Talvolta anche la fotografia può influenzare la scrittura. Soprattutto grazie a geni evocativi come Adi Nes e Gregory Crewdson. Amo entrambi. Qui due esempi.
Adi Nes. L’ultima cena.
Gregory Crewdson
Talvolta anche la fotografia può influenzare la scrittura. Soprattutto grazie a geni evocativi come Adi Nes e Gregory Crewdson. Amo entrambi. Qui due esempi.
Adi Nes. L’ultima cena.
Gregory Crewdson
È arrivato il momento di spiegare cosa ci sarà di diverso nel primo volume di Storia di Geshwa Olers rispetto all’edizione pubblicata da L’Età dell’Acquario nel 2007. Innanzitutto, la copertina. Che è questa. L’illustrazione rappresenta Tir Demàr, la Torre del Pianto, scena dello scontro tra i Maghi del capitolo iniziale. È opera di Fabio Porfidia. Il logo, come ormai sapete, è di Maddalena Gemma (autrice anche della copertina dell’horror Commento d’autore).
Poi, veniamo alla sostanza:
- ho eliminato le ingenuità del testo, soprattutto relative all’atteggiamento di Geshwa nei confronti della fiaba che la nonna gli racconta all’inizio. L’ho definitivamente reso un ragazzo di sedici anni che da solo si rende conto di attardarsi ancora in abitudini da lasciarsi alle spalle;
- ho anticipato l’entrata in scena dei folletti (la loro prima apparizione era prevista per il quarto volume). Senza anticiparvi troppo, vi dico solo che si chiama Harang e che fa parte del Regno degli Ùguri (rimaneggiamento dei folletti U’augurie della tradizione barese) e che assolverà a un importante compito, sia narrativo che… strutturale;
- ho reso più consapevole anche Nargolìan, soprattutto per ciò che concerne il suo desiderio di avvicinarsi alla magia.
- NON ho eseguito un rimaneggiamento strutturale, dal momento che ho voluto preservare quella caratteristica di romanzo aperto, in cui non tutto viene spiegato, che così tante antipatie e incomprensioni si è attirata. Storia di Geshwa Olers è e rimarrà un romanzo in cui non tutto verrà spiegato. Certo, ho fatto un passo avanti verso un chiarimento di certi eventi già in questo volume (come nella scena con gli gnomi), ma non ho intenzione di spiegare tutto. Né ora né mai.
- Infine, il sito è pronto: si tratta di www.geshwaolers.com, che rimanda a un sito in flash pubblicato tramite Wix.com, raggiungibile con un clic sul logo di Storia di Geshwa Olers. Ho optato in questo modo per evitare l’inutile spesa di pagare un programmatore, riservando i soldi per editing e poco altro.
Tutti pronti per il primo settembre? Il libro sarà scaricabile in formato ePub, Kindle e Pdf. Seguirà l’iPad, non appena avrò terminato di testarlo.
Qualche tempo fa è nata una discussione sullo scrittore pubblicitario di se stesso, in merito alla quale io stesso volli precisare alcune cose (che potete rileggere qui). Di giorno in giorno, poi, la riflessione è proseguita nel segreto della mia scatola cranica e non posso non aggiungere altre cose. Cioè queste:
- libero di fare ciò che vuole, come sosteneva Gino De Dominicis. In fin dei conti, nella mia concezione lo scrittore ha ancora la S maiuscola e perciò la condizione ideale per scrivere è quella che lo lascia totalmente libero. Ogni tanto sento dire: vorrei poter scrivere quando voglio io oppure vorrei avere più tempo per scrivere. Il problema non è questo! Il vero problema è capire che noi siamo padroni del nostro approccio alla scrittura, per tutto ciò che la concerne;
- la S maiuscola non riguarda il ritenersi superiore agli altri, o per lo meno non in maniera diretta. Ha a che fare, piuttosto, con lo status d’arte cui la scrittura dovrebbe assurgere;
