“La biblioteca dei libri proibiti”, John Harding

Quando ho visto questo volume sul banco della libreria, la prima cosa che mi ha colpito è stata la copertina. Subito dopo, queste parole:

Sono solo una bambina.
Qui non potrei entrare.

Per questo devo dire le bugie.

Per questo mi restano solo i libri.

Mettere insieme una biblioteca e dei misteri è come darmi una fetta di pane con la Nutella, per cui mi sono lanciata con entusiasmo.

Florence è una ragazzina da tempo abituata a doversela cavare da sola: uno zio totalmente assente e privo di interessi nei confronti suoi e del fratellino, una governante che esegue le volontà del lontano parente, una cuoca ed un tuttofare sono tutto ciò che la circonda. Fino a quando non scopre i libri. Ma leggere le è proibito, ed il suo amore verso la carta stampata rende assai pericolosa la sua vita notturna, quando nel silenzio di Blithe House raggiunge la biblioteca e si dedica alle parole di grandi poeti e scrittori. E l’arrivo di una nuova istitutrice non fa che complicare le cose…

E’ un libro grazioso, senza troppe pretese, ben scritto e con un punto di forza ben preciso: Florence ed i suoi neologismi. L’intero volume è scritto in prima persona, dal punto di vista della giovane ragazzina che ha imparato a leggere da sola e che trova in Shakesperare l’assoluta perfezione, al punto da dichiarare che quando diventerà scrittrice vorrà scespirizzare anch’ella, maneggiando le parole con la stessa libertà.

Tutto il racconto è infarcito dai termini che si inventa sul momento, o adatta alle sue necessità, cosicché è spesso molto divertente.
L’unica pecca è che un’idea potenzialmente esplosiva sia stata stesa in maniera un po’ banale. Anche se il termine corretto sarebbe forse: superficiale.

Ho trovato comunque affascinante, a suo modo, il fatto che non tutto viene spiegato. A tal punto viene rispettata la prima persona da non forzare nulla che Florence non avrebbe potuto davvero sapere. Il risultato è che tanto è intuibile, molto spiegato, ma altrettanto resta nel mistero.

Una piacevole lettura, da affrontare senza troppe aspettative e con una buona dose di leggerezza.

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“Breaking dawn”, Stephenie Meyer

Eccoci giunti all’ultimo capitolo di questa saga di umani e vampiri. Capitolo di cui peraltro non posso raccontare nulla, in termini di trama, perchè sarebbe tutto un immenso spoiler.

Nell’ultimo post avevo accennato ad un “purtroppo” parlando del finale. Qualora qualcuno avesse pensato che mi riferissi ad una possibile tristezza per la fine della saga, si ricreda: quella semplice parola di significato negativo si riferisce all’evidente colpo in testa che deve aver preso Stephenie Meyer tra la stesura di Eclipse e quella di Breaking Dawn.
Una trama che fino al terzo libro aveva camminato sul sottile filo del ridicolo senza precipitare (ed a titolo di cronaca ricordo di aver detto dall’inizio che a me i libri sono piaciuti), facendo storcere probabilmente il naso ai più che sono giunti a leggerli ma tuttavia ancora sufficientemente accettabili, diventa di colpo surreale. Va oltre l’inutile, oltre l’insensato, oltre il ridicolo, appunto. Non c’è personaggio che venga risparmiato da quella che potrei definire solo una centrifuga di avvenimenti assurdi. Qualcosa che suoni tipo:

“hai presente quello che hai letto finora, quello che sei convinto di sapere, le idee che hai su Bella, Edward, Jacob, i Cullen, i Volturi, gli animali della foresta, i vicini di casa? Ecco, dimentica tutto che ricominciamo.”

Per chi conosce di cosa parlo, è un po’ come a metà de “I Cieli di Escaflowne”, come le puntate finali di “Neo Genesis Evangelion”…arrivi li e non puoi che domandarti cos’abbia colpito in testa il creatore, lo scrittore, chiunque sia impazzito di colpo ed abbia messo in onda (o in questo caso scritto) qualcosa di così palesemente fuori da quanto visto (letto) fino a quel momento da farti spegnere la televisione.
O, come nel mio caso, gettare da parte il libro.

