Profondo Rosso (1975) è considerato il capolavoro di Argento non solo di questa prima fase puramente thrilling ma di tutta la sua opera. Difficile contraddire tale affermazione pure per chi, come me, è un grande estimatore anche delle pellicole appena esaminate. Di fatto, a prescindere da tabelle e classifiche, Profondo Rosso non solo è un’opera perfettamente riuscita ma segna anche il passaggio a un differente registro artistico-espressivo del suo autore. Dal thrilling passiamo all’horror visionario, alla fiaba nera percorsa, a volte, da imperscrutabili trame di magia. Ma è l’equilibrio, la capacità di fondere generi differenti ( dai quali non è esclusa la commedia…) che rende Profondo Rosso la pellicola più apprezzata e rappresentativa del regista. Inizialmente doveva essere un quarto fortunato capitolo della serie “animalesca” che aveva portato tanto successo ad Argento, ma il titolo di lavorazione- La Tigre dai Denti a Sciabola- benché evocativo, non fu mai utilizzato. Forse fu meglio così, perché se è vero che il film riprende alcune delle caratteristiche più amate dal pubblico argentiano, vengono introdotte anche numerose novità che staccano l’opera dalle precedenti, anticipando la futura evoluzione di Suspiria. In particolare si segnala il cambio di prospettiva del racconto. Soggettive, traumi infantili sviluppati in follia omicida, particolari rivelatori notati dal protagonista testimone suo malgrado del primo delitto… tutto ciò torna, piacevolmente, sullo sfondo di un’ennesima metropoli inventata con le sue case maledette, gli edifici antichi dall’arredamento curato nel dettaglio, i pano bar, le strade vuote dove i personaggi dialogano a notte fonda, prigionieri di deliri loro e altrui. Su tutto incombe un assassino diabolico che è in ogni luogo (e anche per questo c’è una spiegazione), ma le modalità narrative mutano. Dalla stretta logica del giallo passiamo alla visionarietà del delitto. Il sangue scorre copioso, senza inibizioni o freni censori, ogni sequenza di omicidio si traduce in un film a sé, spesso facendo a pugni con la logica. Il “mad puppet”, la grottesca marionetta che, accompagnata dalla celebre musica dei Goblin, scandisce la morte dell’esperto del paranormale Glauco Mauri, sbuca dal nulla. Non ha alcuna giustificazione se non quella di creare paura. Esattamente come la bambola impiccata in casa di Giuliana Calandra. Sotto un profilo caro alle vecchie cellulette grigie di Hercule Piorot sono sviste colossali ma in un contesto cinematografico e visionario si tratta di trovate geniali, pezzi di cinema da antologia. Il passaggio dalla rappresentazione realistica a quella totalmente onirica è gestito da Argento in maniera straordinaria. Per la verità, irripetibile e mai replicata. Forse è questo il segreto del successo del film che apre una finestra su una dimensione nuova della paura senza spingersi troppo in là. L’accenno soprannaturale era già presente nelle precedenti opere ( la sequenza della medium e del suo omicidio perpetrato in una casa dall’arredamento suggestivo e dettagliatissimo, pare provenissero dalla sceneggiatura di un altro film, forse Il gatto a nove code…) ma qui trovano un incastro perfetto con altri elementi. David Hemmings ( protagonista di Blow Up, film d’autore ma indiscutibilmente thrilling) dà corpo a un personaggio forse addirittura più accattivante di Tony Musante. Compositore di jazz, si trova in Italia e raccoglie le disperate confidenze dell’amico Gabriele Lavia in un film dove gli autori parlano molto, mostrano risvolti personali ma con un fine ben preciso nell’intreccio giallo, non per fare psicologia spicciola… Sfortuna vuole che venga sbattuto in prima pagina come testimone di un delitto che, in verità, “sente” e basta. Sarà l’incauto sopralluogo nella casa della vittima a far scattare in lui l’ossessione per il particolare sbagliato e l’occasione per la Polizia di usarlo come esca. Sì, perché, come al solito, il protagonista è vittima dell’assassino quanto delle forze dell’ordine, qui più stupide e incompetenti del solito. In mancanza di fantastiche ricerche scientifiche il commissario Eros Pagni ( in una gustosa caratterizzazione toscana, volutamente rozza) si serve del protagonista per aizzare la collera del mostro sperando di cavarci qualcosa. Non solo, dileggia il povero Hemmings con un piglio che, oggi come allora, fa sorridere ma anche rabbrividire perché nasconde un fondo di verità. “Ovvia, lei cosa fa? Il musicista? Ma nella vita vera, seriamente, come si guadagna da vivere?” L’artista è sospetto proprio perché fuori dagli schemi, estroso. E il pregiudizio si estende- Argento ne è consapevole – a buona parte della platea. Confermato dalla autodistruttiva follia di Gabriele Lavia, aggravata dall’omosessualità. Ma su tutto questo Argento passa con ala leggera e inserisce con abilità l’elemento commedia. Daria Nicolodi, la sua nuova compagna, raramente riesce a esprimere un’esuberante frivolezza come in questo film. La Nicolodi (a buon diritto considerata Regina Italiana del Terrore. Chi non la ricorda in Ritratto di donna velata?…ah, se avessimo il tempo di parlare anche del thrilling televisivo di quegli anni…) ingaggia con Hemmings una serie di duetti giallo-rosa che sono un omaggio alla tradizione del grande cinema americano ma conservano un sapore italiano, sempre misurato e divertente. Ma non lasciamoci fuorviare da queste false piste che Argento mette sulla nostra strada. Profondo Rosso è il più cupo e violento dei suoi thrilling iniziali.
