TALIANSKI KARASCIO’ (Italiani…brava gente): così la popolazione russa degli anni 1942-1943 identificava gli Alpini che furono inviati a combattere al fronte della steppa lungo il fiume Don, erano partiti con l’ARMIR ed avrebbero fatto la fine dei soldati di Napoleone, a parte la parentesi eroica della Carica del Savoja Cavalleria a Isbuscenskij! Gli Italiani hanno sempre avuto una folta presenza nel mondo ancor prima che Italiani fosse una espressione di identità nazionale, che forse ancor oggi fa fatica ad affermarsi. Sono a conoscenza di folte e numerose rappresentanze italiane all’estero (Cànada, Stati Uniti – New York, Chcago, Boston – Argentina, Brasile e Venezuela) che han mantenuto con la madrepatria un filo forte, soprattutto perché son rimaste legate alle tradizioni del pezzetto di terra di origine: Calabresi, Siciliani, Abruzzesi, Piemontesi, Napoletani, Celanesi… Tutti con una particolarità tutta guicciardiniana ma che comunque li ricollega ad una italianità sovracomunale e sovraregionale. I primi italiani, che si chiamavano ancora italici o italioti (denominazione che nulla ha a che vedere con il dispregiativo in voga talora!) se ne andarono per il mondo con la cavalleria ausiliaria (o sociale) delle legioni di Roma. Ci fu, addirittura, una Legione “Italica” la I, costituita tra il 66 ed il 67 d.C. da Nerone e con i simboli del cinghiale e del toro, gli fu subito contro agli ordini di Vitellio. Prima c’era stata, secondo una leggenda, una Legio Marsorum (o legione marsa – dal nome di una popolazione italica dell’Abruzzo Interno) che sarebbe stata in Palestina agli ordini di Caio Ponzio Pilato (una coorte sarebbe provenuta da Collarmele ed i suoi membri avrebbero avuto il nome di cruciacristi per aver partecipato alla crocifissione del Figlio di Dio). Romani di stirpe italica si diffusero in ogni dove con la caduta dell’Impero e poi, all’epoca dei Comuni e delle Compagnie di Ventura, ci sarebbero stati famosi capitani al soldo di imperatori d’Oltralpe. Ci fu un Eugenio di Savoja a Vienna contro i Turchi. Felice Orsini lo ricordiamo a Parigi, ed un certo Dottor Giorgio Brown alias Giuseppe Mazzini a Londra… Ma dobbiamo ricordare pure i Giovanni da Pian del Carpine, navigante, per non tacer di Cristoforo Colombo. Ma per ognuno di questi famosi Italiani, ci sono state le migliaia di connazionali partiti verso l’avventura nel Nuovo Mondo per aver dovuto lasciare le terre del Sacramento, ingrate e piene di povertà e di proprietà d’una nobiltà cieca e latifondista. Chi di loro giunse nel Nuovo Mondo lo fece non sulle note della sinfonia di Anton Dvorak ma sulle melodie strimpellate di “Sul mare luccica…“, “O’ sole mio…” e le altre canzoni, cantate con immensa malinconia, che riportavano alla Patria lontana, alle mogli, ai figli, ai fratelli e genitori ed amici e sogni lasciati sotto il cielo della terra natìa. Quando sbarcarono nel Nuovo Mondo, ebbero la loro Ellis Island un po’ dappertutto e dovettero lottare per affermare il loro essere e la loro fedeltà anche alle nuove patrie. Come non ricordarsi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti giustamente cantati dalla voce indimenticabile di Joan Baez? Alcuni sarebbero tornati, anni dopo, con una divisa della 101° Aviotrasportata a liberare la loro terra. In Venezuela, Argentina e Brasile, gli Italiani emigrati si fecero subito onore come lavoratori e anche imprenditori. Negli USA, a parte la “Mano Nera”, Luciano ed altri soggetti simili, dobbiamo ricordare il tenente Joe Petrosino ma anche un Mario Cuomo che divenne Governatore dello Stato di New York, dopo che ragazzo aveva venduto stringhe da scarpe sul molo del porto e dunque chiara incarnazione di quel sogno americano che aveva mosso tanti piedi verso il Nuovo Mondo. E non si possono dimenticare però gli alfieri del “Lavoro Italiano nel Mondo” riportati sui francobolli dell’epoca di una Prima Repubblica molto bistrattata ma che, almeno, aveva dato un po’ più di sicurezza ai suoi cittadini. La Diga di Kariba, il ponte sullo stretto di Danimarca, fabbriche di auto in Brasile e Russia e, ancora, atelier di moda a Parigi e Londra sono solo alcuni degli esempi del “made in Italy” che non possono essere cancellati dai film sul cosiddetto “italian job“. Non si possono neanche dimenticare personaggi come Italo Balbo che con la trasvolata dell’Atlantico fu ammesso alla parata su Fifth Avenue e Enrico Fermi che rese possibile, con la sua pila atomica, la nascita dell’era nucleare… Anche Fermi fu un Italiano che dové prendere la via dell’esilio, perché questa terra, l’Italia, così bella e ricca di storia, tradizioni ed un patrimonio artistico e monumentale incredibilmente bello non riesce a sfruttarlo come si deve e, ancora oggi, pur con un potenziale industriale e di ogni genere da G8, molti suoi figli prendono la via dell’esilio in cerca di una fortuna migliore di quella che i suoi governanti riescono ad assicurare al Nostro Paese. “Italiani brava gente” è il titolo di un film che ricorda la spedizione dell’Armir in Russia ma potrebbe essere anche l’aggettivo migliore per un Popolo che deve ancora trovare la sua vera identità, con buona pace di Camillo Benso Conte di Cavour che aveva avuto preoccupazione per questo fatto già dal suo letto di morte. Montanelli conclude la sua “Storia di Roma” con una frase che ha tutto il sapore di questa mancanza: “…il problema degli Italiani è sempre stato quello di avere per capitale una città con un nome spropositatamente grande per un popolo che, quando grida FORZA ROMA, pensa solo ad una squadra di calcio…” Eppure abbiamo vinto fior di campionati di calcio!
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