[saga] "La Torre Nera", Stephen King

Del mio difficile rapporto con Stephen King ho già parlato in occasione della recensione di “Insomnia”. Tuttavia non potevo in alcun modo esimermi dal leggere quella che viene considerata – a torto o a ragione – una delle sue opere più belle.
La serie si ispira ai poemi Childe Roland alla Torre Nera giunse di Robert Browning, The Waste Land di Thomas Stearns Eliot e, su indicazione dello stesso King , Il Signore degli Anelli e Il buono, il brutto, il cattivo (dichiara, Stephen King, che il personaggio del protagonista è stato ispirato dal Cavaliere Senza Nome interpretato da Clint Eastwood).

La peculiarità principale de “La Torre Nera” consiste nella possibilità, per i lettori appassionati dei suoi libri , di trovare l’origine di alcuni collegamenti, espressioni, personaggi che hanno fatto capolino anche negli altri volumi scritti dall’autore. Stephen King, infatti, fa partire quasi ogni sua idea dalla Torre Nera: iniziata nel 1982, la saga è stata portata avanti con lentezza spesso esasperante per i fans, che ne hanno visto il completamento solo nel 2004. Di fatto, lo scrittore ha fatto passare anni tra l’uscita di un volume e l’altro, intermezzi riempiti con tutti gli altri volumi che compongono la sua fortunata carriera e che traggono quindi a volte spunto da avvenimenti e spezzoni della saga del pistolero.
Spesso si è detto che Stephen King avesse annunciato che con la chiusura della Torre Nera non avrebbe più scritto; non si conosce esattamente la fonte di questa diceria, ma la presenza di nuovi libri scritti dopo il 2004 ha decisamente smentito l’ipotesi.

Roland Deschain è l’ultimo pistolero.
Si muove in un mondo che assomiglia spesso al vecchio West, con organizzazioni cittadine feudali e tracce di magia lasciate da un popolo ormai scomparso da tempo. Lui stesso è l’unico sopravvissuto della ormai scomparsa città di Gilead. L’unico scopo di Roland è trovare la Torre Nera, leggendaria costruzione dall’ubicazione ignota in grado di fornire le risposte che un uomo può cercare.
Il suo viaggio lo porta a contatto con personaggi di diversa origine e spessore, a volte visitatori da un’altra dimensione, a volte autoctoni del mondo in cui si trova.
Davanti al pistolero, a segnargli il cammino, a fornirgli un ulteriore scopo, c’è il misterioso uomo in nero.

Il mondo che Stephen King ha partorito dalla sua mente e scelto come ambientazione per questa storia è duro, privo di pietà, come le persone che lo abitano, come Roland stesso. Le tracce di vita, gli incontri con altri esseri viventi, le visite a città cadute, a ruderi di civiltà rase al suolo sono solo un contorno, un qualcosa che sfiora il viaggio del pistolero verso l’unico scopo: impedire la distruzione del mondo, invertirla se possibile, tramite le risposte che troverà alla Torre Nera.
Roland è un personaggio introverso, la sua storia viene raccontata senza fretta nell’arco dei sette volumi che compongono la trama: il quadro che ne esce è quello di un uomo ferito nello spirito e nell’anima, con un’incrollabile convinzione che rappresenta tutto ciò che lo tiene in vita.

Uno dei personaggi più belli di cui abbia mai letto.

“L’uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì.”

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[saga] "La Ruota del Tempo", Robert Jordan

Inizio con questo post una parentesi dedicata a quanto di più difficile una persona che voglia recensire libri possa trovarsi di fronte: le saghe.

Una piccola premessa: è diventato oggigiorno sempre più difficile trovare dei veri libri, e con questo termine intendo un volume che contenga una storia che inizia e finisce all’interno delle sue pagine. Ben che vada, qualunque libro esca ormai fa parte di una trilogia; può andare anche peggio, può far parte di una non meglio precisata serie di volumi.
La frustrazione è piuttosto ovvia: sicuramente almeno qualcuno di voi si è trovato nella situazione di comprare un libro attratto dalla trama di copertina per arrivare alla fine e scoprire che…non c’era una fine.
Ebbene, tra queste serie ce ne sono alcune che per me rimangono dei capolavori, terminate o no che siano. Possono essere lunghe più o meno di dieci volumi, ma terranno viva l’attenzione e la smania di procedere nella storia con maniacale decisione.