- il momento più importante della scrittura non è la pubblicazione. Le discussioni puntuali sul mondo dell’editoria (talvolta necessitate dal nostro ristretto e malato panorama editoriale) non riguardano lo scrittore, bensì il mercato. Per capire un po’ meglio cosa intendo dire, pensate alla poesia: l’Italia è uno dei pochi Paesi in cui la poesia non viene praticamente considerata, editorialmente parlando. Come se non esistesse, mentre in Paesi che stanno vivendo una profonda crisi economica, come la Grecia (e non per una dipendenza necessaria di uno dei due concetti dall’altro), la poesia negli ultimi decenni ha conosciuto una fioritura quasi senza precedenti. Se volessimo pensare alla poesia italiana da un punto di vista editoriale, dovremmo dire che è morta. Voi ve la sentite di decretare un simile giudizio? Io no, anche perché la poesia è il medium comunicativo anti-mercato per eccellenza. I poeti esistono, e il loro linguaggio scopre la realtà in ogni singolo verso della loro arte. La poesia è la dimostrazione per eccellenza di come il momento della creazione sia quello più importante. L’attimo in cui lo scrittore vive il raptus della parola da mettere su carta è quello fondamentale. Tutto il resto è un di più. Ciò che poi viene dopo la stesura definitiva è, normalmente, la parte più deprimente e meno artistica;
- in fin dei conti, lo scrittore può anche essere un personaggio, il che non ha nulla a che fare con la pubblicità di se stessi. Sono gli scritti dell’autore a dover parlare, ma di certo non si potrà impedire (e sarebbe ingiusto farlo) che lo scrittore sia l’incarnazione di ciò che il suo verbo esclama. In un modo o nell’altro.
Ho una storia nel cassetto, già scritta, dall’inizio alla fine. Mi ci sono voluti quattro mesi per completarla e ora necessita di una revisione robusta, soprattutto in alcune parti. Piccolo problema: di mezzo ci son le piume, per così dire. Già, dentro c’è un angelo. Dove sta il problema, direte voi?
Il problema sta nel fatto che il fantomatico mercato fantastico italiano è zeppo di angeli di tutti i tipi e non voglio che la mia storia si perda nella melma dilagante. Già è difficile piazzare un romanzo in maniera dignitosa, se poi ci si mette di mezzo anche il Grande Zuccherificio Piuma & Bitumi Vari, il rischio che si corre è molto grosso.
In quel romanzo parlo di dolore maschile e morte, di assenza/presenza femminile e del sacro che irrompe nella monotonia quotidiana. La speranza è quella di trovare un allevatore che tratti bene il mio cucciolo e lo faccia crescere (non parlo dell’angelo, che anzi ha un che di bastardo…).
Ho osato proferire la parola “speranza”? D’accordo, ritorno in me e il romanzo ritorna nel cassetto. Darò la precedenza a un’altra storia: sempre sofferenza maschile, sempre dolore e quasi morte. Anche soprannaturale, sì, seppur un solo accenno. Per lo meno, però, non ci sono angeli.
Su L’Espresso di questa settimana leggo un intervento di Piergiorgio Odifreddi relativo alla…
Scienza? Matematica? Logica?
No, nulla di tutto questo. Alla Cultura. E non alla Cultura intesa in senso generico, ma in merito a un dibattito tra Umberto Eco ed Eugenio Scalfari. Dico: tra ECO e SCALFARI spunta Odifreddi. Di cosa tratta il dibattito? Del senso di realtà del mondo contemporaneo e del rapporto tra finzione narrativa e realtà. Odifreddi dice la sua e, ancora una volta, la fa fuori dal vasino. Riporto alcune frasi:
Se mi permetto, da scienziato, di intromettermi nel dibattito come “terzo fra cotanto senno”, è solo perché mi sembra che sia Eco che Scalfari, da umanisti, tendano a sottovalutare l’effetto deleterio che dosi massicce di finzioni finiscono per avere sul principio di realtà.
E già qui… rimango silenziosamente allibito. Ma andiamo avanti (tralasciando l’ormai sua trita e ritrita ripetizione che cattivona l’ora di religione a scuola!):
In quelle stesse scuole, verranno anche sistematicamente impartiti insegnamenti letterari e filosofici dello stesso genere, dagli dèi omerici dell’Iliade e dell’Odissea, alla schizofrenica voce del daimon socratico, ai regni dell’aldilà della Commedia dantesca, ai deliri idealisti di Hegel e Croce, al motto nietzschiano che «non ci sono fatti, solo interpretazioni».
