Per l’Halloween del 2002 la Warner Bros organizza questo “film de paura”, con più soldi ma meno idee, peraltro scopiazzate.
La stessa Warner Bros porta il film in Italia addirittura al cinema (dal 24 aprile 2003) con il titolo “Nave fantasma. Ghost Ship”, distribuendolo poi in VHS e DVD (contemporaneamente a noleggio e in vendita) l’11 settembre 2003. In una classifica di TorinoSette del successivo 14 novembre il film svetta al 3° posto fra i più visti in DVD di quella settimana. Dopo alcuni passaggi televisivi su Pay-TV (Sky Cinema 1) fra il 2004 e il 2005, diventa un fantasma come la sua trama.
Il tema è sempre quello di “Navi fantasma”, come il bel saggio di Alessandro Girola che consiglio.
Permettetemi un pizzico di storia di questo film.
Nel maggio del 2001 un certo Mark Hanlon vende alla Warner Bros una sceneggiatura dal titolo “Chimera”, che finisce in un cassetto. Scoperto che nell’ottobre del 2001 la famigerata UFO (Unified Film Organization) ha fatto uscire in Russia un film con una storia straordinariamente simile – noto poi in Italia come “Ritorno dalle acque maledette” – la Warner Bros fa partire il progetto “Chimera”.
Scopre che la sceneggiatura va però trattata, così affida la revisione a John Pogue (giovane sceneggiatore di “U.S. Marshals” e “The Skulls”) e Gil Adler (sceneggiatore di telefilm horror anni Novanta): mentre nel maggio del 2002 esce anche negli USA il filmaccio della UFO, il successivo agosto Pogue e Adler consegnano il copione di “Ghost Ship”. Qualcosa forse non va per il verso giusto, perché all’improvviso la firma di Adler scompare e risulta lo stesso Mark Hanlon come co-sceneggiatore insieme a Pogue.
L’antagonismo fra case produttrici è ben noto, ma la domanda è: la storia di Christian McIntire & Patrick Phillips per la UFO, del 2000, quando ha influenzato la storia di Mark Hanlon per la Warner, del 2001?
Se siete curiosi, eccovi “Chimera” di Hanlson nella sua prima versione.
Girato fra la Goald Coast del Queensland australiano e l’Halifax canadese, il film si apre sul terribile viaggio del 1962 del transatlantico italiano “Antonia Graza”, dove tutti ballano e cantano sulle note di Gino Paoli (!) ignari che forze oscure si annoiano a tal punto da andare a infestare una barchetta in mezzo al mare. Mentre la stupenda veronese Francesca Rettondini (ex ragazza del muretto) canta “Senza fine” (1961) di Paoli – ma in realtà la voce è dell’americana Monica Mancini (figlia del celebre Henry) che la canta espressamente per il film e poi la inserisce nel suo album “Cinema Paradiso” (2002) – un cavo si stacca e trincia di netto l’intero equipaggio: una scena dai toni fortissimi e sorprendentemente ben realizzata dà il via ad un film che purtroppo non sarà alla sua altezza.
La nave rimane a fluttuare sull’oceano per i successivi quarant’anni, finché qualcuno la vede e avverte il team di recupero “Arctic Warrior” gestito da Murphy (Gabriel Byrne): dopo i dubbi di rito, si parte tutti per il Mar di Bering nel tentativo di appropriarsi delle ricchezze contenute dalla “Antonia Graza”.
Appena imbattuti (nel vero senso della parola) nel relitto galleggiante, ci si rende conto che qualcosa non va e quindi si può dar vita allo scopiazzamento di “Ritorno dalle acque maledette”, che già a sua volta scopiazzava da “Sphera” e “Virus”.
Malgrado la bravura di Julianna Margulies, all’epoca ancora attiva nel suo celebre ruolo televisivo in “E.R.” e in attesa del successo di “The Good Wife”, e di Isaiah Washington, prima del contestato ruolo di dottor Preston Burke in “Grey’s Anatomy”, la sceneggiatura segue purtroppo fedelmente lo standard dei film “recupera & esplora”: la parte del recupero è affascinante e intrigante, quella dell’esplorazione banale e noiosissima.
“Ghost Ship”, oltre i titoli già citati, sembra una fotocopia di “Punto di non ritorno” (Event Horizon, 1997): premesse intriganti, recupero di un relitto ben diretto e pieno di mistero, poi inizia un’esplorazione che non è altro che una caduta di stile “infernale”… Possibile che non si riesca a inventare una storia di esplorazione di relitto che non faccia addormentare lo spettatore? Pare di no.
A parte la sequenza introduttiva, davvero da applauso, e le irresistibili curve ed occhi scuri magnetici della Rettondini, la visione di questo film è davvero inutile. Il giudizio del Zinefilo è: mandate ’sta nave a fare compagnia a quella del film precedente!
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