Tra esse, la prima che vi presento è “La Ruota del Tempo”, di Robert Jordan. L’autore è purtroppo mancato nel 2007, lasciando l’opera incompiuta: tuttavia, poiché il decesso non è giunto inaspettato, ha avuto tempo di lasciare minuziose istruzioni su come la storia dovesse terminare alla moglie e ad un amico, uno scrittore conosciuto Oltreoceano di nome Brandon Sanderson.

Ogni singolo volume de “La Ruota del Tempo” comincia con il vento. Un vento che soffia tra le Ere che finiscono, vengono dimenticate e si ripresentano allorché la memoria le ha cancellate, in un unico cerchio, in una Ruota mossa dall’Unico Potere presente nel suo lato maschile – saidin – e quello femminile – saidar. Ed il vento non è mai quindi l’inizio, ma è comunque un inizio.
Conosciamo il piccolo villaggio di Edmond’s Field, che dà i natali alla maggior parte dei protagonisti dell’intricata trama del Tempo, nell’eterno suo svolgersi verso l’Ultima Battaglia contro il Tenebroso. Ed assistiamo quindi al venire alla luce del Drago Rinato, colui che avrà il compito di essere vessillo del mondo; reincarnazione di quel Lews Therin Telamon che nelle Ere fu Drago Rinato e fu causa della Frattura; uomo in grado di incanalare saidin corrotto dal Tenebroso, sfidandone la pazzia che porta.
Vediamo la Torre Bianca, sede delle Aes Sedai, incanalatrici di saidar, desiderose di mettere al guinzaglio il Drago Rinato ed al tempo stesso devastate dai sospetti al loro interno.
Ed assistiamo allo svolgersi degli eventi che avvicinano sempre di più il Tenebroso al mondo.

Mi rendo conto che con così pochi elementi possa sembrare una storia letta e riletta: non è così. A partire da Rand al’Thor, il Drago Rinato, che non è eroe ed è anzi soggetto a tutte le debolezze umane ed alla corruzione del Potere. La complessità del mondo creato da Jordan e l’incredibile mole di rapporti tra i personaggi possono rendere difficoltosa una lettura inframmezzata da altri libri, ma essa è tanto affascinante quanto complicata.

E’ noto che i libri della saga dovevano essere dodici, e dunque solo l’ultimo sarebbe uscito postumo; tuttavia, il risvolto di copertina dell’undicesimo volume – ultimo uscito in italiano da poche settimane – parla di quindici volumi. Mi viene ovvio supporre che vogliano sfruttare in qualche modo l’onda di empatia causata dalla morte dello scrittore e la “fame” di conoscenza della fine di un’opera davvero maestosa (ogni volume è composto da circa 800 pagine) prolungando in qualche modo il finale: voglio solo sperare che questa scelta non vada a minare l’incredibile struttura costruita negli anni da Robert Jordan, sminuendo uno dei pochi veri capolavori fantasy che si possono trovare in commercio.
E’ corretto tuttavia specificare che la versione ufficiale della presenza di tre nuovi volumi è l’eccessiva mole di dati e scritti lasciati da Robert Jordan, che avrebbe reso quello che doveva essere l’ultimo libro un tomo di oltre duemila pagine.

Attualmente è disponibile in Italia in lingua originale il dodicesimo volume, “The Gathering Storm”.

Mi riservo la possibilità di scrivere altri post sull’argomento, essendo la saga vastissima e piena di spunti, oltre che tuttora incompleta.

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"La tavola fiamminga", Arturo Pérez-Reverte

Ho riflettuto un po’ sull’opportunità di recensire questo libro: a tutti gli effetti, definirlo fantasy è un errore. Tuttavia è un thriller con un’innegabile fascino e la storia che è stata creata sul quadro di Van Huys è degna di un fantasy.

Siamo in tempi moderni. Julia è una giovane restauratrice che vive a Madrid e che si sta facendo un nome nel campo grazie alla qualità dei suoi lavori. L’ultimo quadro che le hanno affidato risale al Quattrocento, olio su tavola del maestro Pieter Van Huys denominato “La partita a scacchi”. E’ quasi immediata la scoperta che per la giovane questo non sarà un lavoro come un altro, appena il laboratorio le restituisce le lastre fatte al quadro e gli strati di colore vecchio di secoli cedono il passo ad una scritta.