Avete capito bene? Inizio a domandarmi perché il suo intervento sia stato pubblicato nella sezione “Cultura” della rivista… Continuiamo!
Questo mercato è sostenuto da un battage di recensioni, interventi, dibattiti e interviste che satura le terze pagine della carta stampata e della televisione.
A questo punto non so davvero che reazione avere, se non quella di iniziare a pensare che – forse – ‘sto tizio ha qualche problema, e non solo di coerenza logica (strafalcioni logici e di metodo disseminano i suoi cosiddetti testi saggistici sul Cristianesimo).
Veniamo alle sue conclusioni. Tenetevi forte.
Il primo risultato di questa manovra a tenaglia è una società che non vive della e nella realtà, appunto, ma è immersa nella finzione generalizzata. C’è forse da stupirsi se, ormai assuefatta alle storie dei cantastorie, quella società finisca poi col diventare facile preda dei contastorie, politici o religiosi che siano? I quali, in fondo, perseguono i propri fini con gli stessi mezzi, spesso raccontando addirittura le stesse storie.
Il secondo risultato è una società che non conosce la realtà e se ne disinteressa. Oggi qualunque scrittore o attore da quattro soldi, per non parlare di uno da milioni, riceve più attenzione ed esposizione di qualunque premio Nobel. E le contingenti e superficiali invenzioni del primo sommergono le necessarie e profonde scoperte del secondo. Bisognerebbe fruire dei romanzi, dei film e della tv cum grano salis.
Terminata la lettura dell’articolo (e dopo aver letto alcuni suoi cosiddetti saggi) mi chiedo perché perseverino a pubblicare simili minchiate. Scusate il francesismo.
Ne siamo in mezzo tutti, ma forse non tutti si stanno dimenando tra le sue onde per riuscire a stare a galla. Ahimè, io sono uno di quelli che rischiano di affondare. La crisi si conosce perché ce ne parlano i giornali e le tv, ne siamo martellati da molto tempo. Purtroppo colpisce anche il mondo dell’editoria, e case editrici considerate di qualità vengono affossate e salvate in extremis da grandi gruppi.
Nel piccolo, tuttavia, la crisi si vede anche da altre inezie. Faccio il mio esempio, che spero valga anche da giustificazione per chi – magari – desiderava vedermi e ascoltarmi al Montelago Celtic Festival 2011.
Rieducational Channel: Lo sapevate che basta un’assicurazione auto per relegare in casa uno scrittore come il sottoscritto, nell’attesa dell’arrivo dello stipendio successivo (già al termine della prima settimana dopo aver ricevuto il precedente)? Sapevatelo!
È quanto mi è successo e chiedo scusa a tutti coloro che – forse – si sono sentiti trattati male dalla mia assenza. Mi sarebbe piaciuto parlare di ciò che è italiano, soprattutto nella fiaba (ma prossimamente pubblicherò un articolo al riguardo), e farlo in vostra compagnia. Purtroppo 200€ per un viaggio di andata e ritorno Verona-Macerata (benzina+autostrada) sono davvero troppi, soprattutto quando non li si ha.
Non voglio fare la vittima, ma tant’è, questo è il modo in cui la crisi può bloccare uno scrittore.
Edit del 7 agosto 2011: relativamente alle questioni di cui discuto nell’articolo che segue, Michela Murgia ha preso posizione che ha reso nota tramite un articolo di Repubblica del 5 agosto. Qui potete trovare un post della Murgia, e qui la risposta di Generazione TQ. In calce aggiungo che, se i dubbi vengono a molti, forse non si tratta solo della diffusione di un timore, ma – magari – della percezione di un problema.
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Sono usciti allo scoperto, finalmente con alcune dichiarazioni programmatiche, veri e propri manifesti. Li ho letti, per cercare di capire in che modo riusciranno questi scrittori ed editori trenta/quarantenni a influire nuovamente sulla realtà (loro scopo primario). Non starò molto attento alle sottigliezze, perché con pagine e pagine di manifesto diventa praticamente impossibile tenerne conto.
