Classico a chi?

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Non amo i classici; ho l’insensato timore che siano noiosi, datati, non-scorrevoli, impregnati di valori che non condivido e di termini desueti, di lungaggini e descrizioni di gente che cavalca nella brughiera e principi russi e crinoline e domestiche deferenti. Non leggo i classici, e un po’ mi dispiace, come quando non assaggi un piatto dall’aspetto invitante perché pensi che non ti piacerà e gli altri lo divorano e annuiscono con la testa e dicono che buono!, davvero non ti va?, e tu dici no no e pensi che magari un’altra volta. Animata da buoni sentimenti e spirito di sacrificio, qualche mese fa ho deciso di cimentarmi nell’impresa finisci-un-classico-e-ti-sentirai-meglio. Ho ricevuto in dono una copia in due volumi dei Fratelli Karamazov e ho cercato di sfruttare il pretesto. Ho portato il libro con me ovunque andassi, l’ho associato a un romanzo da notte, ho lottato e alla fine ho dichiarato la mia sconfitta, reso l’onore delle armi e deposto il primo volume letto a metà nel cofanetto. Dopo più di un mese, chi di dovere non era ancora morto. Non avevo speranza.

Mi sono consolata pensando che, tra i classici, I Fratelli Karamàzov è uno dei meno semplici, forse, e sicuramente uno dei più lontani dai miei gusti e interessi; mentre mi davo metaforiche pacche sulle spalle dicendomi con tono da compagno di classe falso-premuroso che gongola dei tuoi insuccessi scolastici che non ero stata l’unica a soccombere alla logorrea di Alëša, ho riflettuto su quali siano, in realtà, i classici. Ho letto Platone, ma solo la piacevole Apologia di Socrate. Ho letto i tragici greci, soprattutto Sofocle. Molta Divina Commedia, l’edizione integrale dei Promessi sposi, che mi è anche piaciuta molto, piena dello spirito dolce e sorridente e sornione di Manzoni. Ho letto, in un periodo in cui ero affascinata dai libri giapponesi, molto di Tanizaki e Mishima; mi sono chiesta se si possano definire classici, in realtà, e ho optato per il sì. E Gabo, è classico? Forse anche Bukowski, ormai, lo è, anche se non credo che apprezzerebbe la definizione. E Truman Capote, il mio amato dolceombroso scandagliatore dell’anima? E Natalia Ginzburg, e Pavese, e Vittorini? E Agatha Christie e Rex Stout, per i quali nutro un’insana passione, cosa sono se non dei classici? Forse non è vero che ho letto pochi classici; forse è una definizione troppo vasta e mutevole, ed è riduttivo pensare che si riferisca solo a Guerra e pace. Mi piacerebbe sapere chi sarà un classico, tra dieci anni o trenta o cento. Se lo diventerà uno scrittore prolifico e di massa e snob ma che ho letto per anni con gusto come Andrea De Carlo, o se i nuovi classici saranno le voci che hanno urlato e sussurrato e spiegato e puntualizzato contro le dittature, come Isabel Allende e Manuel Puig. Chissà chi è un classico in pectore, e chi pensa di esserlo e non ne avrà mai la statura. Chissà quanti ne ho letti, in realtà.

Amo i classici in cucina; la pasta frolla, il pan di Spagna, il ragù vero, quello della domenica, fatto con il tocco di carne, e vino rosso e tante cipolle e la polpa di pomodoro fatta peppiare a lungo, fino a prendere il colore del palissandro scuro; questa definizione l’ha data un grande classico, sta a voi scoprire chi.

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4 Responses to Classico a chi?

  1. potris says:

    io ho cominciato l’altra sera L’amore ai tempi del colera
    :)
    e in campagna ho trovato tra i libri di mia madre il primo volume dei fratelli Karamazov…l’incipit mi ha incuriosita…magari un giorno lo leggerò!
    niente indizi per l’indovinello? non cerco su gugol, sono onesta
    :D

    • maria says:

      non so, ‘l’amore ai tempi del colera’ non è il mio preferito, ma magari a te fa un altro effetto; sui karamàzov non mi esprimo! l’indovinello non lo trovi su google, sorry :p è una commedia celeberrima del novecento. in fondo, chi è che può parlare di ‘o rraù?

  2. potris says:

    La poesia ‘O rraù

    ‘O rraù ca me piace a me
    m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
    A che m’aggio spusato a te,
    ne parlammo pè ne parlà.
    Io nun sogno difficultuso;
    ma luvàmell”a miezo st’uso.
    Sì, va buono: cumme vuò tu.
    Mò ce avèssem’ appiccecà?
    Tu che dice? Chest’è rraù?
    E io m’a ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
    M’ ‘a faje dicere na parola?
    Chesta è carne c’ ‘a pummarola.

    Sabato, Domenica e Lunedì – Eduardo de Filippo

    (sottovaluti le mie capacità di ricerca :p )

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