Attenzione, questo post farà arrabbiare molta gente: non leggetelo!
Qualche giorno fa, per motivi che sarebbe lungo spiegare, sono stata in visita per qualche ora in una base di lavoro – credo che di dica così – di un gruppo scout agesci. Lì una ventina di sedici-diciassettenni da tutta Italia erano ospiti per alcuni giorni: avrebbero dovuto lavorare per la risistemazione di un bene confiscato alla mafia e discutere di cultura della legalità. Devo premettere di essermela cercata, più o meno; da non-credente, di solito cerco di tenermi ragionevolmente alla larga dagli ambienti in cui è richiesto di recitare una preghiera prima del pasto o di ringraziare dio per aver dormito serenamente. Questa volta, però, ero stata sollecitata a cercare un contatto con il mondo dello scautismo, e avevo pensato che sarebbe stata una buona idea chiedere a mio cugino, che è simpatico e intelligente e – sì, sembra una contraddizione in termini – un pezzo grosso dell’agesci siciliana: gran mogol, sommo cocomeraio, pifferaio magico o come accidenti si dice. Ero stata contenta di chiedere il suo aiuto: ci vogliamo bene, non ci frequentiamo, se non alle feste comandate, da quando avevamo dodici anni, e pensavo che sarebbe stato abbastanza divertente organizzare un’iniziativa insieme. Lui è stato disponibile e propositivo e attento oltre ogni aspettativa, salvo poi, per un problema familiare, abbandonarmi con una ignara collega in pasto alle belve. Il programma della serata sembrava semplice: cena tutti insieme alla base, breve dibattito sulla lotta alla mafia e buona notte. Ci siamo ritrovate, però, in un mondo vagamente ostile governato da regole per noi assurde. Abbiamo sgranato gli occhi quando ci è stato impedito di andare a riempirci il piatto da sole: c’è la pattuglia di turno, ci è stato detto. Non abbiamo neanche potuto gettare via i fazzolettini usati, o buttare nel bidone le scorze di melone: dovevano necessariamente pensarci gli incaricati, secondo un rigido schema di divisione dei compiti in cui la nostra pretesa di gentilezza ed educazione era solo un intralcio. Mentre i ragazzini in braghette e scarpe da trecking (in città, forse si aspettavano una rovinosa frana da un momento all’altro) lappavano il fondo delle gavette (ma perché non usare dei piatti normali, o delle ciotole o qualcosa di diverso da una gavetta metallica da campagna di Russia?), qualcuno urlava motti o intonava inni religiosi. Consumato il pasto, siamo state invitate al dibattito: che è stato breve, poco stimolante e assolutamente incolore. Finito il momento di riflessione del cerchio di preghiera, siamo scappate giurando che mai più, mai più, mai più.
Sono rimasta davvero colpita e vagamente turbata dalla serata: dalle uniformi, dai fazzoletti al collo, dalle frasi in codice. Dalla mancanza di dialogo: gli scout, o forse solo quelli che ho incontrato io, parlano costantemente di religione, o di scout. Non ho sentito nessuno raccontare di un film o di un libro, ciarlare di una canzone, recitare barzellette o chiacchierare di sciocchezze; tutte le frasi che ho intercettato erano puntellate di Akela, route, comunità capi, calzettoni della divisa, fazzolettone, rosario o beatificazione. Non ho mai sentito un gruppo di persone che parlasse così spesso di religione, in maniera quasi ossessiva, maniacale; alla domanda ti è piaciuto il viaggio in Africa? giuro di aver sentito rispondere abbiamo comprato uno stupendo crocifisso di ebano. Eeeeh? No, davvero. Nella sala dove si è svolto il dibattito, campeggiava una scritta inquietante: La guida e lo scout sanno obbedire. Da quando ho avuto uso di ragione, i miei genitori non hanno mai considerato l’obbedienza un valore. Ora capisco perché, quando a otto anni battevo i piedi e imploravo il permesso di iscrivermi agli scout, mio padre si opponeva strenuamente. Sono felice che lo abbia fatto – anche se, alle scuole elementari, la motivazione perché è un gruppo paramilitare con un rigido ordinamento gerarchico era per me una frase incomprensibile. Ma sono felice, ora, di essere in grado di discutere di qualcosa che non siano pattuglie e squadriglie, di non mostrarmi in giro in pantaloncini e calzettoni, di non essere il capo di nessuno e di non avere capi che mi impongano qualcosa. Di non saper obbedire. Di non essere parte di un gruppo chiuso che esprime valori che mi preoccupano – insegnare a un bambino ad obbedire senza discutere a una autorità significa anche renderlo potenziale vittima silenziosa di un molestatore -, di non frequentare le stesse persone di quando avevo otto anni. Di aver potuto scegliere le mie amicizie. Di potermi alzare da tavola per riempire il piatto anche se non è il mio turno. Di vivere nella realtà, e non in un’astrazione che dovrebbe essere l’ideale – ma che, se lo fosse, non allontanerebbe i ragazzi down a ventun’anni. Di mettere sempre gli stessi jeans, solo ed esclusivamente perché mi va.
Ciao, sono capitata sul tuo blog un po’ per caso e per caso mi sono imbattuta in questo post sugli scout. Il tuo blog mi sembra interessante perciò prometto che dopo continuerò ad esplorarlo, ma ora l’impulso di risponderti è troppo forte.