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Sono d’accordo. Un film emblematico e programmatico, anche se alla lunga poi tutti o pregi di questa pellicola vanno stemperandosi nelle successive e dopo Inferno diventano spesso veri e propri difetti, culminando nell’assolutà beceraggine di La terza madre. Comunque, mi secca ancor più considerare come anche Profondo Rosso venga oggi mal criticato da tutta una congerie di tizi che vogliono a tutti i costi annientare Argento anche quando al meglio delle sue capacità, osannando al suo posto registi che per quanto abili artigiani non hanno nulla delle potenzialità argentiane, Fulci in primis. Siamo onesti e pure coerenti: oggi Argento è artisticamente defunto ma Profondo Rosso rimane un capolavoro davvero inimitabile.
Mike ancora una volta siamo d’accordo salvo che sul giudizio su Fulci. negli anni l’ho rivalutato moltisismo. Credo(e l’ho già scritto in questo blog) che il ‘ terrorista dei generi’ abbia dimostrato nel thrilling purodi possedere doti anche superiori aDario. Purtroppo questi dopo Suspiria che analizzaremo in seguito ha fatto ben poco ‘d’altro di valido. profondo rosso anche rivisto per l’ennesima volta tanti anni dopo resta un grandissimo film.
Mi correggo, intendevo esclusivamente il Fulci horror-fantastico… in tutti gli altri generi condivido il tuo parere, sin dai film con Franco e Ciccio per arrivare al bellissimo Sette note in nero. Nell’horror, semplicemente, non credo sia migliore di Argento, come molti oggi di sgolano ad urlare. Se dovessi prendere solo L’Aldilà, direi sempre che è un bellissimo trailer (immagini altamente evocative) e un bruttissimo film (spesso rasente l’idiozia pura).
sì allora ci siamo capiti…
Io preciso anche sul Fulci fantastico: L’Aldilà è un capolavoro, con un taglio più spietato, crudo e viscerale di quanto Argento sia mai riuscito a trasmettere ai propri film. Abbondano le immagini di obitori e autopsie, qui come in altri lavori thriller-horror di Lucio; la morte in tutto il suo orrore, senza peraltro rinunciare alle invenzioni visionarie (vedi sequenza del volto corroso dall’acido). Quanto alla querelle “meglio Fulci o Argento?” lascia il tempo che trova; come domandarsi se sia più buona la torta di mele o la pastiera napoletana. Su Profondo rosso nulla da aggiungere, il miglior thrilling italiano del decennio: la trovata della medium originariamente doveva essere utilizzata nello script di Quattro mosche di velluto grigio ma Argento non riusciva a farla quagliare.
Io per una volta sono d’accordo con il Tetro, il Fulci horror non mi paice granchè. però quello thrilling è insuperabile…
Per me anche quello horror, con i copioni sgangherati su cui gli toccava lavorare (neanche per colpa di Sacchetti che era forzato a buttarli giù in pochi giorni da De Angelis e qualche intuizione felice l’aveva – la lotta subacquea fra lo squalo e lo zombi è una trovata sua -) nessuno a mio parere sarebbe riuscito a tirar fuori di meglio. Lavorava con mezzi esigui, a differenza da Argento non aveva la Fox dietro le spalle; e L’Aldilà è il suo migliore proprio perchè non pretende di dare spiegazioni, è un lungo incubo. Un horror “totale” come altri tentativi sperimentali del periodo (vedi Delirium House di Norman J. Warren e lo stesso Inferno di Argento). Naturalmente de gustibus, ci mancherebbe; ma se tanti estimatori questo film li ha ancora un motivo c’è, a parte le inutili polemiche anti-argentiane che comunque molti fulciani di mia conoscenza non condividono. Sono altrettanto banali di quelle messe in giro dai Dario-boys sul fatto che Fulci nei suoi gialli avrebbe copiato Argento (cosa falsa e chiunque li abbia visti se ne rende facilmente conto).