Biutiful – Dov’è finita la bellezza?

Tra paternità e dolore, l’affondo di Iñárritu nell’istinto d’amore profondo.

C’è una Barcellona dalle superfici sghembe, fatta di palazzoni e di strade asfaltate e sporche. C’è un uomo, Uxbal, che oltre a uno o due paia di pantaloni e qualche felpa non ha nulla da mettere. Ha delle figlie. E aveva una moglie. Che era impossibile tenersi stretta.
Intorno a lui, tutto il male del mondo.
Dove sta la bellezza? È difficile scorgerla, soprattutto se quell’uomo, già incasinato com’è, scopre che gli restano solo due mesi di vita. Allora la bellezza è come quel pensiero di serenità che a volte gli ronza nella testa, quando vede sorridere i suoi figli, o la donna che non riesce proprio a non amare.
È una bellezza sporcata, deformata. Perché la bellezza pura non esiste. Al massimo ti puoi accontentare di raccontarla così, come si pronuncia.

Al suo quarto lungometraggio, come sempre interessato alla multiculturalità, Iñárritu interseca la vicenda principale di Uxbal – che da sola avrebbe avuto difficoltà a portare avanti il film fino in fondo senza cadute di tono – con i disagi degli immigrati clandestini africani e con lo sfruttamento dei cinesi nella produzione di articoli contraffatti.
In questo senso se alcune svolte della storia sono facilmente presagibili, al contempo la maniera di mettere in immagini di Iñárritu – al solito molto “mobile” – si rivela efficace e per nulla lacrimosa.

Il regista messicano rifugge troppo facili sentimentalismi e racconta con garbo, in punta di piedi il dramma di Uxbal. Dramma che per ambientazione trova maggiore efficacia espositiva, visto il contesto degradato di una Barcellona livida e periferica. E se questo è uno degli “escamotage” più criticati dai detrattori, è indubbio che nella scelta del cast vi sia una cura non indifferente. Bardem (Uxbal), memorabile, sfonda letteralmente lo schermo ma ne contornano i gesti la perfetta e ruvida Maricel Álvarez (Marambra), i bimbi Guillermo Estrella e Hanaa Bouchaib (i loro figli), e Diaryatou Daff (Ige), esemplificazione dell’ancora di salvezza umana per un ormai vinto Uxbal.

Privo di sensazionalismo, il film più lineare di Iñárritu vive aggrappato sulle spalle del suo protagonista, dipinto da Bardem come un essere profondo, angosciato e inevitabilmente incapace di accettare la sua condanna.
Drammatico, potente e funereo, Biutiful è un’ode di morte a passo silente e, al contempo, un sentito omaggio al grande e coraggioso affresco che è l’essere umano.


Massimo Versolatto

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