Mi viene da dire: ma che scout hai incontrato? Questi sono degli alieni. Negli scout che io ho conosciuto e frequentato per 15 anni esiste la massima libertà, non si parla così spesso di religione anche se sì, è un’associazione cattolica, si parla di un sacco di cose, di ciò che si vuole. Lo scopo dell’associazione è educare i ragazzi a valori come il rispetto degli altri, la solidarietà, l’amore per la natura, il senso civico…. Le uniformi hanno lo scopo di annullare le differenze di ceto, almeno nel tempo in cui si sta insieme (non è un’associazione gerarchizzata!) e di svolgere le attività con indumenti adatti alla vita all’aperto o a lavori manuali. Per quanto riguarda le gavette metalliche ti sfido a sostituirle con dei piatti di plastica nella vita da campo quando magari ti capita anche di doverci cucinare dentro. Sicuramente visti da fuori gli scout sono pieni di piccoli riti che possonop sembrare ridicoli, ma ti assicuro che ogni cosa trova il suo posto in un progetto educativo.
Gli scout non sono un gruppo paramilitare semplicemente perchè educano alla pace e alle libere scelte. L’articolo della legge che critichi: “La guida e lo scout sanno obbedire” non l’hai capito nel suo giusto senso. Saper obbedire significa disporre della libertà di scegliere a cosa è giusto obbedire e a cosa no, significa essere persone consapevoli di cosa è giusto e cosa e sbagliato e non perchè te l’hanno detto gli scout ma perchè ti hanno aiutato (o almeno hanno cercato) a sviluppare il tuo senso critico.
cara giulia,
ho incontrato molti scout, credimi. verrebbe da chiedere quali scout abbia incontrato TU, ma, dato che hai frequentato (o forse ancora frequenti) un gruppo immagino ti riferisca alla tua particolare esperienza. personalmente, non mi sento di rivedere il mio giudizio. e per favore, non dirmi che le uniformi servono per annullare le differenze di ceto, come si diceva dei gremibulini dei bambini delle scuole elementari. quanto all’abbigliamento adatto alla vita all’aria aperta, perché imporre che i calzoncini siano blu? i jeans non sarebbero ugualmente adeguati? o il fazzolettone al collo serve per detergersi il sudore? davvero non ti sei accorta che un gruppo dove esistono capi e vice capi è un’associazione gerarchizzata? quanto alla gavette, ne depreco l’utilizzo quando si mangia seduti a un tavolo, dove risultano solo inadeguate. sì, gli scout sono pieni di riti, e risultano davvero ridicoli. cosa c’entra il progetto educativo con i saluti, le frasi da gridare in coro, i nomi in codice? il valore dell’obbedienza è per me semplicemente ributtante. sviluppare il senso critico e obbedire sono due cose molto diverse. e, all’interno di una organizzazione in cui ci sono dei capi (una gerarchia, anche se tu non credi ci sia), non credo che le persone più giovani o meno forti possano esprimere con disinvoltura il proprio giudizio. se ‘saper obbedire’ significasse davvero ‘poter scegliere a cosa obbedire’, perché ci sono una legge e un codice cui attenersi? basterebbe il proprio senso del dovere e la propria etica.
infine, non c’è bisogno che tu prometta di esplorare il mio blog. non è obbligatorio.
Maria, per criticare bisogna conoscere. Io conosco questo mondo nel profondo e te ne parlo da persona che se ne è momentaneamente allontanata. Ho cercato di aprirti gli occhi su una realtà che critichi senza conoscere così bene. Liberissima di restare della tua idea. Solo, da blogger, io credo che si scriva un blog anche per condividere il proprio pensiero e confrontarsi. Mi sembra che tu sia interessata solo alla prima parte.
Giulia
P.s. Il tuo blog mi interessa davvero e non ho alcun bisogno di far finta che sia così.
hai cercato di aprirmi gli occhi e di insegnarmi a cosa fosse giusto obbedire, è così? cara giulia, no, non ho nessuna voglia di confrontarmi. se avessi letto davvero il mio blog, sapresti che per me non tutte le opinioni sono ugualmente valide. infine, se pensi che mi interessi solo la mia opinione, perché ti ostini a tentare di spiegarmi la tua? davvero, senza ipocrisia: non mi importa.
cara giulia, vorresti aprire gli occhi alla gente??? ah!ah!ah!ah! non hai compreso l’ironia dell’articolo! non ci si può (si può anche evitare, la libertà è un valore fondamentale!) confrontare con una persona senza ironia…denota ben poca intelligenza…
Cara Stefania, forse è stato perchè ho percepito dell’ironia nell’articolo che mi sono permessa di commentare (con la mia ben poca intelligenza). Nei commenti però l’ironia ha lasciato spazio ad un astio a mio parere ingiustificato e ho deciso di troncare la polemica.
Quanto sia intelligente, poi, esprimere considerazioni sull’intelligenza di una persona a partire da 10 righi di commento ad un articolo, lo lascio valutare a te.
ma non avevi deciso di chiuderla qui?
Giulia, ti prego, basta!!! In questo blog nessuno aveva mai fatto tanta polemica come te, che dici pure di non volerne fare. Per favore, stai annoiando tutti
Cara Maria, io non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno. Forse tu con la tua saccenza sì. Per me si può anche chiudere qui.
me lo concedi? te ne sono grata. au revoir
righi??? ok, posso dire che la cultura è bassa…