È difficile incontrare qualcuno che abbia voglia di rischiare. Azzardi calcolati, è ovvio – non sto certo plaudendo a sciocchi saltatori-con-elastico, imprudenti che attraversano la strada guardando solo da un lato, temerari corridori con forbici in mano e simili. Sto parlando di chi non vuole provare a scommettere sul futuro, di chi non ha intenzione di abbandonare la sicurezza per il dubbio, l’eventualità, la possibilità. Di chi sta bene così, di chi non lascerebbe mai la strada per vecchia per la nuova, di chi ‘meglio il tinto conosciuto’. Di chi non vuole cambiare e permettere agli altri di farlo.
In Italia tutti, o quasi, scrivono. Scribacchiano e ammorbano con struggenti ricordi infantili o soporiferi diari sentimental-erotici, privi di senso struttura trama linguaggio, di uno stile riconoscibile, di contenuti e forma e grazia e levità. È una nazione puntellata di poeti e romanzieri, l’Italia, di persone che non sono dotate di opinioni personali ma di una spiccata voglia di comunicarle; chiunque abbia frequentato le elementari e sappia mettere gli accenti al posto giusto (ok, ok, non sempre) pensa di meritare un posto sul banco di una libreria, magari con una copertina composta con photoshop da un cugino che sa armeggiare al pc appena oltre il livello minimo di decenza. Una nazione di scrittori, commissari tecnici ed approssimatori. Una nazione in cui un esperto del settore non è neanche considerato un lavoratore, perché tanto sono cose che sa fare chiunque, grosso modo, no? Uno di quei posti in cui, quando ti chiedono che mestiere svolgi, se sei un attore scrittore artista sceneggiatore, è meglio che risponda ‘libero professionista’. Così, per evitare inutili attacchi di nervi.
È raro che un editore voglia scommettere su un giovane autore; in parte, per il malcostume invalso del chiunque-tenga-una-penna-in-mano-è-uno-scrittore. In parte perché rischiare, scoprire nuovi nomi, lavorare sul linguaggio e sul marketing, fare un editing complesso e la ricerca scrupolosa di una nicchia di mercato è mentalmente faticoso. Più semplice pubblicare gli stessi nomi, seguire gli stessi filoni, fantasy a base di lupi mannari ché i vampiri sono passati di moda, resoconti di blog, raccolte di divertenti (?) note sul registro redatte da insegnanti sfigati. Provare a puntare su un nome nuovo, su una bella storia, su un linguaggio diverso è stancante, pericoloso, a volte infruttuoso, ma è anche attraente, divertente, può riempire di soddisfazione. Luigi Fabozzi è un mio amico; lo premetto per un semplice motivo: probabilmente non avrei letto il suo romanzo, L’Ospite, edito da Robin Edizioni, se non lo conoscessi, perché a causa di una distribuzione infelice è piuttosto difficile da reperire. Lo devi prenotare su internet, o richiedere in libreria: devi desiderarlo fortemente, ecco. Ma è un gran bel romanzo, una favola nera che ricorda a tratti Il signore delle mosche, a tratti La montagna incantata, e un po’ anche la parte migliore di Lost. È un romanzo criptico, che sembra raccontare una storia semplice, lineare, per poi tenerne celata un’altra e un’altra; è un libro pieno di descrizioni raffinate e intense, di dialoghi asciutti e secchi, quelli che non si mascherano dietro l’apparenza dell’assurdo per giustificare il proprio essere sconclusionati e inutili; perché anche un dialogo assurdo, quando è scritto bene, è verisimile, ha i tempi giusti, il giusto ritmo. Fare l’attore, il cantante, l’artista, serve anche a questo: a conoscere i tempi giusti.
Rischiare fa bene, a volte. Almeno provarci, magari.
ero già invogliata a prenderlo, ora ne sono ancora più convinta: prossima settimana passo dalla mia libreria preferita (e sai bene qual’è ) e lo ordino ^___^
bene benissimo…
l’ ho ordinato su ibs, dovrebbe arrivare martedì o mercoledì, spero, insieme ad altri. seguo i tuoi consigli, non sempre li approvo completamente, ma ci provo. a leggerli, almeno.
ti saprò dire.
la mate.
p.s. manca la ricetta. mi manca, quella.
lo so, che manca la ricetta. avevo preso già troppo spazio. ma se vuoi, dato che è estate, ti regalo quella della caponata di pesce spada. taglia a tocchetti di due cm di lato una bella fetta di pesce spada, fai sigillare in una padella con pochissimo olio di oliva e metti da parte. intanto, fai bollire un gambo di sedano mondato e tagliato, una grossa cipolla bianca a pezzi grossi, una bella manciata di capperi dissalati, un bel po’ di olive bianche denocciolate. scola e unisci il tutto con sugo di pomodoro (non la passata ma una buona salsa) sufficiente a coprire il composto. fai sobollire, unisci l’agrodolce (due dita di zucchero, due di aceto bianco in un bicchiere), mescola bene, lascia raffreddare. impazzirai.
p.s.: le dosi sono a occhio, lo avrai dedotto. impossibile conoscere le reali dosi della caponata
stavolta non ci siamo proprio. da noi trovare il pesce spada fresco è impossibile. le pescherie, come le macellerie hanno chiuso. il pesce, se va bene, lo trovi d’ allevamento negli iper, altrimenti nasello findus. secondo io odio, di un odio viscerale l’ agrodolce. non solo, solo l’ odore dell’ aceto mi fa vomitare. però amo molto i capperi. quelli sotto sale naturalmente.
stavolta ti perdono, non puoi sapere tutto. aspetterò sabato prossimo per un mangiarino più appetitoso.
non avete il pesce fresco?! ommioddio, laMate, che situazione. immagino che la ricetta vera della caponata, quella con le melanzane fritte, non vada bene per l’agrodolce. ma le ricette siciliane hanno quasi tutte l’agrodolce… facciamo così, allora: dimmi cosa desideri e te lo preparo ad hoc. primo, secondo, dolce? cassata? cannolo? arancine?
cassata, grazie. doppia porzione.
buongustaia!!!