Replicare la luccicante bellezza del primo “The Raid: Redemption” (2011) era davvero difficile, e infatti il seppur ottimo Gareth Evans non ci riesce: questo “The Raid 2: Berandal” (2014) è un onesto noir con spettacolari inserti marziali, ma non riesce ad esssere un capolavoro senza tempo come il primo titolo.
Va sottolineato che “The Raid” è una specie di remake indonesiano dello sfortunato “Dredd” (film orribile ma che vantava comunque un’intrigante sceneggiatura), mentre stavolta Evans vuole fare tutto da solo: montaggio, sceneggiatura e regia. Eh, figlio mio, mica sei Mandrake…
Dialoghi lunghi e noiosi – 150 minuti per questo tipo di film sono improponibili! – fanno di questo sequel un noir banalissimo come ce ne sono mille in giro. Il poliziotto buono che viene infiltrato nel carcere per farsi amico il figlio del boss, che a sua volta vuole fare le scarpe al padre per prendere il potere… e tutta la scontatissima giostra di ciò che ne consegue. La trama non merita altre parole.
Tutt’altro discorso per le coreografie marziali, curate anche stavolta da Yayan Ruhian, il mitico Mad dog del primo film. Il maestro javanese di pencak silat segue Evans sin dai tempi dei “Merantau” (2009) e anche stavolta compie il miracolo: orchestrare delle stupende coreografie in generale e regalare al jakartense (si dice così?) Iko Uwais un’altra interpretazione marziale memorabile.
Yayan Ruhian in un piccolo ruolo
Dal punto di vista dell’action il trio Evans-Uwais-Ruhian è impareggiabile e imbattibile – se fosse ancora attivo il trio thailandese Pinkaew-Jaa-Rittikrai allora sarebbe un altro discorso… – e quindi “The Raid 2” è sicuramente una pellicola godibilissima. Si tratta solo di andare avanti veloci quando si lanciano in stupide chiacchiere…
Per sopperire alla mancanza di uno spunto ottimo e di una storia eccellente, Evans deve dare allo spettatore qualcosa in cambio: così moltiplica la dose di violenza dei combattimenti fino a rendere l’intero film un’orgia di sangue e ossa rotte!
Al contrario dei bacchettoni americani, qui si parla di violenza cattiva, sporca e bastarda: di colpi scorretti, di mosse sporche e tante bastardate come non se ne vedevano da tempo su schermo. La scena della rivolta carceraria, ambientata in un cortile stracolmo di fango, è un olocausto di violenza spietata e infame che lascia davvero stupefatti: fa sentire in colpa gustarsi ’sto film…
Se ad una trama scontatissima aggiungiamo alcune indegne trovate tarantiniane – i nemici da videogioco e la donnina martellatrice sono davvero una caduta di stile che non mi aspettavo – il giudizio sul film in generale cala parecchio, ma se si guardano solo i combattimenti allora ci si rende conto che al giorno d’oggi non esiste niente di anche solo vagamente paragonabile a questo: close combat cattivo e infame per scene marziali per cui dopo… bisogna chiedere l’assoluzione!
Iko Uwais contro Cecep Arif Rahman
Assoluto capolavoro il combattimento finale contro l’assassino baffuto, che altro non è se non il maestro Cecep Arif Rahman, anche lui maestro di pencak silat. Uno scontro di titani che esula dal contesto di questo film e si riallaccia direttamente alla grande tradizione di Hong Kong, con il big boss con cui combattere per mezz’ora!
Ecco il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=AZZmUVWVc0c
L.
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