Manifesto 1. Si concretizza con una necessaria presa di posizione contro un neoliberismo dilagante da quando… ci sono Berlusconi e il suo braccio destro, la Lega. Leggere per credere.
quella pericolosa incarnazione demagogica del pensiero neoliberista che è il berlusconismo, con il suo portato insostenibile di autoritarismo, di sprezzo della legalità e di saccheggio, per bande private, dei beni comuni, quanto quell’ignobile razzismo padano che è il leghismo.
Quale lo scopo dei TQ?
Se TQ si è formata e continua a operare, non è solo per discutere, ma per intraprendere un cammino condiviso di conoscenza e di azione. Per abbracciare, con l’analisi e la pratica, i temi vasti e intrecciati dell’istruzione, della ricerca, del welfare, del mercato, degli spazi pubblici, della produzione e della distribuzione di cultura.
Si propongono di
tenere con chi è venuto prima di noi uno scambio più autentico e profondo, che andrà impostato, comunque, su regole nuove. [...] TQ si è raccolta, dunque, non attorno a istanze estetiche, bensì politiche e sociali.
D’accordo, è più che sufficiente. Davvero avevamo bisogno di un altro gruppo a carattere fortemente novecentesco che viene a riproporci nuova ideologia? Perché cosa sarebbero le istanze politiche e sociali calate dall’alto (da un gruppo ristretto di scrittori ed editori) se non una ideologia? Fare aggregazione trasparente e libera da interessi, lasciando che il meglio degli scrittori e delle produzioni editoriali si faccia strada da sé, e accompagnare i critici a scoprire i piccoli editori, no?
Ma nella pratica, come faranno costoro a intervenire, soprattutto pensando al ruolo primario che dovrebbe spettare a uno scrittore e a un editore, cioè quello di creare qualità narrativa? Ecco la risposta:
Nell’intento, poi, di contrastare una preoccupante identificazione tra qualità e quantità in ambito culturale, un ricorso esclusivo a misurazioni numeriche, economicistiche, della conoscenza, TQ si impegna a praticare e a pretendere l’uso di filtri critici in grado di riconoscere e premiare la qualità. Per questo TQ adotta come uno dei suoi principi d’azione la promozione della bibliodiversità, difendendo la complessità e la varietà delle scritture in un panorama editoriale prevalentemente orientato ai criteri estetici e produttivi del largo consumo.
Come si fa a riconoscere la qualità? Difficile dirlo mentre un’opera è praticamente contemporanea a chi la deve giudicare. Di solito la si può affermare sul lunghissimo periodo. Se non altro indicano un criterio: la bibliodiversità. Ma può essere la qualità una questione di pura varietà?
Manifesto 2. Qui si entra finalmente più nel concreto per ciò che riguarda l’Editoria. Dice di voler agire secondo criteri di “ecologia culturale” per proteggere e coltivare l’unicità dei libri e difendere la bibliodiversità. Danno degli spunti ancora più specifici.
La scelta legata all’etica si traduce in maggior trasparenza relativa ai passaggi delle filiere editoriali, e fin qui mi vede d’accordo. Poi si passa ai diritti del lavoro, e la proposta è quella di istituire dei tariffari di riferimento per i mestieri dell’editoria, e anche qui andiamo bene. Purtroppo, poi, arriva di nuovo la stoccata dal cuore più profondo del Novecento:
TQ allestirà un database che favorisca il debutto degli esordienti più capaci e l’affermazione di traduttori che abbiano svolto poche traduzioni ma che abbiano dimostrato abilità e affidabilità.
Se per le traduzioni il criterio dell’affidabilità può ancora essere rintracciato nella qualità del risultato della traduzione e nell’attinenza della traduzione al significato originario, per giudicare le capacità degli esordienti come si farà? Qualcuno ha da proporre delle menti illuminate?
La parte più preoccupante arriva, tuttavia, quando si affronta il tema della qualità. Leggiamo e spaventiamoci:
Proprio in quest’ottica TQ intende costruire un circuito virtuoso per i libri di qualità che inizi anche prima della loro pubblicazione e che predisponga, attraverso i migliori critici letterari, librai e lettori, un’accoglienza attenta e qualificata in grado di aumentare la longevità, la risonanza e la redditività di quei libri.