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“Eclipse”, Stephenie Meyer

Il terzo capitolo – seguito di Twilight e New Moon – è anche il più recente trasposto in film. Dei quattro libri che compongono la saga di Stephenie Meyer è anche il mio preferito, se togliamo il romanticismo grondante del primo che esercita sempre un certo fascino sulla sottoscritta: il timore che fosse l’ennesima proiezione deludente è quindi facilmente comprensibile. Tutto sommato devo ammettere che non è stato poi così male.

Ma cosa può raccontare Eclipse, dopo gli amori folli ed i triangoli incerti dei primi due volumi? Ebbene, la vicenda ruota intorno alla rossa Victoria ed alla sua ricerca di vendetta per la morte del suo compagno, avvenuta alla fine del primo volume ad opera di Edward. La logica della fanciulla è esemplare: tu mi hai ucciso il compagno, io cerco di farti fuori la ragazza.
E’ “del tutto casuale” che questo vada a significare l’ennesimo pericolo per quel centro di calamità e sventure che è Bella, rappresentato in questo caso nientemeno che da un esercito di vampiri neonati creati dalla stessa Victoria, talmente poco furbi e poco istruiti da attirare subito anche la mai particolarmente gradita attenzione di Jane, occhi dei Volturi.

Resto volutamente sul vago e senza rischiare eccessivi spoiler. In realtà difficilmente avrete sorprese rispetto alle idee che vi starete facendo con queste poche righe. Perchè il mio preferito, dunque? Perchè per lo meno c’è un po’ d’azione, c’è battaglia per la sopravvivenza, c’è la presa di posizione netta e attiva dei Cullen contro loro simili.

Certo, purtroppo si va anche verso il finale, ma di questo parleremo la prossima settimana…

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“New Moon”, Stephenie Meyer

Per un volta proseguo sul filone iniziato.

New Moon è il secondo capitolo della saga di Twilight: ritroviamo quindi gli stessi personaggi del primo volume con l’aggiunta – ed in alcuni casi l’approfondimento – di personaggi secondari che hanno lo scopo pressoché unico di fare da cornice ai tre protagonisti: Bella, Jacob, Edward. Assistiamo quindi a tutti gli effetti al vero inizio del triangolo amoroso, appena abbozzato in Twilight, niente più di una vaga intuizione.

***ATTENZIONE, SEGUE SPOILER***

A seguito di un incidente occorso in casa Cullen durante la festa di compleanno di Bella, Edward decide di lasciare la ragazza e di abbandonare Forks assieme a tutta la sua famiglia.
Annichilita dal dolore della perdita, Bella trova un po’ di conforto in Jacob. Ben presto scopre la vera natura del ragazzo e della sua tribù e viene messa a parte dei loro segreti e della genesi del loro rapporto con la famiglia Cullen.
Ma il vero pericolo è distante, in Italia, in un paese chiamato Volterra dominato dalla più antica famiglia di vampiri esistente: i Volturi.

***FINE SPOILER***

Rispetto a Twilight, New Moon soffre di un deciso rallentamento del ritmo narrativo. I fans (o forse sarebbe meglio dire le fans) dei mannari intesi come ragazzi fisicati ed un po’ selvaggi saranno certamente soddisfatti dell’approfondimento a loro dedicato da Stephenie Meyer in questo volume. Contrariamente ai vampiri, i licantropi non subiscono variazioni significative rispetto ai canoni classici; non ci sono quindi sorprese o dettagli in grado di far storcere il naso ai puristi del genere.

Molto più interessante la parte di storia che si svolge a Volterra, non tanto per gli avvenimenti che qui accadono bensì per la caratterizzazione data ai Volturi. Viene facile dimenticarsi delle originali peculiarità assegnate a questi vampiri dall’autrice leggendo di queste creature sanguinarie e crudeli, i cui pensieri sfiorano la follia in alcuni tratti ed il semplice freddo disinteresse in altri. Essi considerano gli esseri umani esclusivamente come cibo, non si pongono problema alcuno a nutrirsi di interi gruppi di turisti né provano altro che brama nei confronti delle capacità innate di Edward e Alice.
Decisamente un peccato che si tratti di una cinquantina di pagine in tutto.

A semplice corollario della recensione, aggiungo che la trasposizione cinematografica di New Moon risulta a mio avviso decisamente spenta e noiosa, a dimostrazione del fatto che la narrazione lenta del libro viene supportata in lettura esclusivamente dalla capacità di immaginazione del lettore.
Imperdonabile invece il pochissimo tempo – misurabile in minuti – dedicato ai Volturi.

