Le ceneri del Nero

Davvero il Nero è morto? Tanto meglio, considerato che fino a oggi ho visto in abbondanza editor e consulenti che se ne sono innamorati per poi buttarlo a mare appena si sono resi conto che da sola quell’etichetta non è sufficiente a riempirli di soldi e gloria e autori/autrici ( o sedicenti tali) che ci si tuffavano sempre nella speranza che seguire una moda sia sufficiente ad assicurar loro il successo. Tutto nella palese ignoranza non solo di cosa è  realmente il ‘nero’ ma anche  di come si racconta una storia e, spesso, di come si scrive un libro. Meglio così perché il ‘nero’ è una strada difficile. Implica rabbia, malinconia, uno sguardo sulla realtà che si ha o non si ha. Magari lo si può coltivare… e rendersi conto che quello che viene definito nero (o peggio ancora ‘noir’ che fa ancora più esotico, quindi, agli occhi imbelli, nobilita) è un universo estremamente sfaccettato. Quando uscite la sera non tutte le ombre sono ugualmente scure. Neanche durante un giorno di pioggia. O in  una giornata di sole, per quel che importa. Perché il nero è uno stato dell’animo prima di tutto. Ma l’atmosfera da sola non è sufficiente. Ci vogliono personaggi. Storie.  Il genere è internazionale (la base è innegabilmente a stelle e strisce ma ne esistono declinazioni in ogni paese   ) le sfaccettature sono moltissime e non sempre compatibili tra loro. Personalmente preferisco il  ‘nero criminale’che ha parentele con Stark, con le storie di rapina inglesi, col Milieu francese e certe derive del  cinema della mala italiana. E’, dal 1989, la mia strada – non l’unica per carità- e una delle preferite. Strada scomoda. Perché di solito l’editoria (quella che ti promuove in grande stile, ‘stimola’ la critica perché ti proclami  ‘miglior scrittore del momento’ , ti manda ai premi e magari te li fa anche vincere) vuole un ‘nero’ addomesticato, rassicurante , il che è quasi un controsenso. Maigret, per abilità del suo autore, era un giallo ma anche un ‘nero’ anche se con caratteristiche diverse dal mio o da quello di Pagan   o di Sejun Suzuki. Come? Vi sembra incoerente che mescoli romanzi e film? A me no (tra l’altro l’immagine che accompagna questo pezzo è la locandina di un mitico  nero giapponese con  Jo Shishido). Dunque, dicevamo il commissario rassicurante… che in Italia è diventato il commissario (o giudice o il suo equivalente femminile e femminista) Cliché come dice un mio collega.  Ha cavalcato una moda per le anime buone. E ha fatto il suo tempo. Forse il nero italiano di oggi dovrebbe raccontare altre storie, altra gente, con un piglio diverso. Forse…  Poi ci sono quelli che spingono il nero con una coscienza civile che è una ridondanza perché il nero è sempre espressione di un disagio sociale o personale e, se non riesce a esprimerlo con una storia, allora è inutile che ripeta il concetto avvolgendosi in un bandierone(di qualsiasi colore…).  Io ho fatto e faccio il mio nero criminale con una sua intrinseca cattiveria che  non a tutti piace. Ed è anche giusto. Non ci sto però  quando un editore rifiuta di pubblicarmi perché ‘visto che scrivo Segretissimo e pratico arti marziali’ allora sono un fascista ( bella scempiaggine. Chi è il tuo pusher?…)   o quell’altro che doveva farmi scrivere una storia di ecologia nera ma poi (credo che sia per gli stessi motivi) è sparito. Abita a duecento metri da casa mia, quando mi incrocia fa finta di non vedermi. Allora solo storie rassicuranti e politicamente corrette? No, perché, evidentemente, cominciare un romanzo con una volgarità inutile e salire sul treno del recupero della politica, va bene… ma solo per alcuni.  Quindi se in uno dei tanti dibattiti sento dire che ‘il nero’ è morto non posso che compiacermene. Vuol dire che molti si stancheranno di imbrattare carta e gli editori che credono in questo tipo di storie (e ce ne sono, perdio!) magari concederanno un po’ di attenzione agli artigiani che fanno il loro lavoro e conoscono gli attrezzi e il loro uso. Dopotutto McCoy e lo Sciacallo sono professionisti. Se volete rapinare una banca o uccidere un presidente, anche se solo sulla carta, andate da loro, non dal primo che capita. O no?

