo molto potente. I bersagli erano tutti orien¬tali vestiti elegantemente, con l’aspetto di uomini d’affari. Costello non conosceva i loro nomi, né aveva interesse per il fatto che, in realtà, non fossero affatto finanzieri, come il loro abbigliamento suggeriva.
Erano bersagli e basta.
Non gli era stato chiesto di program¬mare un’operazione elaborata. Il Lavoro prevedeva un Tocca-E-Fuggi senza troppe complicazioni. Mentre la limousine si inoltrava nella galleria, Costello si soffermò per qualche attimo su quei visi. Essere fisio¬nomisti era una qualità richiesta dalla pro¬fessione. — Hotel Peninsula — disse la donna, che aveva seguito le sue mosse nel retroviso¬re. — Sono in riunione nella suite 4123. Quarto piano, la sesta porta a destra uscen¬do dagli ascensori.
Non c’era altro da aggiungere. Costel¬lo respirò a fondo nel tentativo di rilassarsi. La tensione era inevitabile. Non cercò di allontanarla. Non era un animale a sangue freddo, non lo sarebbe mai stato. La paura serviva a mantenerlo all’erta.

Il Peninsula era un grande edificio in stile coloniale. Vi si accedeva per un vialetto sorvegliato da leoni di pietra. Costello con¬trollò l’orologio. Le sette. Ormai l’oscurità era calata completamente, avvolgendo in un drappo di velluto bagnato l’intera colonia.
– L’uscita di servizio è su Canathan Road — annunciò l’autista, senza intonazio¬ne. – -Ci vediamo là. Tra quindici minuti.
– D’accordo — rispose Costello, prepa¬randosi a scendere. Tempo più che sufficien¬te per terminare il Lavoro.
Era il momento del cocktail e l’atrio del Peninsula sembrava percorso da un fragoro¬so fiume di persone. Uomini d’affari cinesi ed europei, con le rispettive amanti ingioiel¬late, sciamavano verso il Mandarin Lounge, l’elegante bar del mezzanino vicino alla por-tineria. Costello individuò subito gli uomini della sicurezza, vecchi poliziotti con pistole e ricetrasmittenti che restavano discretamen¬te sullo sfondo come ragazze timide a un ballo della scuola. Gli uscieri sikh si profon¬devano in cerimoniosi inchini, celando die-tro l’impeccabile cortesia il disprezzo che nutrivano per l’umanità vociante che sfilava nell’atrio.
Avvicinandosi agli ascensori, Costello vide la donna più bella che gli fosse mai capitato di incontrare. La considerazione lo colpì, creando la curiosa impressione che il tempo rallentasse. Doveva essere arrivata poco prima di lui e stava aspettando l’arri¬vo della cabina con una certa impazienza. La ragazza si volse, come se avesse potuto distinguere i passi di Costello nella confusio¬ne circostante. Lo sguardo aveva una qua¬lità liquida che esprimeva sensualità e ma¬linconia assieme.
Alta, lineamenti fini e caratteristiche somatiche difficilmente individuabili. Di sicu¬ro almeno metà del suo sangue era cinese ma qualcosa, nel taglio degli occhi, rivelava ascendenti europei. I capelli, raccolti in una crocchia, lasciavano scorgere la morbida linea del collo. Indossava un abito firmato con le spalle scoperte, velato da uno scialle di pizzo. La giovane donna incrociò lo sguar¬do di Costello solo per una frazione di secon¬do, poi il sibilo dell’ascensore sembrò attira¬re totalmente la sua attenzione.
Il killer entrò nella cabina occupando una posizione dove alla ragazza sarebbe stato difficile osservarlo senza sembrare indiscreta. Non aveva intenzione di permet¬tere a una possibile testimone di ricordarlo. Eppure un poco gli dispiaceva. Sentiva l’im¬pulso di trascurare il Lavoro per seguire la sconosciuta. Buffo, non gli capitava spesso un simile desiderio.
–Terzo piano — disse lei al groom addetto all’ascensore. Nell’impartire l’ordine, si volse cercando ostentatamente Costello che si sentì trapassato dai suoi occhi simili a schegge di ossidiana.
– Io vado al quinto — soggiunse, incerto tra lusinga e irritazione.
Mescolare il piacere con il lavoro non era una buona abitudine. Si domandò chi fosse la ragazza. Una prostituta di lusso. L’amante di qualche Taipan. Chissà… Per qualche attimo fu piacevole cedere a fanta¬sticherie romantiche. Poi l’ascensore si fermò e lo visione scivolò via, ruotando ancora una volta il capo, quasi volesse assicurarsi che ogni essere di sesso maschile nelle vici¬nanze conservasse di lei un ricordo indelebi¬le. Il portello si richiuse con un fruscio. Il groom non osava neppure alzare lo sguardo, anche lui trafitto da quegli incredibili occhi.
Costello respirò lentamente. Fine della ricreazione.
Era venuto il momento di pensare al tiro.