TQ chiede anche agli autori di abbracciare e promuovere pratiche di qualità nel lavoro creativo e pratiche etiche in quello critico.
Sempre a tal fine TQ si ripropone di essere un riferimento e un raccordo tra le migliori voci della critica letteraria che sono, negli ultimi anni, sempre più isolate e inascoltate, così da conferire al loro impegno in favore dei libri di qualità ancora maggior forza e risalto e da fondare, insieme a loro, una nuova autorevolezza.
A testimoniare e consolidare questa militanza per la qualità letteraria vi è anche il proposito di TQ di segnalare opere miliari da tempo fuori commercio, creando un catalogo di grandi libri dimenticati.
Sono il solo a provare una certa inquietudine?
Infine, ecco il Manifesto 3, dedicato agli Spazi pubblici, che vi posto quasi integralmente. È breve ma denso di Novecento. Sì, anche questo!
TQ ritiene infatti teatro della propria azione tanto gli spazi pubblici di carattere istituzionale, quanto spazi che TQ stessa contribuisca a rendere pubblici indipendentemente dalle istituzioni: luoghi dismessi, sofferenti, mercificati, di cui sia possibile riappropriarsi, restituendoli all’uso comune e modificandone la funzione.
TQ svolgerà le proprie attività in luoghi nei quali il dialogo possa avvenire in modo orizzontale, in spazi non elitari né commerciali. La definizione è ampia: può includere una piazza, una scuola, un centro sociale occupato o un festival letterario. Rispetto allo svolgimento delle attività, sarà importante mantenere una dimensione il più possibile aperta e conviviale.
TQ interverrà attivamente sul territorio e stimolerà la riappropriazione critica degli spazi pubblici e dei beni comuni, affiancando realtà già operanti e elaborando azioni autonome, come ad esempio:
• il monitoraggio delle istituzioni del territorio e delle loro politiche culturali, affinché promuovano processi virtuosi di interazione col pubblico e progetti d’interesse comune, fuori da logiche puramente mercantili e clientelari. In questo quadro TQ considera una priorità la battaglia per la difesa e la riqualificazione delle biblioteche;
• l’occupazione, temporanea o a lungo termine, di luoghi della cultura o da restituire alla cultura, e il sostegno a occupazioni già in atto;
• azioni estemporanee di interposizione, disturbo o “guerrilla” culturale e artistica, in luoghi inconsueti o a forte connotazione politica e simbolica, come CIE, carceri, sedi di amministrazioni pubbliche, aziende.
Personalmente mi ritengo molto deluso dal Peter Minus partorito da questi grandi dell’editoria italiana. Mi aspettavo qualcosa di più attuale, meno legato a stereotipi ormai antichi. Mi aspettavo, in poche parole, nuova forza per la libertà espressiva, non una vecchia camicia di forza.
Alcune news
Vorrei parlare della lettura di Wunderkind – Una lucida moneta d’argento, di GL D’Andrea, ma rimando a un post successivo. Dico solo che finalmente ho trovato la pietra di paragone per farmi un’idea qualitativa del fantasy italiano. Il suo Wunderkind rivela il migliore scrittore fantastico.
Vorrei parlare della situazione italiana e dell’incapacità del Governo e dei politici di rendersi conto che la gente non ce la fa più, e che se non aprono gli occhi ciò che sta accadendo in Grecia, Spagna e Inghilterra accadrà anche qui, ma forse con un tantino di cattiveria in più. Però non lo faccio perché sarebbe troppo lungo e al momento ho troppo da fare.
Vi segnalo una citazione di una pagina di Commento d’autore (nella quale il protagonista Cesare Ombroso inizia a camminare su una strada alternativa) fatta dal blog Al peggio non c’è mai fine per parlare di una nuova versione di Pinocchio. Grazie Iri.
Infine vi rimando alla pagina home del mio sito. Un piccolo passo in più verso la versione 2011 de Il viaggio nel Masso Verde. A tal riguardo non mancheranno le anticipazioni per scoprire in che modo questo romanzo sarà diverso dalla precedente versione.