Il mammut della storia

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Nell’introduzione l’autore dice di avere iniziato a scrivere il libro nel novembre 1986, quando, a dire il vero, la classe operaia era ancora viva e vegeta, ripiegata sì sotto il peso delle sconfitte degli anni ottanta (la marcia dei quarantamila alla Fiat e il referendum sulla cassa integrazione), ma in un contesto economico e sociale segnato da una relativa stabilità, nel quale le conquiste sindacali degli anni precedenti non erano state ancora smantellate.
Poi, però, è riuscito a farlo pubblicare solo nel 1994, quando, dopo la smobilitazione dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est, la classe operaia era ormai sul punto di venire ingoiata dalla riorganizzazione economico organizzativa del nostro sistema industriale.
Il Mammut è, per l’appunto, il simbolo di questa classe ormai estinta. Estinta non tanto numericamente, e forse neppure nella capacità combattiva, quanto sul piano della propria coscienza di classe, cioè della consapevolezza di rappresentare qualcosa di speciale e di unico rispetto al resto della società.
Tutto ciò viene descritto molte bene nelle pagine di questo romanzo che racconta le vicende delle lotte operaie alla Fulgorcavi di Borgo Piave, in provincia di Latina, azienda presso la quale l’autore ha lavorato per trent’anni e nella quale si è impegnato a lungo, dentro, fuori e contro il sindacato.
E’ una grande saga fatta di scontri, amori, amicizie, speranze e ideali che al giorno d’oggi sembrano folli, ma che in certi anni sono state il pane quotidiano di un’intera generazione. Altri scrittori, in passato, ne hanno parlato con toni decisamente più crudi ed eversivi di quelli utilizzati da Pennacchi (il primo che mi viene in mente ora è Nanni Balestrini).
La forza dello scrittore di Latina, però, è proprio quella di proporre una versione “per famiglie” della conflittualità operaia: ci sono gli scioperi improvvisati, a gatto selvaggio, con i conseguenti cortei interni, ma senza parlare dei capireparto fatti oggetto del lancio di bulloni da parte degli scioperanti; ci sono gli operai che lavorano senza garanzie e senza protezioni, ma che alla fine riescono sempre a cavarsela con qualche graffio e poco altro; ci sono i blocchi stradali e gli scontri di piazza che finiscono a scazzottate dal sapore western e via di questo passo.
Molta saggezza e poca rabbia, come riconosce anche Pennacchi nell’introduzione. La fabbrica è una grande famiglia e un’insostituibile palestra di vita: si lavora, si lotta, si scherza, si ride, si studia, si fa sesso (anche tra uomini). Mammut è lotta di classe ricoperta da un velo di buonismo veltroniano, un resoconto intriso di nostalgia e di rimpianto degli anni ruggenti e del tempo che fu. Un’opera letteraria che appassiona, diverte e commuove.

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