La scala di sicurezza era angosciosa con le pareti macchiate d’umidità, le luci di emergenza e il caldo soffocante. Costello vi si trattenne il tempo necessario per passare da un piano all’altro. Si soffermò solo per un attimo di fronte alla porta a spinta che immetteva nel corridoio. Era logico aspettar¬si lo presenza di almeno un paio di guarda-spalle di fronte alla suite. Avrebbe dovuto eliminarli silenziosamente e con rapidità. Bene. Poteva contare sulla sorpresa.
Secondo lo cartina dell’albergo lo porta a spinta era vicino alla suite 4123, non avrebbe impiegato più di qualche secondo a piombare addosso ai gorilla. Non poteva sapere quanti fossero, ma dubitava che ne avessero lasciati più di due, per non attirare troppo l’attenzione. Decise, per il momento, di non usare le pistole. Meglio avere le mani libere. Con un gesto quasi noncurante, sfilò lo sciarpa afferrandola per le estremità. Respirò rumorosamente per tre volte. Non sapeva se servisse per preparare l’organi¬smo all’azione o per scaramanzia. Lo face¬va sempre, prima del Lavoro.
Appoggiò una mano sulla maniglia, badando a non far rumore. Il battente si apriva verso l’interno ed era previsto che ciò avvenisse gai corridoio e non dalla parte inversa, ma con uno strattone era facile schiuderlo anche da quel lato.
Pronti per il Rock’n'Roll.
Costello tirò verso di sé il portale, sgat¬taiolando nell’apertura. Come aveva previ¬sto, di fronte alla suite c’erano due uomini. Cinesi coi capelli a spazzola e abiti di buon taglio indossati su muscoli da culturista. Uomini-scure, li chiamavano. Esperti nel combattimento corpo a corpo. Non era il caso di starci a giocare. Appena si resero conto del pericolo tentarono di reagire. Il meno abile provò ad impugnare lo pistola sotto la giacca, l’altro si fidava della sua conoscenza del Kung Fu.
Costello caricò un calcio frontale stan¬tuffando con la gamba, senza sollevare il ginocchio oltre la linea dell’inguine. La punta rinforzata del mocassino affondò nei genitali del pistolero. Questi si piegò con un gemito.
Il secondo uomo-scure si gettò in avanti mulinando i pugni in una fitta catena di colpi che andò a imbrigliarsi nella sciarpa di Costello. Il killer gli imprigionò il polso destro costringendolo a una rotazione mentre l’al¬tra mano afferrava la gola dell’uomo. Con un gesto preciso fece perdere l’equilibrio al gorilla, passandogli lo sciarpa intorno alla gola. Mentre l’uomo scivolava a terra, Costello non dovette far altro che stringere un poco. Il collo si spezzò con uno schiocco.
Costello ruotò su se stesso distendendo la gamba in un calcio circolare all’indietro. Confuso dal dolore e dal cappotto che svo¬lazzava come lo cappa di un vampiro, il gorilla con la pistola non riuscì neppure ad abbozzare un gesto di difesa. Il tallone di Costello si abbatté sulla carotide, spezzan¬dogliela. Il cinese crollò come un giocattolo senza pile. Costello era appena ansante. riportò lo sciarpa intorno al collo e, con un movimento fluido, impugnò lo Beretta e la Glock, quindi sferrò un calcio per aprire il battente della suite. Poi tutto si svolse a ritmo sincopato come in una coreografia scritta per accompagnare un jazzista di talento.

