Con l’eliminazione di Osama bin Laden si chiude e si apre al tempo stesso un’altra pagina dello spionaggio internazionale che non potrà non avere riscontri anche sul lavoro di chi queste storie le scrive. Non è un problema da poco. Nel giro degli ultimi vent’anni le prospettive attraverso cui affrontare l’argomento spy-story sono cambiate così tante volte e si sono intrecciate nei temi da richiedere per editori, autori e lettori un grosso sforzo per capire cosa sia attuale e cosa superato. Intendiamoci. Un buon romanzo resta un buon romanzo. 007 Servizio Segreto, La Talpa, Il Mosaico di Parsifal, Il giorno dello Sciacallo, Sam Durell e la regina delle Amazzoni, Nick Carter: Trenta denari per Judas e SAS contro la CIA – citando volutamente storie di ispirazione varia senza fare distinzione tra pulp e romanzi più ‘letterari’ – erano ottimi esempi del genere al momento della loro pubblicazione originale e lo rimangono anche oggi, anche se la scena internazionale è cambiata. Resta però, per chi scrive, la necessità di stare al passo con i tempi, di raccontare vicende che non appaiono datate oggi, al momento della pubblicazione. A ben vedere sino al termine della Guerra fredda lo spionaggio narrativo ha seguito due strade piuttosto nettamente definite anche se, in qualche caso, tangenti. Da una parte lo spionaggio inteso in senso più avventuroso, con gli scenari esotici, le belle maliarde, i protagonisti vincenti e spregiudicati, principi-pirati come Hubert Bonissieur de la Bath e un po’ tutti quei personaggi che si rifanno a Lemmy Caution hanno avuto in James Bond sicuramente la loro apoteosi (almeno al cinema), sfociata poi in personaggi alla Jason Bourne. SAS e il Professionista, a modo loro, sono nati così, pur essendosi sviluppati secondo criteri differenti. Poi c’era lo spionaggio d’autore, più psicologico, più noir che ha radici nell’opera di Greene, di LeCarré di Grady. Un mondo d’ombre, di inganni e disillusioni, raramente movimentato da azioni eroiche, vissuto, quasi per tradizione, all’ombra di grandi città americane o europee quasi sempre notturne, gravate da ministeri polverosi e animati da personaggi ambigui, meschini, sconfitti dalla vita in cerca di riscatto, nel migliore dei casi.
Tematicamente, però, queste due scuole che ancora oggi sono valide nella costruzione di intrecci e personaggi hanno subito delle mutazioni in base all’epoca in cui erano ambientati i romanzi. L’ipertecnologia, il folle che vuole conquistare il mondo trovavano il loro contraltare nel super terrorista, nel cervello del masterspy moscovita. Non di rado autori differenti affrontavano con risultati quasi antitetici la medesima tematica. L’opposizione dei blocchi, la Guerra fredda ha dato origine ai piani di Auric Goldfinger quanto agli intrighi di Karla. Se Scaramanga inizia la sua carriera come indaffarato e malpagato assassino al soldo del KGB in Europa e poi diventa L’Uomo dalla Pistola d’Oro, il danese dei Tre giorni del Condor ne è la versione più realistica, dolente perché consapevole di essere un granello in un meccanismo disumano, proprio come i suoi bersagli. Di fondo, però, la contrapposizione tra est e ovest incombe su tutte queste vicende sia che scelgano sviluppi dominati dall’azione e dal dinamismo sia che, al contrario, preferiscano trappole abilmente congeniate, scoperte in fondo a polverosi archivi e manipolazioni basate su sentimenti e rivalità umanissime. Con la caduta del Muro e il disgregamento dell’URSS, se i filoni noir e avventuroso in qualche modo persistono, muta la prospettiva, ampliandosi, variegandosi e non certo esaurita come avevano pronosticato editor e critici che da sempre hanno detestato il genere.
La Russia e l’Est europeo abbandonano il Comunismo e abbracciano il Capitalismo. Questa la novità. Non significa che sia cambiato poi molto. Di certo agli inizi degli anni ’90 appariva obsoleta qualsiasi proposta di scontro con il KGB. Ma, sotto un profilo geopolitico e narrativo, cosa se ne poteva dedurre? Prima di tutto una nuova ‘purga’ che allontanava i fanatici del vecchio regime, almeno quelli più ‘puri e duri’ dalla scena internazionale. Questo però stimolava la produzione di romanzi in cui nostalgici del ‘ vecchio’ ordine tentavano con gesti anche suicidi di rivitalizzare la guerra fredda. Storie con una sfumatura patetica come quelle dei vecchi pistoleri al tramonto del West. Di fatto il potere degli oligarchi, delle grandi società per il controllo del petrolio e del gas siberiano sono nelle mani dei siloviki, gli ex agenti del KGB che aderiscono alla maffya. Nasce il mito della malavita russa, divisa tra i suoi vari gruppi che forniscono perfetti nemici in alternativa al vecchio KGB. Ehi, questi sono delinquenti! Quindi li si può odiare, ammazzare, sbatacchiare senza ritegno e non offendere la sensibilità della correttezza politica delle anime candide. Si diffonde persino l’idea che l’organisatskaya sia formata solo da ceceni. Quelli che, fregandosene di ogni correttezza politica, i russi chiamano negri. Caucasici, musulmani, gente usata prima contro i cosacchi, poi sfruttata in guerra, abbrutita da governi fantoccio, derubata elle proprie ricchezze. Gente che, combinando fanatismo religioso e una concezione brigantesca della vita risalente