A pag. 494 di It, Stephen King scrive:
“Sono passati giorni da quando mi sono proposto di scrivere la storia dell’incendio al Punto Nero come me la raccontò mio padre e ancora non ci sono arrivato. È nel Signore degli Anelli, mi pare, che un personaggio dice che «si va di sentiero in sentiero»; che cioè si può partire da un posto non più fantastico della porta di casa propria per raggiungere il marciapiede e da lì si può andare… be’, ovunque. Lo stesso è per le storie. Una storia porta a un’altra e poi a un’altra ancora e così via e forse si procede nella direzione desiderata, ma forse no. Forse alla fine conta più la voce che narra delle storie in sé“.
Condivido appieno questo modo di vedere le cose. Spesso sono le storie che ci appassionano e ci spingono ad arrivare al termine di un romanzo. Altre volte, invece, è la voce che le racconta. Forse accade più raramente (e probabilmente è anche giusto che sia così), ma questo spiegherebbe il perché talvolta ci si innamori della voce dello scrittore (nascosta nella voce narrante) piuttosto che del singolo romanzo in sé. Proprio in riferimento a It, il romanzo è lungo, 1200 pagine. Forse perfino prolisso e superata pagina 500 ancora non sono riuscito a capire quale sia il senso del discorso. Se un romanzo non mi fa capire entro pagina 60 dove vuole andare a parare, normalmente lo chiudo. Qui invece ho superato il punto per me critico di oltre 440 pagine. Ci sarà un perché, e immagino che questo perché sia proprio Stephen King.
È la sua voce, che riconosco al di sotto di ogni singola e differente voce interna al romanzo. È un richiamo preciso, è un’atmosfera capace di farmi entrare nella storia, è la verità che sta parlando direttamente al mio cuore. C’è un punto in cui uno dei personaggi descrive l’odore che fa l’essere umano arrostito. Ok, orrore! D’altronde è King! Dice che non fa l’odore di costine arrostite, come spesso dice la gente. No, lo descrive in un altro modo. Ora: per quanto incredibile possa essere la spiegazione che ne dà, lo fa con una tale capacità di farsi credere, che non posso che dire: è vero, anche se non ho mai sentito l’odore di un essere umano andato a fuoco, quello dev’essere!
Perché è la sua voce a compiere il miracolo, il modo in cui dice le cose, la verità che riesce a veicolare. Sono convinto che questa sia la cosa che conta di più in un romanzo. Ricordate il post sull’incanto che scrissi qualche tempo fa? No, rileggetelo, lo trovate qui. In quello, dicevo che l’incanto è la capacità di operare soprannaturalmente per virtù delle parole. La voce del narratore (e dell’autore stesso, sebbene le due non coincidano quasi mai) crea l’incanto, lancia una magia. E il lettore entra nella storia.