I bersagli erano seduti a un tavolo imbandito. C’erano tutti. Alle loro spalle c’erano altri tre guardaspalle. Nessuno di essi impugnava un’arma, ma erano sicura¬mente i più pericolosi. Meglio toglierli di mezzo immediatamente. Costello rimase poche frazioni di secondo sulla porta con le braccia tese. Premette i grilletti senza mira¬re. Il tiro istintivo era una delle sue specia¬lità. La suite riecheggiò di una scarica di batteria balistica.
Lampi e detonazioni accompagnati dal clangore dei meccanismi di espulsione dei bossoli. Ritmo, azione, velocità. Due gorilla furono inchiodati alla parete senza neppure rendersi conto di quello che acca¬deva. Per il terzo fu necessario un altro proiettile. L’uomo compì un mezzo giro su se stesso, sprizzando un getto di sangue scuro.
Costello rotolò sul pavimento riacqui¬stando l’equilibrio con il solo uso delle gambe. puntò la Glock e premette ancora il grilletto. Il primo dei bersagli fu sollevato dalla sedia. L’osso frontale si aprì, spappola¬to dall’Hydra-Shock. Costello ruotò su stesso e sparò ancora. Il secondo bersaglio si beccò due colpi al torace. Lo smoking esplo¬se in una nuvola cremisi. La musica del jazzista immaginario saliva, travolgente. Non fer-marsi mai. Era la regola del pianista quanto dell’assassino. Costello rotolò nuovamente assestando un calcio al tavolo che rovinò addosso agli altri bersagli. Prima che potes-sero riprendersi, Costello era già in piedi. vuotò i caricatori cancellando i due cinesi in un’emulsione di sangue, ossa e materia cerebrale. Il carrello della Beretta scattò indietro imponendo una battuta d’arresto. La Glock aveva ancora un colpo. Sopra il fra¬stuono delle detonazioni, Costello riconobbe un rumore familiare alle sue spalle. Il mecca¬nismo di un fucile a pompa che spingeva il proiettile in canna. Si volse puntando la Glock verso l’ingresso del corridoio che por¬tava alle camere. Altri gorilla.
L’ultimo colpo fulminò l’uomo col fucile scaraventandolo contro un paravento di lacca. Saper distinguere i rumori anche nel frastuono generale era la cosa principale, come riconoscere le note più importanti da quelle inutili. Passi. Dalle camere della suite. Altri guardaspalle. Doveva andarsene imme¬diatamente. Il concerto era finito.
Costello contrasse i muscoli delle cosce, slanciandosi dietro il mobile bar inseguito da una sventagliata di Uzi che frantumò vetri e bottiglie in una pioggia di coriandoli taglienti. Il bancone fu scosso dall’urto dei proiettili. Costello aveva già impugnato la Sig Sauer e la Desert Eagle. Ora che il Lavoro propriamente detto era terminato poteva dar voce all’artiglieria pesante per aprirsi un varco. Senza neppu¬re guardare, sporse le braccia dal bordo del bancone indirizzando una pioggia di proiet¬tili contro gli avversari. Li vide cadere quasi al rallentatore mandando scariche impreci¬se a tatuare il soffitto. Nuovamente il rintocco delle armi che picchiavano contro il pavimento coprì il fragore delle detonazioni simile a un rullo di tamburi.
Costello saltò oltre il bancone, andan¬do a rotolare con una capriola verso la porta sfondata. Da terra sollevò leggermen¬te il busto con le braccia protese. Investì con una scarica l’uomo che si stava affaccian¬do sulla soglia.
Il gorilla fu sbalzato contro la parete opposta, crivellato. Costello rotolò su un Fianco piegando una gamba per rimettersi in piedi. Non aveva tempo per contare i colpi ma calcolava di avere ancora una riserva sufficiente. Il corridoio sembrava una fornace. L’aria era greve. Cordite e sangue. I timpani ronzavano impazziti. Madido di sudore, Costello rimase un attimo addossato alla parete con la Sig Sauer spianata. La Desert Eagle era lungo il fianco, pronta all’azione. Stava per scattare verso la porta antincendio quando, da un angolo del corridoio, appar¬vero altri due uomini. Impugnavano corte mitragliette H&KMP5. Cadenza di fuoco: 800 colpi al minuto. Inaffidabili a lunga ti distanza ma micidiali in ambienti ristretti.
Costello si tuffò sul pavimento, bracca¬to dai proiettili. Il rivestimento del muro sembrò esplodere, la raffica strappò una doppia scia di schegge irregolari. La Desert Eagle sbagliò un paio di volte, mandando in pezzi una plafoniera, poi centrò un bersaglio. Raggiunto alla gamba, il gorilla rotolò sulla passatoia. Il suo compa¬gno sparava senza ben discernere il bersaglio. L’H&K sussultava. Per una terrificante frazione di secondo, Costello e il gorilla spararono con¬temporaneamente. Il kil¬ler avvertì un bruciore atroce alla spalla destra e perse la Sig Sauer che rimbalzò via come una stella filante.
Il dolore lo aiutò a concentrarsi. Centrò lo sterno dell’uomo-scure. Il gorilla rimbalzò fra una parete e l’altra perdendo il controllo della mitraglietta. Costello era già in piedi. Per un attimo gli si annebbiò la vista e fu prossimo a cedere al panico. Le gambe sembravano di piombo, il respiro mozzo. Sentiva un liquido caldo scorrergli lungo il braccio. Sangue. Gli rimaneva solo la Desert Eagle.
Il corridoio vibrava in una impossibile prospettiva. Lontanissimo giungeva un rullo di tamburi privo di ogni altro accompagna¬mento. Costello imprecò, trascinandosi verso l’ascensore, poi si rese conto di aver preso la strada’ sbagliata e si volse. Era sul palco-scenico da troppo tempo. Non poteva per¬mettersi uno scontro con la sicurezza. Cristo, ma quanti erano gli avversari?
Poi accadde tutto con un ritmo diffe¬rente, rallentato, come in un’altra dimensio¬ne. E forse era davvero così.
Il campanello che annunciava festoso l’arrivo dell’ascensore trillò festoso prece¬dendo di un secondo lo schiudersi del portel¬lo metallico.
Jeff Costello vide, prima di ogni altra cosa, il cadavere del groom.
cosa, il Stava in un angolo adagiato alla parete con il petto squarciato.
Poi Costello incrociò ancora una volta gli stu¬pendi occhi della scono¬sciuta dell’atrio. In quel momento avevano una sfumatura differente che mescolava trionfo e un po’ di tristezza.
E Costello comprese.
Capì quanto fosse stato inutile correre tutta la vita cercando di uccidere la solitudine in tutti i bersa¬gli. Vano quell’agitarsi di note nella sua mente alla ricerca di una melodia che riempisse le sue notti.
Comprese, infine, che i committenti non vole¬vano testimoni. E che la donna della sua vita, quella sconosciuta incontrata per pochi attimi lo avrebbe ucciso.
Lasciò che la ragazza alzasse la mano armata e gli sparasse al petto.
Che importava ormai?
La musica, nella sua mente, finì con un’ultima nota stridente simile a un singhiozzo.