a un secolo prima, reagisce. Terroristi. E i nuovi oligarchi, ex agenti del KGB oggi diviso in FSB e SVR(servizi federali interni ed esterni) persegue le stesse strade imperialiste degli Zar e dell’URSS in seguito. Ma esiste anche una diversa maffya, regionale, trapiantata in America, in Europa dell’Est. Gente feroce, abile, circondata da belle donne, che gira su macchine di lusso e traffica armi ramazzate dagli arsenali dell’Armata Rossa allo sbando. Nuovi nemici, privatizzati, simili ai trafficanti colombiani, thailandesi, armeni, turchi. Anche se a base regionale queste organizzazioni non sono identificate politicamente. Si avvalgono però di nuove tecnologie, di sistemi già in uso nello spionaggio della Guerra fredda, solo che ammazzano torturano, pestano con molta maggiore facilità. Che dietro a esse ci sia o meno la Nuova Russia non è ancora chiaro. La percezione di quegli anni, almeno nei romanzi,è che ‘ i russi non sono più nemici ideologici ma alcuni russi sono nemici perché sono dei banditi’.E la spy story si orienta in vari modi in questa direzione. Le guerre balcaniche con la loro difficile demarcazione di fronti offrono spunto ulteriore per trame spionistiche moderne. Lo slavo cattivo, il… cosacco, svolge ancora perfettamente la sua funzione, ma è diventato meno sottile, più facilmente identificabile come altro da noi, come avversario che è giusto combattere. In questo senso gran parte delle vicende spionistiche di questo periodo segue tale indicazione.Gli eroi cambiano. Funzionari dell’intelligence costruiti sul modello di Goerge Smiley vanno in pensione. Al loro posto ci sono analisti come Jack Ryan , affiancati da operativi delle Black Ops quali Richard Marchinko che racconta la sua vita come fosse un romanzo. O forse i contrario. Questo genere di eroe, più soldato che spia, si viene a sovrapporre anche all’agente segreto del filone avventuroso. SAS e 007 resistono più per onor di bandiera che altro. Ma i nuovi eroi sono più che altro contractor o soldati addestrati ‘anche’ all’intelligence. Nick Stone di McNab scrive due libri interessantissimi sulle sue esperienze nel SAS britannico poi approda alla narrativa da ‘indipendente’. Come il Professionista. Come lo Sniper di Altieri. È interessante rilevare che, benché ne esistano esempi già in precedenza(i romanzi di Guerrini e Santini per esempio, ma si trattava di cloni italiani di SAS anche se non spiacevoli e con una loro visione politica differente) che è tra gli anni ’90 e il 2000 che nasce la cosiddetta scuola italiana di spionaggio, la mitica ‘ legione Straniera di Segretissimo. Prospettive nuove ed europee, più che italiane, senza dubbio interessanti.
Emerge, poi, autonomamente il terrorismo islamico, sino alla fine degli anni ’80 visto come strumento della guerra del terrore del KGB. All’eversione pura si affianca la lotta religiosa, la Jihad. Dagli eventi in Somalia, al primo attentato di bin Laden al WTC nascono nella realtà e nella fantasia nuovi, autonomi, gruppi islamisti da combattere. Il pubblico non ha ancora una visione chiara. Prevale l’immagine del beduino inturbantato ma delle divisioni interne e, a volte, molto rilevanti nel mondo arabo o meglio islamico nessuno si cura di sapere granché. Il terrorista arabo diventa un nuovo avversario, anche se nella foga di trovare nuovi nemici per gli agenti letterari e cinematografici si confondono Iran e Iraq, Hezbollah e Hamas, siriani e libanesi, nordafricani e milizie di varia ispirazione.
Lotta alla criminalità di ogni origine vista come una sorta di ‘servizio segreto criminale’ quindi, ma anche una minaccia dal mondo arabo solo vagamente intuita ma fantasiosamente raccontata sono i temi principali della spy story.
Fino all’11 settembre 2001.
Gran bell’articolo, già commentato su FB…
Spy-story will never die
già ci sto lavorando
di certo no e l’entusiasmo non manca…
ho pensato di farlo girare su entrambi i ciruiti visto chenon tutti son osu FB tra poco la seconda parte…
Complimenti per l’articolo, sicuramente un ottimo refresh per chi legge e si interessa dell’argomento da anni e un ottimo punto per spiegare a chi si è avvicinato in tempo recenti.
Rimaniamo in wait per la seconda parte.
settimana prossima la leggi
Bello e completo come sempre il tuo lavoro di analisi!
per me è un divertimento e un modo per tirare le fila del mio lavoro
Articolo interessantissimo. Effettivamente la spy story è un genere che dopo la lunga fase della guerra fredda ha subito cambiamenti, mutazioni e deviazioni. Uno degli aspetti dei tuoi romanzi che apprezzo di più è la capacità di analisi e rielaborazione della realtà, che permette di adattare le storie ai continui cambiamenti e prepararle ai nuovi scenari dello spionaggio.
Grazie davide..ne parlerò più avanti però posso anticiparti che come autore di spy storyin aquesti ultimi dieci anni ho dovuto affrontare almeno tre punti differenti di guardare alla cronaca per poterla adattare in romanzi chenon risultassero superati. stimolante ,no?
In pratica per lavoro sei quasi obbligato ad avere l’abbonamento ad un quotidiano e a vedere almeno un paio di Tg al giorno… o basta internet?
il tg come la lettura del quotidiano danno un’indicazione generale,in seguito cerco di approfondire in modo meno ..massificato.