INTERVISTA A ELISABETTA BUCCIARELL

Serravalle noir 2011. Il premio alla memoria di Lucia Prioreschi, giornalista del “Tirreno”, è stato assegnato alla scrittrice Elisabetta Bucciarelli.

Intervista a cura di Susanna Daniele.

Iniziamo parlando dei premi letterari. Cosa ha significato per te vincere il premio Scerbanenco al Festival di Courmayeur?

Quel premio per me è stato da sempre un punto d’arrivo (e di partenza) perché è intitolato a Giorgio Scerbanenco, scrittore che ha narrato la Milano degli anni 60 nel suo divenire. E proprio di quella Milano “com’era” ho sentito parlare in casa dai miei. Sono molto contenta di essere qui a Serravalle oggi perché il premio è intitolato a una giornalista che mi hanno detto fosse molto apprezzata per la sua professionalità ma soprattutto per la sua umanità. Credo che sia l’elemento più importante,  quello che rimane nel tempo non sono soltanto le cose che facciamo ma soprattutto come le facciamo.

Parliamo del tuo romanzo “Corpi di scarto”, uscito nel 2011 per Verdenero, (Edizioni Ambiente). Fin dal titolo è presente il concetto del rifiuto, sia nell’accezione della non accettazione del diverso da noi che in quella del “troppo” che la società dei consumi produce e getta via. Sono temi forti, scomodi, urticanti. Perché questa scelta?

Lo scrittore racconta le storie, quindi i personaggi devono essere inventati ma il contesto deve far riflettere. Le storie devono avere un valore aggiunto, devono lasciare qualcosa. Gli scrittori, insieme ai lettori, devono capire qual è la direzione da prendere. L’inutile, il superficiale, è un di più che non ci possiamo più permettere. Se non vogliamo usare la parola “impegno”, dobbiamo però riprendere a parlare di etica. La letteratura in genere ha la funzione di far maturare l’identificazione nel lettore ma anche quella di approfondire dei temi, dei contenuti da offrire alla riflessione di chi legge. Nel mio libro mi sono documentata sul sistema di smaltimento dei rifiuti per cercare di riflettere e far riflettere sulle rovine reali e su quelle etiche, ma anche sulla speranza di riuscire ad instaurare rapporti autentici per poter ricostruire.

Il ragazzo Iac, protagonista del tuo romanzo, vive in una discarica insieme ad altri diversi che come lui si sentono rifiutati dalla società, dalla famiglia, dalla scuola. Perché hai scelto di raccontare la storia attraverso gli occhi di un adolescente?

Iac, come Lira Funesta, sono adolescenti inquieti e dolenti che si sentono ai margini di tutto. Hanno famiglie sfasciate alle spalle oppure inconsistenti, in ogni caso povere di rapporti umani che non siano basati sul denaro e la convenienza. I ragazzi decidono di vivere nella discarica in segno di reazione al rifiuto di cui si sentono oggetto. Abbandonano prima di essere abbandonati di nuovo. Proprio in quell’ambiente, che la Città non può capire, cercano di costruire rapporti autentici con gli altri abitanti della discarica: il cane Nero, Argo, il Vecchio e gli oggetti di scarto, che riutilizzano e a cui regalano nuove vite.

Anche il romanzo “Io ti perdono” affronta il tema della colpa e delle responsabilità, sia collettiva che individuale. Perché la scelta di un tema così difficile, apparentemente più adatto a un saggio filosofico e teologico che a un poliziesco?

Secondo me la tendenza della narrativa oggi, di genere o meno, deve andare nel senso di uno sguardo compassionevole sulle vittime, qualsiasi esse siano. Il quadro che tutti gli autori compongono in questi ultimi anni, va nel senso di capire chi subisce l’aggressione degli altri, della società. Sono contraria all’esaltazione dell’aggressore nella letteratura, il “rambismo” non deve più rappresentare il mondo attuale. L’autore deve interrogarsi sulle trasformazioni in atto, sia da un punto di vista individuale che collettivo. Quello che mi interessa è indagare il meccanismo della colpa e del perdono. Il segreto è il luogo dove la colpa alloggia. In Corpi di scarto la colpa e il dolo coincidono perché nel sistema dei rifiuti non ci sono soltanto le responsabilità penali delle ecomafie ma anche la colpa di ognuno che si sostanzia nella disattenzione, nell’indifferenza, nell’acquiescenza verso comportamenti  illeciti che sono sotto gli occhi di tutti.

 Per tanto tempo il meccanismo della colpa ha costituito un patto sociale  che ha permesso di controllare il comportamento collettivo e individuale. della responsabilità di quello che accade, a tutti i livelli.  La parte oscura dell’animo umano va tenuta sotto controllo per prendere le distanze da chi trasforma l’emotività in aggressione.

Un’ultima domanda: come costruisci le trame dei tuoi noir, in particolare quelli che vedono come protagonista l’ispettrice Vergani?

 

Nei romanzi che hanno Maria Dolores Vergani come protagonista posso utilizzare l’indagine come meccanismo letterario. E’ una libertà potente quella di attraversare il “genere” con un personaggio che mira a riflettere per risolvere e non a seguire le piste solo per raggiungere un colpevole. La mia protagonista indaga sempre su fatti che in qualche modo possono provocare un rispecchiamento. Ecco perché l’indagine intorno a lei diviene il controcanto di quella interiore. Ciò che la indigna maggiormente o suscita le rabbie più violente è la “materia irrisolta”. Il dolo e la colpa, la verità e la giustizia, la menzogna e il danno, l’amore tradito. Temi che fanno risuonare il quotidiano di molti di noi. In ogni libro divengono lo spunto per aprire una riflessione e per fare uno “scarto” in avanti. Le mie trame, come spesso la vita, forniscono più soluzioni perseguibili, ma non sempre regalano un happy end.

This entry was posted in INTERVISTE and tagged , , . Bookmark the permalink.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *