Andrebbe perseguito penalmente chi dà nomi brutti ai figli. Chi ne impone di ridicoli, o assolutamente fuori moda, o fuori contesto, o con errori ortografici, o semplicemente non-portabili. C’è una forma di estremo egoismo, nel marchiare un bambino con un nome che lo metterà prevedibilmente in difficoltà, o in imbarazzo, o anche solo lo costringerà a ripeterlo tre o quattro volte di fila a ogni presentazione, mentre l’interlocutore lo guarda stringendo gli occhi e tentando di decrittare la formula misteriosa. Rimango sempre allibita quando incontro persone che, alla scontata domanda “come si chiama?” dopo quarti d’ora a decantare le virtù del proprio pargolo, se ne escono con Shanti, o Nigel, o Maiccol – scritto esattamente così -, o Cono, Crocifissa, Concetto, Artemisia, Melchiorra, Gerlanda. Giuro, li ho sentiti davvero.
Recentemente, una giovane donna che conosco di vista mi ha comunicato che doveva disdire un impegno a causa di un problema che affliggeva sua figlia Nirvana. Sono rimasta tanto sconvolta dal nome che non mi sono neanche preoccupata di chiedere se si trattasse di qualcosa di grave, o solo di fastidioso. Come fa una persona di buona cultura, di normale educazione, che lavora fuori casa e vive a contatto con un contesto sociale normale, a chiamare una bambina Nirvana? Perché qualcuno che si trova in Italia nel 2012, in un ambiente cattolico, sente il bisogno di attribuire alla figlia il nome di un complesso concetto filosofico orientale? Come si può fare una tale scommessa col destino da imporre a una bambina un nome così difficile? Perché i genitori, in quanto solitamente adulti, non pensano mai che i figli devano ancora affrontare tutto quel percorso faticoso e sgradevole che loro hanno già compiuto? Forse, se qualcuno ricordasse bene come si sentiva in seconda media, eviterebbe di chiamare Venus sua figlia; se non si fossero dimenticati cosa voleva dire essere presi in giro appigliandosi a una motivazione qualsiasi, i genitori di Lorelai avrebbero optato per un semplice Luisa. A trentacinque anni è facile essere abbastanza scafati da pensare di poter indossare qualsiasi nome con sicurezza e tranquillità. A tredici è molto diverso. Se una sedicenne bella, conscia del proprio fascino, con uno stile ben definito e un taglio di capelli alla moda si chiama Nirvana, probabilmente avrà la scuola ai piedi. Ma se Nirvana sarà bruttina, silenziosa o grassottella, se vestirà in maniera anonima o leggerà troppi libri, se non ascolterà i Radiohead ma gli Inti Illimani, con ogni probabilità sarà lo zimbello della classe, e il suo nome sarà solo un puntello in più per chi la prende in giro. Non sto certo proponendo l’anonimato come difesa dal bullismo imperante: solo, magari sarebbe meglio evitare di mettere il carico.
Sono stata afflitta anche io, da sempre, da un nomebrutto: non strano né esotico né poco comprensibile, solo vecchio. Provate a pronunciare anche voi il nome Maria: sulla parete interna della vostra fronte si proietteranno immagini standard di anziane portinaie o di bidelle grassocce, sorridenti e odorose di detersivo al limone e gessetti. Anche Simone Rugiati, nei suoi programmi di cucina, si rivolge a una generica esponente del pubblico (casalinga, cinquantenne, spesso sciocca) apostrofandola a gran voce come Signora Maria. Fateci caso, non è il nome ideale per sembrare alternativi, trasgressivi o alla moda. Ma tant’è.