This entry was posted in editoria. Bookmark the permalink.

28 Responses to Le ceneri del Nero

  1. scarweld says:

    Il nero è morto? Finché c’è il Prof, non se ne parla proprio! ;-)

  2. ilprofessionista says:

    http://www.xtranormal.com/watch/7595693/
    giusto per esemplificare il concetto con una divertente mise en scéne opera del mio amico Franco sui rapporti tra editor e autori

  3. GUIDO says:

    Parole sante prof, io prefersico il nero cattivo tipo anni 70.

  4. Antonio Lusci says:

    Io spero sia morta la tendenza a chiamare noir ogni capriccio di scribacchini senza idee e niente da dire, che buttano giù delle storie pensando che mettendoci dentro due morti, un commissario tormentato e qualche truce dettaglio, regalino ai posteri un’opera noir. Definizione (secondo loro) comoda per poter pubblicare. Ecco, se quel genere di noir è morto, ne sono ben felice. :-)

    • ilprofessionista says:

      Molto piacere di sentire il tuo commento Antonio, tu che sei un professionista della scenggiatura oltre che un lettore informato e anche un narratore.
      Il senso del mio discorso era esattamente questo.

  5. Beppe says:

    Sulle brodaglie che gli editori principali rifilano al mercato (sia letterario che televisivo perchè ormai è tutto uno) sposo in in toto la tesi di K e del commissario Cliché. Rimane ovvio che sino a che si indirizzeranno investimenti pubblicitari e di marketing in quella direzione delle vere storie nere scritte in Italia, e chi apprezza il genere conosce gli autori bravi e sa che ce ne sono, rimarranno confinate ad un mercato secondario.
    Spero che il trend degli ultimi tempi e la possibilità di editori slegati dai grandi marchi possa invertire la tendenza.

    • ilprofessionista says:

      eh, su questo non ho pero tutte le speranze però non ci conterei moltisismo. Mi sembra veramente che corrano tempi bruttissimi. Questo non ci impedisce di proseguire nel nostro camminodell’editoria di guerriglia per citare sempre K

  6. Giulia says:

    No, il nero, noir, polar, come lo si voglia chiamare non è morto, anzi gode ottima salute e richiama sempre più appassionati che non si accontentano dei soliti libercoli consolatori in cui l’eroe protagonista sgomina i malvagi e li priva del loro potere destabilizzante. La vita non è così, cavolo, e il “nero” lo sa bene. Il bene e il male non sono entità così distinte, spesso si contaminano a vicenda, spesso si sovrappongono. Parlo del vero noir di Pagan, Reymond, etc… non della paccottiglia che si contrabbanda per tale sull’ onda del successo del genere. Concordo Stefano, il nero non è solo letteratura è anche cinema, dovresti scrivere un saggio sul nero, una guida sui capolavori del cinema e della letteratura che hanno fatto grande il nero, per fare il punto una volta per tutte e tenere alla larga i profani. Il nero è uno stato d’animo e spettatori, lettori, e scrittori devono essere preparati, consapevoli, il nero non è per tutti si rischia, anche di farsi male.

    • ilprofessionista says:

      la mia, Giulia, era evidentemente una provocazione. Certo che il Nero( nelle sue varie declinazioninon tutte d’azione) di qualità non è certo morto e io credo che ci sia un buon numero di lettori che non solo sono in grado di ricercarne e apprezzarne i testi ma che, poco alla volta, possano influenzare il mercato. Di sicuro il ‘mainstream’ il grosso successo commerciale ,non può entrare nella categoria del nero, probabilmente per sue qualità intrinseche. Come dicevamo il nero è una predisposizione d’animo di chi crea ma anche di chi fruisce.