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“Twilight”, Stephenie Meyer

Ho nominato abbastanza volte, nell’ambito di altre recensioni riguardanti libri su vampiri, ciò che negli ultimi anni è stato definito un cult, un “must have”, un successo su tutta la linea: Twilight. Nonostante si tratti di una mini-saga, a mio parere è utile esaminare i libri che la compongono singolarmente: cominciamo quindi proprio dal primo volume.

Isabella Swan (ma lei si fa chiamare Bella, visto che non sopporta il suo nome) lascia l’assolata California per la ben più piovosa Forks, desiderosa di dare a sua madre ed al nuovo compagno un po’ di tempo per loro stessi. La scelta del luogo di destinazione non è casuale: a Forks risiede infatti il padre della ragazza, sceriffo della cittadina  in cui Bella è stata solita trascorrere le vacanze fino a quando l’età non le ha consentito di scegliere diversamente.
Nonostante tutto parta sotto i peggiori auspici in termini di noia e di scarse amicizie, l’attenzione della giovane è ben presto attirata dalla presenza di una novità: la scuola è infatti frequentata da alcuni giovani appartenenti ad una famiglia estremamente riservata, i Cullen, che mostrano assai scarsa propensione alla socievolezza. Uno di essi, Edward, sembra covare un istintivo odio verso Bella, direttamente proporzionale all’attrazione che invece prova lei nei suoi confronti.

Ammetto onestamente che questo primo libro mi è piaciuto molto.
Per quanto possa dire senza timore di smentita che si tratta della storia banale tra una giovane umana ed un vampiro centenario dalle sembianze di ragazzo, ho apprezzato la descrizione dei sentimenti e dei dubbi di Bella, così come il capire assai poco di Edward e dei suoi pensieri se non attraverso ciò che lei stessa vedeva.
Il grande successo ottenuto dalla saga lo imputo quindi più all’impatto di immedesimazione dato da una storia d’amore tormentata che all’effettivo valore dello scritto, tenendo comunque conto che anche per scatenare una tale vasta reazione ci vuole una certa abilità descrittiva da parte dell’autrice.

Di certo l’invasione di volumi sui vampiri e pseudo-tali scritti da chicchessia che da qualche anno infesta gli scaffali delle librerie è scaturita dal successo di Twilight: incolpo di ciò le case editrici, spesso poco attente al contenuto e molto più al tentativo di fare soldi, come se bastasse avere una vaga idea di cos’è un vampiro e far sì che si  comporti come un umano con le sue passioni per scrivere un buon libro ed attirare pubblico.

Purtroppo per ora i fatti danno apparentemente loro ragione.

Come informazione di contorno posso dire che Stephenie Meyer aveva iniziato la stesura del romanzo opposto, chiamato “Midnight Sun”: trattasi della medesima vicenda descritta in Twilight, ma vista da Edward.
I primi capitoli sono stati messi in rete, sembra ad insaputa dell’autrice: pare che per l’irritazione ella abbia deciso di non portarlo a termine.
Ho trovato quei capitoli e li ho letti: personalmente, per soddisfare la curiosità sollevata da qelle prime pagine, spero ci ripensi.

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“Marked”, P.C. & Kristin Cast

Se un libro riporta in piena copertina una recensione del The New York Times che lo esalta come “un romanzo che conquista subito e si divora in un attimo”, si prova ad andare oltre al naturale storcersi del naso davanti all’ennesima storia di vampiri ed a  verificarne la validità.
Grave errore.

Zoey a sedici anni riceve il Marchio che la rende apprendista vampiro. Recatasi nella Casa della Notte, scuola il cui scopo è preparare gli apprendisti al delicato passaggio della Trasformazione, può solo sperare di essere forte abbastanza da sopravvivere al rito che miete frequentemente moltissime vittime. Ma Zoey non sembra destinata ad essere una semplice alunna: il suo Marchio infatti è sinonimo di incredibili poteri e potrebbe essere l’unica a fermare gli inquietanti avvenimenti che accadono nella scuola.