Arturo Pérez-Reverte ha senza alcun dubbio una penna talentuosa: per quanto a volte si soffermi troppo a lungo su dettagli forse non necessari, non fa mai cedere la trama né scendere l’interesse. La storia si delinea con lo scorrere delle pagine in maniera lineare, con una giusta dose di tensione. E se pure è vero che può essere intuito gran parte del finale già durante lo svolgersi della vicenda, resta interessante arrivare a capire perchè.
Perchè una partita in corso da più di cinquecento anni venga portata avanti.
E da chi.

E’ stato mio marito a parlarmene ed a farmelo leggere.
Io lascio a voi la scelta se fare altrettanto e decidere se meriti o meno una citazione in un blog fantasy.
Dal canto mio mi è bastata quella frase, la frase che il quadro rivela, letta in quarta di copertina.

Chi ha ucciso il Cavaliere?

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"Le luci di Atlantide", Marion Zimmer Bradley

Marion Zimmer Bradley è un po’ un’istituzione nel mondo del fantasy. Moltissime persone, io compresa, hanno avuto il loro “battesimo” nel campo con i suoi libri, siano essi della “saga” di Avalon o di quella di Darkover. Ho trovato alcuni dei miei libri preferiti in assoluto nella schiera dei suoi scritti, volumi che mi piace leggere e rileggere, in grado di darmi sempre qualcosa.

La scelta di “Le luci di Atlantide” non è casuale. Dopo molti anni e molti suoi scritti ho trovato un filo conduttore tra diversi volumi, un filo non sufficientemente grosso da creare una saga propriamente detta (ed ecco il perchè delle virgolette all’inizio di questo articolo) ma innegabilmente presente in poche frasi, piccoli riferimenti, dettagli su cui si potrebbe sorvolare come parti di fantasia nella fantasia. Ma non c’è niente di casuale nei libri di Marion Zimmer Bradley, nelle storie che si svolgono tra miti e fatti realmente avvenuti, personaggi esistiti e spettri creati dalla sua mente.
Ecco, “Le luci di Atlantide” rappresenta l’Alfa di questo percorso: ogni riferimento, ogni mezza frase, ogni parola apparentemente non immediatamente riconducibili alle storie trattate nei successivi libri proviene da qui, da quell’isola che ancora affascina, che rende le persone curiose o scettiche, ma innegabilmente costrette a rapportarsi – anche per un solo momento nella loro vita – alla possibilità che sia esistita ed al mistero della sua scomparsa.

Contrariamente ai miei soliti post, non dirò nulla della trama o dei personaggi che prendono vita nella Città del Serpente Ricurvo. Lascerò che la curiosità verso Atlantide, se così dovrà essere, venga solleticata dalle sagge parole lasciate negli insegnamenti di Rajasta il Mago.

“Ogni evento non è che la conseguenza di cause ad esso precedenti, chiaramente viste ma non percepite in maniera distinta. Quando la corda vibra, perfino l’ascoltatore più ignaro sa che il suono culminerà nella nota-chiave, pur non sapendo in che modo la successione delle strofe condurrà all’accordo conclusivo. La legge del karma è la forza che conduce tutti gli accordi alla nota-chiave, come la forza di un sassolino che increspa l’acqua dello stagno, finché l’ondata di marea sommerge il continente molto dopo che la pietra è affondata, scomparsa ormai alla vista, dimenticata.
Questa è la storia di uno di quei sassolini, lanciato nello stagno d’un mondo sommerso molto prima che i Faraoni d’Egitto iniziassero a porre una pietra sull’altra.”

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"Insomnia", Stephen King

Ho sempre avuto una certa soggezione dei libri di Stephen King: non sono particolarmente coraggiosa, neppure davanti alla finzione dei film dell’orrore o similari. Avendo avuto un’esperienza piuttosto negativa con “Alien” (non con il film, bensì con il libro) ho guardato sempre da lontano i libri scritti da lui, che pure nulla centra con “Alien”, ben sapendo che non avrei probabilmente retto bene nemmeno la lettura e non solo i film.
Ho fatto solo tre eccezioni, due spinte da mio marito ed una da semplice curiosità: oggi scriverò di una delle due del primo tipo: “Insomnia”.