In molti libri i protagonisti hanno nomi strani, sciocchi o buffi o poco credibili. I primi che mi vengono in mente sono i figli di Livio in Di noi tre di Andrea De Carlo: Elettrica e Vero. Chiamati così per una ripicca coniugale (mi fa male la bocca anche solo a pronunciare il loro nome, riconoscerà il personaggio, al telefono con Misia), sono bambini infelici e confusi. É uno dei migliori romanzi di De Carlo, Di noi tre: forse un po’ lento, ma compatto e piacevole. Sbocconcellando tutta la bibliografia dell’autore vengono fuori un bel po’ di altre perle: da Uto a Malaidina, da Misia ad Astra, da Raimondo Arrigo Vaiastri agli insulsi personaggi di Giro di vento, i nomi assurdi si sprecano. E anche le trame, dopo un po’, non è che siano poi un granché.
Non potrei essere più d’accordo, i signori Campo che chiamano il primogenito “Santo” per me sono poco meno che criminali! Per non parlare dei signori Vera con le due figlie Giada e Gioia…
… burloni, non c’è che dire….
c’ è di peggio. giuro. conosco personalmente: dario lampa, tulipano rosa, vera da pozzo e, una compagna di scuola di mio fratello piccolo chiara chiappa.
da denuncia penale… @______@
be’, anche rosa culetto, al momento dell’appello, non era molto contenta…
come non posso sentirmi coinvolta in questo post? ho passato infanzia e adolescenza, dalle elementari (l’ asilo ai miei tempi non era obbligatorio) all’ università, a tentare di spiegare il mio nome. un giochino enigmistico di mio papà, una forma perversa di cultura della mamma, un ma chi se ne frega, generale. c’ è una matelda ne “le strade di polvere” di rosetta loy, che ricamava, c’ è poi l’ allora splendida catherine spaak nell’armata brancaleone, quella che piace tanto a vittorio zucconi ma ne hai mai sentite altre a parte quella del ventottesimo canto del purgatorio? c’ è una frase in un libro francese che io amo moltissimo e non ti consiglio solo per paura di sembrare una vecchia romanticona : solo in età adulta ho perdonato a mia madre la singolarità del mio nome. te l’ ho già detto. una mania di mia mamma che ha contagiato mio marito era quella dei nomi strani. ne ho una piccola raccolta pure io, che tengo per amore. in romagna, la natia romagna di giancarlo, di nomi che non sembrano nomi ce ne sono tantissimi, dal dolce ninel (leggilo al contrario) al più prosaico finimola. il nome è qualcosa che ti porti dietro per tutta la vita, è il tuo visto per amicizie, documenti, curricola, rapporti di lavoro. il nome dovrebbe rappresentare quello che sei, quello che vorresti essere, quello che portresti essere. un nome un destino. dovrebbe essere una decisione importante, come il ginecologo e l’ allattamento. e il nome non si svezza. e non per consolarti, ma simone rugiati è proprio antipatico.
per quanto riguarda de carlo, sono d’ accordo con te, però due di due mi è piaciuto di più. dopo uto ho smesso.
già, non conosco altre matelde e, lo ammetto, quando ti ho conosciuta pensavo che avessi storpiato il nome per farne un nickname feisbucchiano. ha un bel suo, il tuo nome, liscio e morbido e scorrevole. dei nomi strani tipici della romagna avevo letto qualcosa. la sicilia è più un posto da nomibrutti della tradizione, catena, crocetta, calcedonio, biagia. infine, se il nome rappresenta un estino, sono messa male: quella che lo aveva prima di me è passata alla storia per un figlio morto malamente. iio non conoscerò altre matelde, ma tu conosci maria che si siano distinte in qualcosa di positivo? l’unica che mi viene in mente è la sharapova, che poi be’.
tu
:*
sui nomi lasciamo perdere. Ho scoperto un povero bimbo che si chiama Shakira Alfonso… su De Carlo posso concordare, ma “Di noi tre” l’ho spento prima della metà e continuoa pensare che il suo migliore rimanga Due di due unito a Treno di panna
Treno di panna mi è piaciuto moltissimo, e ringrazierò sempre Enrico Brizzi per il consiglio. Due di due, invece, lo trovo retorico e melenso. Di noi tre mi era sembrato, all’epoca, la versione un po’ più strong di Due di due. Avevo apprezzato molto Arcodamore, e Uto, e I veri nomi. Sugli altri non mi esprimo, ho già detto abbastanza