      • Giulia says:

        Ma certo Stefano, :) che era una provocazione, rivolta forse agli psuedo neri che almeno fino a poco tempo fa proliferavano come virus. Spero accetterai il mio suggerimento e scriverai un saggio sul nero visto dal Professionista…

        • ilprofessionista says:

          lo farei volentierissimo…basta trovare l’editore perchè essendo un lavoro di ricerca e documentazione richiede parecchio tempo e..insomma anche il più pulp degli autori deve pagare le bollette. In ogni caso sto pensando di radunare un po’ delle mie note e organizzarle. Al momento sono al lavoro su un libro di cinema con Corrado e questo già ci impegna abbastanza ma ti assicuro che è mia intenzione farlo. ne riparliamo
          :-)

  7. Mikkael Taeter says:

    Si sta parlando del nero, ma direi che sia un discorso applicabile a diversi altri generi narrativi, in cui si crede di sapere tutto e si producono poi delle sciocchezze. Andrebbe secondo me giocato tutto su un genuino recupero di fondamenti “storici”della natura e dei presupposti del genere, riscoprire istanze prime e applicarle al giorno d’oggi. L’apporto del cinema può essere controproducente… il rischio è adattarsi a standard hollywoodiani che sono cliches da almeno 20 anni… effettistica a detrimento delle storie narrate. Questo sì sarebbe un dramma.

    • ilprofessionista says:

      Sì e no, Mike. Di sicuro la ricerca della radice originale è d’obbligo. Come il collegamento cinematografico che( come dicevo) è chiaramente USA almeno per le origini. I film Neri degli anni ’40 hanno ancora un sacco di cose da insegnare e non si può certo accusarli di massificazione a base di gli effetti speciali.Nei tempi sia narrativa che cinema(e non dicìmentichiamo fumetto) si sono evoluti sviluppando non solo tematiche( c’è una certa differenza tra il nero di Woolrich molto introspettivo e atmosferico e quello puramente criminale alla Stark o a quello di Melville o Josè Giovanni) ma anche nazionali. Mode a parte, il nero scandinavo ha il suo fascino. Uno dei migliori neri carcerari (altro svincolo che andrebbe esplorato) che ho visto di recente è spagnolo. ‘Cella 211′. Il libro non mi ha impressionato moltisismo ma il film è un vero pugno nelo stomaco.Se poi ci spostiamo a Oriente troveremo altrettante facce(oltre alle innumerevoli scopiazzature) del nero tra HK, Corea, Thailandia e Giappone.

  8. Sna says:

    Well… Discorso ampio & complesso, nel senso che tocchi tanti e complessi punti.
    Lascio le specifiche sul genere (come, dove e quando debba essere) a chi lo conosce veramente. Io tendo a ignorare anche quel poco che so, perché non credo nei generi – non credo in questa (molto anglosassone) tendenza a dividere il mondo in compartimento stagni. Un’opera che fa critica sociale per me è un’opera che fa critica sociale, non un giallo che diventa nero perché fa critica sociale. (Un nero che contiene scene lesbo diventa un viola? Non si finisce più.)
    I mean: who cares?
    I care, quando il genere (il noir, ad esempio) giustifica se stesso. Mi spiego, riprendendo quel che dici tu:
    «Poi ci sono quelli che spingono il nero con una coscienza civile che è una ridondanza perché il nero è sempre espressione di un disagio sociale o personale e, se non riesce a esprimerlo con una storia, allora è inutile che ripeta il concetto avvolgendosi in un bandierone.»
    Il nero è anche altro, per il semplice fatto che non si cresce con wikipedia al fianco a dirti cos’è il nero, ma si inciampano in opere che piacciono o fanno schifo e su cui è scritto «nero». È il professionista che scrive nero, o il lettore accanito, che può dare una definizione accademica di «nero» – ma il professionista sa che il nero è nato come sottofilone e quindi dal costante mutare dei generi, e quindi che il nero stesso può mutare fino a stravolgersi.
    Perciò, per il non-acculturato fruitore, il nero può essere qualcosa di diverso dalla definizione «ufficiale», e probabilmente spesso lo è.
    Ma, tornando al nero come espressione di un disagio sociale, ti cito ancora, quando scrivi «una sua intrinseca cattiveria che non a tutti piace». Questa intrinseca cattiveria può essere mezzo per dare luce a un disagio sociale, ma può anche diventare un fine; intendo, il lettore può leggere neri non perché vuole migliorare la società, ma perché gode di quella cattiveria, la apprezza fine a se stessa, e allora il nero smette di riflettere la società e comincia a diventare feticcio con cui masturbare le sinapsi. Il sottile tra reportage di guerra e snuff movie è sottile.