Ralph Roberts, anziano giovanotto che vive nella città di Derry nel Maine, soffre negli ultimi tempi di un’insonnia che riduce sistematicamente le ore concesse al sonno. Dapprima si tratta di svegliarsi solo molto presto, ma in breve diventa ogni giorno prima. Questione di minuti, che lo portano tuttavia inesorabilmente sempre più vicino alla veglia completa.
E’ stanco, Ralph, e non capisce per quale motivo non riesca più a dormire. Nemmeno i medici riescono ad aiutarlo, si limitano a classificare questi episodi come “risveglio prematuro” associandolo forse alla recente condizione di vedovo.
Ma lui si rende conto ben presto che non si tratta di qualcosa di così semplice: nella cittadina avvengono fatti inquietanti, iniziati con l’apparente pazzia di Ed Deepneau, padre e marito modello diventato di colpo violento, volgare ed aggressivo.
Come se non bastasse, la mancanza di sonno inizia a far vedere a Ralph dei fenomeni impossibili, al di la di quanto si possa considerare allucinazione. Tra essi, i “dottorini calvi” – così chiamati ribattezzati da Ralph – che sembrano apparire nei momenti e nei luoghi più strani ed in qualche maniera visitati dalla morte.
Cosa succede a Derry? In quale modo l’insonnia è legata ai fenomeni che sembrano avvenire?

“Insomnia” tiene fede al suo titolo. L’inizio panoramico nella cittadina amata da King (sede infatti di molti dei suoi libri) mostra i personaggi che ci accompagneranno in un viaggio tra realtà e fantasia. Ciò che la mente è capace di comporre nello scorrere delle pagine del libro dipende senz’altro dalla singola capacità di lasciarsi andare, di farsi per certi versi suggestionare da ciò che Stephen King vuole raccontarci.
Il crescendo della storia, lo sviluppo dei fenomeni, la trama che si compone dietro ciò che sembra evidente e che si modifica e si plasma ad ogni pagina, ad ogni minuto in cui si lascia vagare la mente nel limbo creatosi dall’immaginazione rende possibile il non riuscire a dormire. Letteralmente. Affascinato ed incapace di smettere di leggere oppure coinvolto al punto di temere i propri sogni, “Insomnia” cattura il lettore e convince, muovendosi vicinissimo al racconto dell’orrore senza mai sfociare in esso.

Perchè il mondo dei sogni è la sottile linea tra veglia e inconscio, tra realtà e fantasia.
Non sempre i sogni sono piacevoli, così come non sempre può esserlo il risveglio.

Volete provare a dormire?

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"Memnoch il diavolo", Ann Rice

Scegliere un libro tra tutti quelli scritti da Ann Rice potrebbe risultare complicato per molti appassionati di vampiri, più ancora per gli estimatori del fascinoso Lestat de Lioncourt, incontrastato protagonista di molte delle storie raccontate dalla scrittrice, solitario o affiancato dall’inglese David o dall’amato e riflessivo Louis.
Portato sul grande e sul piccolo schermo dal film tratto dall’omonimo libro “Intervista col Vampiro”, Lestat incarna l’archetipo del vampiro in tutta la sua arroganza e potenza; a tratti affascinato dalle sue vittime, altre volte completamente disinteressato, si protrae spesso in ragionamenti che approfondiscono il suo essere e che aprono nuovi scorci su una creatura considerata a ragione malvagia, ma che può nascondere lati di notevole interesse.

Può essere difficile, dicevo, scegliere un libro tra i molti che hanno Lestat de Lioncourt come protagonista, ma non lo è per me. Ammetto di non aver letto l’intera bibliografia della Rice, ma da sempre ho un’incredibile predilezione per “Memnoch il diavolo”. Sin dalla prima volta che l’ho letto, la scelta dell’ambito in cui far svolgere un nuovo spazio di non-vita del vampiro mi ha attirato e coinvolto più di qualunque altro volume.

Durante un inverno particolarmente rigido nella città di New York, Lestat de Lioncourt si trova alle prese con un avvenimento unico: la sua ultima vittima, come sempre seguita e desiderata con l’ardore proprio della creatura della notte, torna in qualche modo a perseguitarlo con la richiesta di proteggere la figlia da una grave minaccia. Turbato ed incuriosito, Lestat accetta.
Ciò lo porta inevitabilmente sulla strada di una creatura sovrannaturale che dice di chiamarsi Memnoch, e di essere il Diavolo.