Nel caso la trama non avesse già qualificato la tipologia di libro, posso aggiungere che è stato scritto da madre e figlia con pochi precedenti degni di nota.
In linea generale Marked – che purtroppo vanta anche una serie di ben quattordici seguiti – è uno dei libri peggiori che abbia mai avuto la sfortuna di leggere. Le poche idee interessanti che potevano esser presenti nella storia sono state banalizzate al punto da rendere non solo scontata e prevedibile l’intera trama, ma difficile e penoso il tentativo di arrivare fino alla fine del volume.
La metodica di scrittura in prima persona, piena di mezze frasi, affermazioni ed esclamazioni tipiche del linguaggio adolescenziale, potrebbe essere simpatica ma perfino questo tratto diventa noioso prima della metà del volume.
A voler essere davvero onesti, si ha l’impressione di leggere il diario di una ragazzina dai poteri speciali con le prime turbe sentimentali, con tutti i singoli avvenimenti scontati che possano venirvi in mente, dal più bello della scuola che si innamora di lei al capo delle reginette di turno gelosissima, alla sua nomina ad erede dell’insegnante più in gamba e potente dell’intera scuola.

Vien da chiedersi cosa ci sia da scrivere per altri quattordici libri.
Ed anche che genere di appetito possano avere al The New York Times per “divorare in un attimo” un simile abominio che mi sorprendo sia diventato pagina scritta.

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“Il sangue di Faun”, Nina Blazon

Quando ho scelto questo libro non è stato per il titolo o per la copertina, bensì per il sottotitolo: lei ha due anime, lui deve ucciderne una.
Sapevo perfettamente di poter andare incontro ad una delusione, ma quella frase mi ha incuriosito abbastanza da decidere di correre il rischio.

Jade è la figlia del gestore dell’unico albergo della città, che le fa anche da casa. E’ malandato come tutti gli abitanti del luogo, oppressi dal giogo di una sovrana tiranna dal volto mascherato, ma più terrorizzati dalle creature delle leggende, orribili assassini, chiamati Echo.  Dopo un incontro fuggevole con uno di loro, tuttavia, Jade inizia a nutrire dubbi sulla loro natura malvagia. Ben presto, tuttavia, dovrà concentrarsi sui due visitatori giunti dal Nord che prendono dimora nell’albergo, con misteriose casse impenetrabili che producono suoni agghiaccianti . Sullo sfondo della ribellione contro Lady Mar, Jade cercherà di scoprire la verità sugli Echo e, di conseguenza, su sé stessa.

Ho avuto fortuna ed ho trovato un’altra di quelle rarità chiamate libri singoli.
Per quanto la narrazione rimanga spesso ad un livello superficiale, con scarsi approfondimenti in diversi punti che lasciano con un vago senso di incompiuto, la storia è attraente perchè si svolge in un contesto completamente diverso dal solito: niente creature fantasy per eccellenza, niente eroi ed eroine, e soprattutto un ben labile confine tra buono e malvagio. L’ambientazione è assolutamente affascinante, così come le leggende che danno vita ad un mondo fatto di illusioni e di acqua.
Non c’è da urlare al miracolo, intendiamoci, ma è una lettura assai piacevole.

L’unica domanda a cui non ho trovato risposta è stata la scelta del titolo, a mio avviso non molto pertinente.
Il sottotitolo che è stata la mia esca, invece, è perfetto.

Non ha corpo, sussurrò la ragazza. Dalla ferita sgorgava acqua. Né sangue.

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“La Ragazza della Torre”, Cecilia Dart-Thornton

Dopo la parentesi saghe, accantonata ma non abbandonata, torno alle origini.

Ciò che mi ha convinto a comprare immediatamente questo libro ed i suoi due seguiti è stata la copertina: non sempre vi viene dedicata molta cura, così quei tre volumi colorati e decorati armoniosamente hanno catturato la mia attenzione.
Ho avuto fortuna: è anche una delle più belle trilogie che abbia letto.

Nella Torre di Isse, una delle Stazioni di Collegamento dei Cavalieri Alati, la servitù che lavora incesantemente per soddisfare i nobili è solita trascorrere i momenti di libertà raccontandosi storie sulle temibili forme di vita leggendarie che si possono trovare nell’Impero di Erith. Ad ascoltare quei racconti vi è anche una creatura dal volto orrendamente sfregiato, di cui nessuno sa nulla: lei stessa non ricorda alcunché di chi sia o da dove venga, neppure il suo nome. Perfino gli altri servi la evitano, disprezzando l’aspetto orrendo. Così non le resta che una via: la fuga dalla Torre e dalla sua relativa sicurezza, incontro a quelle creature tanto temute e ad altre ancora peggiori, con il solo scopo di ricostruire un passato cancellato dalla memoria.