    Sul politicamente corretto…
    Well, conosci la mia posizione. Io amo «Le benevole». Ma bisogna essere ebrei per scriverlo.

    • ilprofessionista says:

      Inchino all’acutezza delle osservazioni, ma che te lo sto da di’… grazie dell’intervento Sna. :-)
      Sempre tornando a quello che dicevo precedentemente a Giulia, la mia era una provocazione. Chi mi segue, qui come su altre piattaforme(come chi discute con me a tarda ora con sigari e alcolici) sa che ritengo le etichette uno strumento per venditori et smilia. Mercanti al tempio. Come diceva il mai abbastanza compianto dottor Kananga’I nomi sono per le pietre tombali’. Io stesso a volte burlandomi degli editori stessi faccio un metagenere. L’esempio tipico è ‘Vladivostock Hit’ o ‘Gangland’ che sono usciti in una collana di spionaggio e di spionaggio sono davvero solo spruzzati. Io racconto le mie stoire che, per indole mia, hanno una sfumatura scura. E qui devo dire non per pessimismo personale quanto per sguardo realistico. Io, per chi mi conosce,mi ritengo una persona positiva, mi piace ridere anche con l’amaro in bocca. In Watchmen sarei stato il Comico…pensate un po’ voi e traetene le conclusioni. Di fondo un libro(un film o un fumetto)è buono se è scritto con quello che i greci chiamano Thrasos (fegato…piccola citazione). E con tecnica ovvio. Vende se viene diffuso e promosso ma questo dovrebbe essere il mestiere di editori e librai…
      In ogni caso,Sna, Thx per i tuoi post che son sempre intelligenti e fanno pensare…
      come già ti dissi. polso fermo e tira dritto….

  9. Mikkael Taeter says:

    Quello dei generi, delle etichette e delle classificazioni è un argomento importante e delicato, e mi ha sempre dato da pensare. Quando mancano, ne abbiamo bisogno. quando si esagera, vogliamo spazzarle via. Recentemente sono incappato in una lista di migliori opere fantasy stilata da un ragazzo molto giovane, che le identificava con nomenclature a me (esperto di fantastico in ogni sua forma) quasi totalmente sconosciute e alcune pure improbabili (“fantanewhorrorweirdsteam con inflessioni orientalmangaerotic”" etc). Bah, io mi sono formato sul genere quando il gran calderone del fantastico si suddivideva in SF, horror e fantasy (e i loro sottogeneri, per carità… ma mai prevaricanti sul “genere” portante) e ancora mi baso su questo. Ritengo possa valere anche per altri generi portanti come il thriller e le sue ramificazioni. Faccio un esempio “esagerato”: uno dice di essere un poeta, ed io chiedo: “conosci la metrica, sai cos’è un endecasillabo o un verso anapestico, sai cos’è un acrostico etc?”, lui mi risponde: “certo che no, a che mi servono, io scrivo poesia d’istinto”. Bene, per me questo, anche se poi riscontrassi che è bravo davvero, non vale una cicca. Se non mi si dimostra di sapere le regole, come si può essere credibili… anche solo per cambiarle o infrangerle? Ed ecco perchè serve avere comunque delle categorie, delle classificazioni, dei parametri entro cui operare… anche per andare oltre.
    Bisogna saper identificare il noir, l’horror, la SF… conoscerli per quel che sono. Verranno fuori contraddizioni ma confermeranno tutte le regole. e ci si saprà muovere meglio, con più oculatezza ed onestà.