Se quanto sopra non vi coinvolge particolarmente lo capisco; spiegata in maniera così scarna può sembrare la storia già sentita della creatura malvagia che protegge la bella da un qualcosa di ancora più sinistro, ma così non è.
Memnoch, infatti, più che un nemico cerca di essere alleato di Lestat, e di trascinarlo dalla sua parte nell’eterna lotta contro Dio. Ed ecco quindi che veniamo a scoprire come il Diavolo può raccontare ad un vampiro la sua storia, renderla credibile per una creatura millenaria ed abbastanza affascinante da convincerlo magari ad entrare a farne parte.
Ma sempre del Diavolo stiamo parlando, e dunque può Lestat fidarsi?
Memnoch tenterà ogni cosa in suo potere, compreso far visitare al vampiro il Paradiso…

Dio ed il Diavolo, con l’aggiunta di un vampiro.
L’eterna lotta tra Bene e Male, questa volta con un Male ulteriore.
Ma sarà vittima o carnefice?

“In catene, ho dettato queste parole al mio amico e scrivano.
Venite con me.
Basta che mi ascoltiate.
Non lasciatemi solo…”

Lestat de Lioncourt

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"Shiver", Maggie Stiefvater

C’è una prima premessa necessaria a questo libro: nasce in un periodo “sfortunato” – quello dell’egemonia di Stephenie Meyer – che ha fatto spuntare da ogni dove narrativa che ha la pretesa di spacciarsi per fantasy, anche laddove la penna che scrive è – a voler essere buoni – mediocre se non proprio pessima. Se osservate i banchi delle librerie, dall’uscita di “Twilight” in poi è stato tutto un fiorire di diari, storie, pacchianerie di vampiri e mannari; libri di buon livello si mischiano con raccontini di adolescenti confusi in preda a turbe amorose, i racconti dei quali – fossi una casa editrice – mi vergognerei anche solo a mandare in stampa.
Nel marasma che deriva da questa cacofonica egemonia pseudo-fantasy (e vi garantisco che io ADORO i vampiri ed i mannari) si rischia di perdersi qualche buona chicca, tra cui, appunto, “Shiver”; fortunatamente un’amica me lo ha segnalato e fatto scoprire.

Seconda, doverosa, premessa: “Shiver” è – come da sottotitolo privo di fraintendimenti – una storia d’amore e di lupi. Se vi aspettate truculenti scene di aggressioni, sangue e umani in preda al panico, virate su altro.

Grace e Sam.
Lui ha visto lei per primo, lei forse non si è mai davvero accorta di lui in quella forma. Ma si tengono d’occhio fin da quando Grace era bambina e Sam dal buio dei boschi puntava gli occhi gialli su quella creatura che per qualche motivo aveva risparmiato dalla fame del branco.
Ora tutto è cambiato, Grace e Sam si vedono davvero, attraverso gli occhi di una ragazza ed un ragazzo.
Ma non c’è molto tempo: le stagioni calde sono brevi, effimere, ed il ritorno dell’inverno potrebbe anche separarli per sempre.

Non è di certo un argomento innovativo, quello dei lupi mannari: generalmente creati da altri mannari che hanno trasmesso con un morso quella che viene intesa come una maledizione, abbandonano le fattezze umane durante le fasi di luna piena perdendo completamente il raziocinio e diventando bestie a tutti gli effetti.
In “Shiver” esiste già una prima variante interessante: non è la luna piena a fare da catalizzatore alla trasformazione, bensì il freddo. Nei mesi invernali infatti è impossibile ai lupi mantenere le sembianze umane, che ritornano solo in presenza di forti fonti di calore o durante i mesi estivi. Esiste però un limite a queste trasformazioni: ogni volta, ogni anno, è più difficile uscire dalla condizione di lupo e tornare essere umano; fino al momento in cui semplicemente non accade più ed il lupo prende il definitivo sopravvento.

Questa semplice variazione apre una nuova panoramica sulla figura dei mannari senza stravolgerli eccessivamente, com’è capitato invece con alcune figure vampiriche nel già citato caos editoriale. Pur nella forma animale, i mannari mantengono una sorta di collegamento con il mondo a cui appartengono in forma umana, che si fa tuttavia più labile ad ogni trasformazione. Giocare con i sentimenti, scrivere d’essi in queste condizioni, risulta di certo piuttosto semplice ma Maggie Stiefvater ci riesce con una notevole delicatezza, senza risultare mai banale o infantile. La stessa figura di Grace, unica immutabile durante tutto il racconto, è tratteggiata con una certa freschezza che pure non è superficiale, senza per questo renderla tragica.

