Recensione: Mama (La madre, film 2013)

Il finale in un film dell’orrore è da sempre un problema che affligge registi e sceneggiatori, tanto più se la pellicola in questione si muove sul filo del paranormale. Il timore di una creatura che sfugge ai parametri della ragione umana può infatti funzionare a livello visivo finché rimane sullo sfondo, con brevi apparizioni e fotogrammi veloci; diversamente la paura si dissolve pian piano per lasciare il posto all’ilarità e al ridicolo. Gli ultimi dieci/venti minuti di un film horror, spesso ricchi di spiegazioni allucinate e poco credibili, finiscono quindi per essere una conclusione obbligata che non aggiunge nulla alla storia e anzi la penalizza, facendoci dimenticare le buone premesse iniziali. A livello letterario è esattamente questo il sistema di successo su cui si basano i racconti di H.P. Lovecraft: trovare qualcosa di nuovo e indefinito che sfugga al nostro modo classico di provare timore.
Al di là della coraggiosa soluzione d’avanguardia di Quella casa nel bosco, che suggeriva un incipit quasi infinito in perfetto stile Se una notte d’inverno un viaggiatore, tra tutte le tecniche proposte di recente per ovviare a questo grosso problema, ho trovato molto interessante la via percorsa dall’argentino Andrés Muschietti nel suo Mama. Questo film, sbarcato da poco in Italia con il titolo La madre e prodotto da Guillermo del Toro, non è altro che il lungometraggio di Mama, corto in lingua spagnola del 2008, scritto e diretto da Muschietti.
Il film è ricco di inquadrature e scelte valide: a parte la sequenza fotografica nella capanna del bosco che vede la madre protagonista e che strizza l’occhio all’horror orientale e ai videogiochi come Project Zero, vincente è anche la scelta di non mostrare sempre la donna ma lasciarla intendere mentre gioca con le bambine o dietro le spalle del padre nelle sequenze iniziali. Se poi le parole possono distruggere il mistero, l’emozione e l’espressività di un film allora perché non toglierle quasi del tutto? Ed è proprio questo che succede più o meno negli ultimi dieci minuti del film. Siamo improvvisamente catapultati in un mondo visionario e a tinte fosche dove solo la musica evocativa e la bravura degli attori (un plauso va in particolare a Jessica Chastain e alle due bambine) riescono ad esprimere il terrore e i sentimenti che provano i vari personaggi. Si raggiunge così un universo fiabesco e dark che ricorda i film di Tim Burton e ovviamente anche alcune pellicole di Guillermo del Toro, a tratti simile quasi al macabro inquieto e sottile di un film muto anni ’20: emerge così ne La madre anche la sfumatura poetica che risiede nella paura, espressa pienamente dal dolore e dalla disperazione della donna fantasma che ci regala un finale visivamente alternativo alla solita vicenda strappalacrime trita e ritrita.

Trama
Cinque anni fa, le sorelle Victoria e Lily sparirono dal loro quartiere senza lasciare traccia. Da allora, il loro zio Lucas e la fidanzata di lui, Annabel, non hanno smesso di cercarle. Ma inaspettatamente le bambine vengono ritrovate vive in una baita fatiscente, e gli zii le accolgono nella loro casa. Annabel cerca di far riprendere alle piccole una vita normale, ma allo stesso tempo inizia a percepire una presenza malvagia nella loro casa, in particolare delle strane voci, di sera.

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