Non c’è alcuna banalità nella storia che Cecilia Dart-Thornton ha scritto, né nei personaggi o nelle altre apparizioni. Naturalmente sono presenti alcuni canoni frequentemente riscontrabili in altre opere di autori che l’hanno preceduta, ma l’autrice è riuscita a ritagliarsi una nicchia di originalità: l’Impero di Erith è un misto di fantasia e futurismo, così come le creature che lo abitano sono a volte liberamente ispirate dalle tradizioni celtiche o assolute invenzioni; i Casati e la nobiltà sono ben descritti e contribuiscono a creare una panoramica del mondo decisamente originale.
L’interazione tra i personaggi è semplice e lineare, gli apparenti buchi narrativi vengono completati con lo svolgersi degli avvenimenti senza alcuna fatica o contraddizione.
Ed il finale stesso è tutt’altro che scontato, anche e soprattutto nel modo in cui viene presentato.

A “la Ragazza della Torre” fanno seguito “la Dama delle Isole” e “la Signora di Erith”.

“Non rammentato, ieri è ormai sparito.
Senza ieri, oggi non ha senso.
Chi sei tu, se sei dimenticato?
Chi sei tu, se non la somma dei tuoi ricordi?”
(canto ertish)

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[saga] “Le storie di Anita Blake”, Laurell K. Hamilton

Quando devo accostarmi alle storie di vampiri ammetto che mi tremano un po’ i polsi; quando mi si dice per di più che le suddette creature presentano caratteristiche assai diverse da quelle a cui gli stereotipi ci hanno abituato è anche peggio.

Non mi ritengo una purista delle categorie: sono capace di leggere a mente aperta anche quelle che molti appassionati di fantasy considererebbero orripilanti aberrazioni (vedi “Twilight” di Stephenie Meyer). In generale ritengo sia piuttosto ingiusto bollare come assurdità delle innovazioni solo perchè una determinata categoria di creature è sempre stata presentata in un unico modo nel corso del tempo.
Ciononostante, poiché i vampiri sono forse i soggetti più famosi, trattati, descritti ed utilizzati in tutto il mondo fantasy leggere dei libri a loro dedicati è sempre un po’ un azzardo; ultimamente pare che la moda sia non tanto cercarne nuovi lati e possibilità, quanto stravolgerli completamente.
A volte è bastato il risvolto di copertina per far inorridire perfino me.

Nel caso de “le storie di Anita Blake” ho dato retta a due amiche che erano completamente impazzite per questi libri, e poiché ritengo entrambe ottime lettrici ho deciso di dar loro fiducia: ammetto senza alcun remora di aver letteralmente divorato i primi sette a tempo di record.
Tuttavia i libri usciti finora in Italia sono dieci (quelli effettivamente pubblicati invece sono diciassette, l’ultimo nel 2010 e non è chiaro se la saga sia effettivamente terminata) e questo lascia – evidentemente – uno scarto di tre volumi.

Anita Blake è una tipa piuttosto tosta: il suo lavoro consiste nel resuscitare i morti affinché possano essere interrogati in casi legali irrisolti o difficoltosi. Ma è anche una cacciatrice ed una sterminatrice di vampiri, purché abbiano ucciso esseri umani, autorizzata con licenza in ben tre Stati oltre al suo, il Missouri.
Di fisico minuto ma decisamente ben allenato, ha cicatrici ovunque a testimonianza della pericolosità del suo lavoro. Stringere amicizia con le creature che caccia non fa parte dei suoi piani e quando Jean-Claude, il Master della Città, cerca di incontrarla per chiedere il suo aiuto, lei non accoglie la notizia con favore. Ma il vampiro conosce la chiave per ottenere ciò che vuole: il ricatto.