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17 Responses to Il Killer: un racconto in regalo

  1. Francesco Perizzolo says:

    Divorato!
    Splendido!
    Grazie Prof!

    • ilprofessionista says:

      mi fa piacere che ti abbia divertito..Hong Kong alla fine resta il centro del mio universo fantastico…

  2. Filomena Cecere says:

    Meraviglioso come tutte le tue storie!!!! Grande Prof!

    • ilprofessionista says:

      grazie mena, e poi dicono che i miei son oracconti maschilisti che non piacicon oalle donne..la mia fatina …. :-)

  3. andrea-tortellino says:

    Un racconto molto bello, malinconico, comunque con un giusto finale, romantico ma nel medesimo tempo struggente, insomma un racconto con molti sentimenti.
    Questa è un’altra tua dimostrazione che azione e pathos si possono tranquillamente fondere con l’eros, quest’ultimo visto -da parte mia- come quella parte della vita dominata dai sentimenti amorosi, che distraggono ma che danno anche forza.
    Forza che ha dato coraggio a Costello ti tenere il braccio fermo, lungo il fianco, in attesa che la musica terminasse fissando gli occhi della donna della sua vita. Paradosso finale, o forse proprio correto che fosse così, la donna della sua vita era proprio colei che era destinata a togliergliela.
    Grazie Stefano, per le sensazioni che mi hanno procurato questo tuo racconto.
    Andrea

    • ilprofessionista says:

      ‘la donna della sua vita era proprio colei che era destinata a togliergliela.’
      è sempre così….
      scherzi a parte sentimento e azione si sposano bene se amalgamati come si deve..il cinema di hk insegna.

  4. Filomena Cecere says:

    Chi dice che i racconti del Prof non piacciono alle donne è sicuramente un uomo che di donne non capisce nulla! Action non è sinonimo di antireppellente per donne… un action ben scritto come questo che racchiude anche altri preziosi elementi è apprezzatissimo da uomini e donne, senza distinzione! :)

    • ilprofessionista says:

      eh a volte sono solo certe femministe preincazzate milanesi, Mena, non certo le Tope della Palude Muà :-)

  5. Hot says:

    Grazie Prof.

  6. Roberto Moretta says:

    L’ho letto proprio ora ! Quello del killer a pagamento è uno dei miei temi preferiti. Molto usato, ma se si è bravi si riesce ancora a tirarne fuori qualcosa di buono. E questo racconto lo dimostra !

    • ilprofessionista says:

      grazie Roberto….anche per me è uno dei tempi preferiti..qui evidenti omaggi a Melville e a John Woo come avrai visto

  7. Ariete'70 says:

    Grazie del regalo Prof! Veramente un bel racconto! Keep the Faith!

  8. Ariete'70 says:

    Grande Prof! Forever Keep the Faith!

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