Personalmente non posso che consigliare a chi ama le storie di sentimenti mischiate ad un buon fantasy di leggerlo; anche in questo caso, non si tratta di un libro singolo: il seguito (nome originale “Linger”, trasposto in Italia per incomprensibili motivi con “Whisper”) è previsto in uscita ad ottobre 2010.

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"Hyperversum", Cecilia Randall

Cosa ne pensate della Storia, quella con la S maiuscola?

Anche se ammetto di non essermi poi applicata un granché a scuola, l’ho sempre trovata affascinante. Più di una volta mi sono chiesta come sarebbe stato vivere in un altro tempo, ad esempio il Medioevo, sebbene per motivi probabilmente infantili: dame, cavalieri, tornei…sembra tutto molto romantico, anche se so bene che la realtà era molto, molto diversa.

Invece dei GDR, Giochi di Ruolo, che mi dite?

Ce ne sono talmente tanti ormai, da tavolo o online, ambientati in ogni Regno che vi venga in mente così come nello spazio o sulla Terra in epoche variegate. Ho giocato diversi anni ad un gioco del genere, online, ambientato in un periodo che poteva essere paragonato al Medioevo.

Detto così, non è difficile capire che il filo conduttore tra le due cose sia, nel mio caso, il Medioevo; ma cosa ha a che vedere questa digressione con un libro? Molto semplice: immaginate di essere ai giorni nostri, la tecnologia ludica ha raggiunto livelli molto più avanzati, al punto da essere disponibile per gli appassionati di GDR online un gioco avanzatissimo ad immersione totale: un caschetto dotato di occhialini tridimensionali e cuffie che trasmettano i suoni di ambientazione, dei guanti che consentano di muovere le proprie mani anche nel gioco ed una visione in prima persona. Altra chicca: ognuno può “creare” la sua ambientazione, scegliere un periodo storico reale, programmare con tutte le informazioni possibili l’epoca scelta in modo da avere l’esperienza più realistica del mondo; inoltre anche il personaggio che si desidera interpretare è interamente programmabile, dalle vesti che indossa alle sue abilità. Resta ovviamente un’esperienza ludica, per quanto immersiva e coinvolgente, perciò nulla di quello che accade durante la partita ha conseguenze nel mondo reale.

Questo gioco si chiama “Hyperversum”, ed è alla vigilia di una partita che inizia il nostro libro.
Ian è un bravissimo programmatore e Daniel non vede l’ora di dare il via alla nuova avventura. Il luogo scelto è, ovviamente, il preferito di Ian: Framcia, XIII secolo, con le sue guerre ed i suoi eroi. Tutto è pronto in casa: oltre ai due ragazzi parteciperanno anche il fratello minore di Daniel, la fidanzata e due compagni di scuola che si collegheranno alla rete da un altro edificio. Il gioco inizia e subito intorno a loro tutto si fa incredibilmente reale: solo l’assenza delle sensazioni di caldo e freddo e degli odori tiene ancorati alla vita reale, sicura e tranquilla. Almeno fino a quando, con una sensazione che li travolge e li stordisce, di colpo tutto cambia: la terra sotto le loro dita è umida, il vento freddo… la Storia non è più tale.

Innanzitutto è da precisare che volendo si tratta di una serie di tre libri; il termine “volendo” non è casuale, poiché quando ho letto il primo non avevo la minima idea esistesse un seguito e l’ho ugualmente apprezzato moltissimo: il finale resta aperto, ma è uno spazio che lascia sfogo all’immaginazione ed alle supposizioni, senza essere in alcun modo frustrante. I due seguiti (“Hyperversum – Il Falco ed il Leone” e “Hyperversum – Il Cavaliere del Tempo”) proseguono il filone in maniera ugualmente interessante, ma non giungono comunque ad una fine, segno che l’autrice prima o poi probabilmente aggiungerà almeno un altro volume. Il primo libro, semplicemente “Hyperversum”, resta comunque a mio avviso quello con il maggior impatto, probabilmente per via della novità; è facile infatti comprendere come i due successivi siano ambientati nelle terre francesi con la consapevolezza di ciò che accade e del perchè, a differenza del primo episodio.
Sebbene non ci sia uno stile letterario leggendario, e nonostante alcune parti siano “banali” (inteso come facilmente comprensibile dove andrà a parare), è un libro che si legge volentieri e con molta scorrevolezza.