Anita nei primi libri è decisamente simpatica: finalmente un’eroina degna di questo nome, a volte mascolina, non si vergogna a trattare argomenti di solito riservati ai personaggi maschili (vedi sesso ed armi) e vive incertezze emotive e morali che la rendono un personaggio in cui soprattutto le lettrici possono riconoscersi.
Jean-Claude è un buon prototipo di vampiro: potente senza eccessi, debitamente innervosito dai suoi simili più antichi, cauto fino ad essere quasi vigliacco, totalmente egoista ed egocentrico.
Lo svolgersi della storia è un crescendo dell’intreccio tra i due, che si acuisce con la comparsa degli (onnipresenti in quasi ogni fantasy con vampiri) antagonisti mannari.
La narrazione è cruda e lineare, spesso grezza nella forma verbale dei personaggi, e per questo accattivante.

Perchè dunque solo fino al settimo?
Perchè arriva un momento in cui Anita diventa semplicemente troppo.
Tutto ruota attorno a lei: qualunque potere, qualunque creatura, qualunque avvenimento. E’ l’unica in grado di risolvere sempre tutto; l’unica ad avere le forze, i mezzi, le conoscenze per sventare le minacce; l’unica che riesce ad imporsi ed a far inchinare perfino creature che spaventano ben più di una fanciulla umana.
E quel sesso di cui scrivevo poco fa diventa perfino grottesco, surreale: non esagero dichiarando che “Narcissus”, il decimo libro, potrebbe essere per metà della sua lunghezza tranquillamente considerato un porno.

Poiché il settimo libro, “Dono di Cenere”, contiene una sorta di conclusione accettabile di quello che si potrebbe considerare il primo ciclo, il mio suggerimento è di leggere fino a quel volume; qualora foste poi incuriositi dallo svolgersi in chiave “eccesso” degli eventi, avrete sempre gli altri tre libri ad attendervi.
Dal canto mio andrò di sicuro avanti nella lettura quando usciranno i nuovi volumi, non fosse altro per capire se potrà esserci un recupero o solo nuovi abissi di insensatezza.

In ogni caso, tratterò i singoli libri in post successivi per darvi modo di verificare voi stessi la validità delle affermazioni di cui sopra.

“Il mio nome è Anita Blake. I vampiri mi chiamano la Sterminatrice, ma è meglio che non vi dica come io chiamo loro…”

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[saga] “La Spada della Verità”, Terry Goodkind

Nel nostro percorso attraverso le saghe fantasy incontriamo un’altra opera decisamente longeva: scritta da Terry Goodkind, “La Spada della Verità” si sviluppa in undici volumi più un racconto che funge da prologo e che è contenuto in un libro a sé, intitolato “Debito di ossa”.
Anche in questo caso l’impegno richiesto in termini di tempo all’autore per concludere la storia di Richard e della Spada della Verità è stato decisamente oneroso: dieci anni, dal 1998 al 2008.

Richard Cypher è un ragazzo che conduce una vita normalissima, come tutti i suoi coetanei, almeno fino al giorno in cui una ragazza di nome Kahlan Amnell entra nella sua vita e la sconvolge interamente. Da quel momento il giovane dovrà calarsi interamente nei panni dell’unico mago guerriero della sua epoca, guidato dal suo vecchio amico Zedd, verso la lotta contro creature mortali e soprannaturali che minacciano la sopravvivenza dell’umanità

Rispetto all’opera di Robert Jordan, gli scritti di Terry Goodkind soffrono – a mio avviso – di una pecca riscontrabile anche nella saga di Shannara di Terry Brooks, ovvero la tendenza dei libri a ripetersi: nello svolgersi della storia, infatti, alcune situazioni tornano a presentarsi sistematicamente in ogni volume con pochissime variazioni; inoltre spesso l’autore eccede in descrizioni troppo prolisse di dettagli poco importanti, con lo scopo probabile di aumentare il pathos ma ottenendo invece il desiderio di saltare tutte le righe fino a quando la narrazione non riprenda il suo naturale scorrere.

A parte una certa semplicità di scrittura (prendete questa affermazione con le pinze, si tratta di un’opinione assolutamente soggettiva), la storia si fa comunque leggere piacevolmente; il mondo in cui Richard e Kahlan si muovono è caratteristico, così come sono ben costruite le strutture politiche e magiche che costituiscono gli scrigni del potere terreno.

E’ di recente uscita una serie televisiva liberamente tratta dai libri di Terry Goodkind, intitolata “Legend of the Seeker”: l’esordio dei 22 episodi tratti dal solo primo volume è avvenuto il 1. novembre 2008 negli Stati Uniti.

“Prima Regola del Mago: le persone credono a tutto ciò che vogliono credere od a quello che temono di credere”

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