Giorgio Scerbanenco. Padre del noir italiano. D’accordo, con qualche riserva. Ma non è di questo che voglio parlare. Quest’anno, oltre che della morte di Salgari, ricorre il centenario della nascita di un grandissimo della nostra narrativa popolare e avremo sicuramente diverse occasioni per parlare della sua opera al ‘nero’. Finché fu in vita, come ricorda Oreste del Buono, nella prefazione dei Gialli Garzanti di Milano calibro 9, Scerbanenco venne ignorato e dileggiato dalla critica ufficiale ‘classista e razzista’ perché aveva cominciato e praticava ancora con grande abilità la narrativa rosa. Un giorno presentò a del Buono Venere privata domandando umilmente se voleva leggerlo. Era un ‘Giallo’ con un ‘Eroe italiano d’oggi, non il solito maresciallo che gioca a scopone o il Maigret romanizzato’(da i Gialli Garzanti 126 , giugno1997 , ristampa del volume del 1969). Oggi si fan tutti belli a citare Scerbanenco come padre del nero italiano e la semplice etichetta ‘noir’ manda tutti in paradiso, anche quelli che lo copiano senza avere alcuna idea originale. In questi giorni in libreria ‘I sette peccati capitali e le sette virtù capitali’(Garzanti). Copertina ‘nera’ e strillo adeguati per far coppia con il Centodelitti (che era veramente una raccolta noir) di qualche tempo fa. Giustissimo. Un volume da tempo colpevolmente assente dagli scaffali in una bella edizione. Ma a mio avviso un’operazione discutibile in cui il lettore viene ingannato. Perché? Mai come in questa magnifica raccolta di novelle sui vizi e le virtù di quell’Italietta che Scerbanenco aveva imparato a osservare e riproporre con tanta acutezza sui ‘femminili’, il nero è assente. Sì, se vogliamo rabbia , disperazioni, speranze disilluse sono elementi del noir, ma le storie qui raccolte hanno un intento diverso. Sono vicende di analisi di figure principalmente femminili, positive e negative. Gli uomini, alla fine, finiscono sempre in un angolo, meschini, deboli, manipolati o manipolatori, poco simpatici. Ma non basta a fare un noir. Non lo dico per sminuire le qualità di Scerbanenco. Il contrario. La vena ‘da settimanale femminile’ qui è particolarmente viva, si traduce in pagine che (alla faccia dei critici dell’epoca e magari di oggi) non hanno bisogno di etichette per essere considerate ‘alte’. Lo stile è particolare, rispecchia pensieri e frasari che forse oggi si sono persi ma ritornano nella memoria se ripensiamo al passato. Frasi e motteggi che mi riportano a brandelli di conversazioni colte in casa, da bambino tra madri,cugine, zie e nonne. Gente comune, non dark ladies o tessitrici d’inganni criminali. Donne vere a confronto ogni giorno con speranze e disillusioni dei rapporti con i loro uomini. Pagine che rivelano un’attenzione per l’universo femminile che, alla fine, se ne sbatte dell’intrigo criminale, del sangue del meccanismo giallo. Perché cerca sentimenti. E qui li trova. Per cui non restate delusi se guardando la copertina(indubbiamente suggestiva) vi siete aspettati storie criminali disperate come in Milano calibro 9 o in Racconti neri. L’intento dell’autore era appunto narrare di vizi e di virtù, tracciare un labile confine tra gli uni e le altre mostrando una sensibilità che esclude le mezze misure. Come deve essere un racconto popolare. Anche se non è noir. E può e DEVE essere apprezzato di per sé stesso. Con buona pace del marketing. Evitiamo una volta tanto di farci fare l’ennesimo lavaggio del cervello con idee preconcette. Comprate questo libro , ma per le giuste ragioni. Perché è bello e racconta storie avvincenti. Del nero parleremo un’altra volta. Il tempo e le occasioni non mancano. Non con Scerbanenco alla macchina per scrivere.
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“Eros e Thanatos” sarebbe dovuta essere così.
In effetti…Anche se era un progetto inserito nel Giallo per cui il delitto e il mistero erano quasi d’obbligo. In ogni caso come Scerbanenco non ce n’è molti(o molte).