    • ilprofessionista says:

      discorso complesso MIke. Per alcuni versi sono anche d’accordo in quanto per cimentarsi con un genere(soprattutto entro un format prestabilito) è ovvio che uno una certa cultura in merito debba averla. D’altro canto sono anche per la commistione e lo stravolgimento di regole e canoni. E qui, ovvio, ritengo cheper stravolgere sia necessario conoscere molto bene, altrimenti iven fuori solo un pasticcio. Guarda Tarantino (che per me resta un genio anche nella sua autoreferenzialità). Non è facile fare un film come Pulp Fiction, Kill Bill o Inglorius Basterds se non si ha quella nozione della narrativa pulp con le sue regole a volte un po’ rigide. Ma non è che ficcando dentro tre stereotipi posso dire di ‘aver riletto il genere’. Ancor peggio nella scrittura dove non è sufficiente fotocopiare un paio di autori di successo americani. Ma in Italia, a quanto sembra, i maestri del giallo son fatti così. E torniamo alla potenza della promozione che impone al pubblico le cose con il metodo ‘waterboarding’ in uso a Guantanamo quanto nelle prigioni della Corea del Nord….
      il vero problemaè far capire al letotreche deve formarsi un gusto suo. Come? Leggendo cose diverse e ragionando con la sua testa, forse…

  10. Mikkael Taeter says:

    Non fa una grinza, il lettore deve essere libero di farsi la sua idea di lettura, nè vedo come potrebbe farsela basandosi su dettami promozionali che puntano su conclamate spettacolarizzazioni di temi che spesso certo non fanno il genere. Ricordo quando uscì il primo libro della serie Ramses di Jacq: al Salone del Libro di Torino avevano costruito un tempio egizio di cartapesta gigantesco… non ho mai preso il libro, sulla base di tale promozione (avrò fatto anche male, magari era un capolavoro). Nè l’imitazione pedissequa di schemi americani farà l’opera buona, o accettabile. Eppure credo sia anche un errore affermare che dal momento che ogni cosa degna è già stata scritta, bisogna riproporla in modo che continui a colpire il lettore (la minestra è la stessa, mettici una spezia diversa e basta così). Questo vuol dire semplicemente tenere la barra del timone ma non controllare i venti sulle vele. Ci saranno sempre nuove cose da dire (fossero solo il contrario di quelle che vanno per la maggiore). Tarantino, piaccia o meno, è riuscito nel suo scopo, anche se ora non riesce più ad uscirne. Esperto dei generi, ha saputo manipolarli raggiungendo nuova originalità. Bisogna comunque riconoscere che la narrativa pulp per sua natura è basata sull’imitazione di se stessa e che fin dagli anni Trenta su cento autori di questo tipo di letture oggi se ne ricordano solo tre o quattro, mentre tutti gli altri sono nel dimenticatoio, e solo uno o due sono considerati, sempre oggi, Grandi Autori. Prendi Weird Tales: centinaia di autori, una decina nella storia del genere, due o tre nella storia della narrativa, uno nella storia della letteratura. Conclusione: non c’è. Restano domande. Davvero il lettore è in grado di scegliere? Davvero il suo giudizio si basa sulla conoscenza? Davvero è possibile farsi un gusto proprio e non già veicolato da leggi di mercato? Brancolo nel buio per tutte le risposte…