Dunque, come uscire da Hyperversum?

Alla prossima puntata!

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"La Biblioteca dei Morti", Glenn Cooper

Per iniziare un’avventura come scrivere un blog su libri fantasy bisogna avere la mente fresca e conoscere bene ciò che ti accingi a recensire. Dunque non è sorprendente che la prima scelta cada su uno degli ultimi libri letti, che è anche fortunatamente uno di quelli che maggiormente mi ha colpito ed intrigato.

“La Biblioteca dei Morti” ha due tratti particolari che vale la pena sottolineare da subito: primo, è un romanzo d’esordio; secondo, non è neppure davvero definibile un fantasy. Ci si chiederà forse perchè venga recensito in un blog che si arroga il diritto di parlare di libri fantasy un volume che abbia tra le sue principali caratteristiche quella di non appartenere realmente alla categoria. Presto detto: non sono usa ritenere “fantasy” semplicemente qualcosa che tratti di creature diverse dagli esseri umani o che descriva per forza mondi paralleli; “fantasy”, nel mio concetto, è anche una trama che si svolga nel cosiddetto mondo reale, ma che tratti di avvenimenti improbabili. Seppure non per forza impossibili, ma questo dipende dalla capacità di immaginazione del lettore.

Il protagonista del libro è Will Piper, FBI di New York, Unità furti e crimini violenti. Un tempo valentissimo investigatore e tuttora profiler di altissimo livello, rappresenta l’antitesi dell’eroe: dedito all’alcolismo, famiglia distrutta, disinteresse nei confronti del mondo che lo circonda. Nonostante ciò, è a lui che viene affidato il caso Doomsday, una serie di omicidi che sconvolge la città di New York: le vittime non avevano alcun rapporto tra di loro, le loro morti avvengono in modi del tutto diversi. Un solo punto in comune a tutte: una cartolina con disegnata una bara stilizzata e la data della morte scritta accanto.
Che collegamento può esserci tra il caso Doomsday e gli scavi del 1947 nell’Isola di Wight, quando il professor Atwood e la sua équipe vengono improvvisamente prelevati e portati in un luogo sicuro? E cosa contiene la misteriosa Biblioteca, ritrovata proprio in quegli scavi? Così preziosa da far stabilire un patto tra Inghilterra e Stati Uniti, tra Winston Churchill ed il Presidente Truman; da battezzarla con il nome di “progetto Vectis”; da far costruire nel Nevada una base supersegreta per contenerla, oggi nota con il nome di Area 51.

Ebbene, “La Biblioteca dei Morti” riconduce proprio qui, all’Area 51. Fornisce un’alternativa al contenuto di quella base, che l’immaginario collettivo vuole sede di studi sulla vita extraterrestre. E se invece così non fosse, se anche l’incidente di Roswell (avvenuto appunto nel 1947) fosse stato costruito ad arte per nascondere il vero contenuto dell’Area?
Quanto si è disposti a credere che il destino di ognuno sia già stato scritto?

Il tema della storia avviene in tre luoghi ed in tre periodi storici ben distinti, intrecciati indissolubilmente tra loro e presentati nel corso della narrazione a chiarire alcuni punti oscuri, senza far calare la curiosità o far perdere alla trama il suo ritmo.

- Vectis, antico nome dell’Isola di Wight, piccola isola della Britannia che vide il compilarsi della Biblioteca per mano di Octavius, settimo figlio di un settimo figlio nato il 7 luglio del 777.
- Gran Bretagna, 1947, anno del ritrovamento della Biblioteca e dell’accordo con gli USA.
- USA, giorni nostri.

Come ho già detto, il libro può essere considerato un capolavoro o un fiasco assoluto a seconda della mentalità del lettore e della sua capacità di scindere il reale dal fantastico, l’improbabile dall’impossibile. Senza alcun dubbio la scrittura è fluida, accattivante, ben ritmata; la storia è studiata nei dettagli, gli intrecci si completano senza buchi e senza contraddizioni.

Avete voglia di scoprire la Biblioteca e di chiedervi se siete degli “oltre”?

Buona lettura.

PS. Lascerò passare un po’ di tempo prima di recensire il seguito, “Il Libro delle Anime”.

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