    • ilprofessionista says:

      ohibò,mi tocca essere d’accordo col Tetro!!!! Citi il caso di Ramses che all’epoca fu quasi più clamoroso del Codice da Vinci. Tra l’altro a voce posso raccontarti un curioso aneddoto sui sarcofagi usati per promuovere il libro. Ti posso dire che il romanzo(pur scritto da un esperto egittologo) era un prodotto bassissimo che usava la passione per l’Egitto come specchietto per le allodole. Ma ti dico di più, in quel periodo(o subitodopo) Wilbur Smith fece un salto di qualità(in termini di pubblico) con i romanzi della saga del Dio del Fiume che erano ambientati in Egitto(e i primi almeno erano scritti con la consueta abilità di Smith che ai tempi era un vero maestro dell’avventura). Allora…lampo di genio… a tutti gli editori venne in mente chel’Egitto ..tirava(mica come la patatina ma quasi) e quindi si potevano gabbare (sì perchè è questo che dà più fastidio:il lettore è un pollo da spennare) migliaia di inesperti lettori propinando loro qualsisi belinata sull’egitto. Ne fu un caso Nefertiti che andò malissimo. Ma l’idea rimase radicata. Per farti un esempio nel gruppo editoriale dove ho lavora 5 anni ufficcialmente come editor per il thruller e l’avventura(ufficiosamente come passacarte dell’ufficio contrati…motivo per cui me ne sono andato)avevano questa mania per l’Egitto. Comprarono(senza interpellarmi) un proposal di gialli con Nefertiti(sempre lei). Poi il romanzo completo era diversissimo dal primo draft ed era una cippolata pazzesca tanto che forse molti anni dopo hanno fatto un secondo episodio…tutto finito sotto le sabbie del deserto.Forse, invece, spendendo qualche soldino e qualche energia di più per promuovere una cosa che gli altri non hanno ancora fatto ma che è valida si potrebbero avere delle soddisfazioni.

  11. Mikkael Taeter says:

    Ecco, così siamo messi. Ma le domande restano… e mi è capitato anche di constatare che il muro di gomma spesso si trova proprio là dove meno te lo aspetteresti, cioè là dove credevi sarebbe stato possibile comportarsi differentemente, là dove avresti potuto aver la possibilità di cambiare le cose. La tendenza ad uniformizzarsi e omologarsi tende ad essere pandemica. E l’amletico quesito se sia il lettore “bisognoso” di essere preso per mano per quantificare i propri gusti o se invece abbia lampi di intraprendenza propri (ma dovendo scegliere sempre tra il “precotto”, visto che altro non c’è) resta…

    • ilprofessionista says:

      il fatto, credo, sia che esistono due categorie non tanto di lettori ma di compratori di libri. Il lettore forte ha un gusto suo(a volte sin troppo radicato tanto da essere refrattario a ogni proposta) e quello che importa veramente all’editore che compra il libro come oggetto. Questa categoria non legge veramente( cioè se lo fa rispecchia il giudizio che ha sentito oppure si vergogna e non dice nulla) ma acquista il libro come fosse un oggetto da tenere lì. Ed essendo categoria numerosa(molto di più del lettore vero9 è quella che con marchi etichette, mode strombazzamenti vari interessa all’editore. ora non dico che l’editoria non debba fruttare essendo attività commerciale però…
      la domanda mia è questa. se questi signori del marketing che hanno studiato(cosa?) e si fanno pagare salati sono così bravi perchè riescono a vendere cose che sono già di successo(magari inun altro paese) e autori facili da piazzare perchè vanno in televisione o in radio o la gente se li ricorda perchè sono cabarettisti( eh sì cabarettisti erano e buffoni rimangono). la difficoltà sta nel vendereil prodotto difficile.così ci si guadagna lo stipendio a casa mia.

  12. Ettore Maggi says:

    Ottimo articolo, Stefano!
    E bello anche l’utilizzo della locandina del film di Suzuki, autore che ho scoperto grazie a te.
    Quanto all’editore che ti dava del fascista, lo conosco bene, e lo disse pure a me, una volta… Vabbé, lasciamolo perdere.
    Un saluto e un abbraccio!

    • ilprofessionista says:

      eh caro ettore, noi ‘anarchici del cuore’ sappiamo cosa significa…quell’editore ha poco da face il gradasso(lui sa perchè)visto che ha tradito completamente le sue basi di partenza per pubblicare libri compilation su personaggi del music-gossip…

  13. ilprofessionista says:

    eh, i ritardi non finiscono mai.. comunque in tempo per un bel regalo natalizio…a gennaio organizziamo qualcosa?

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>