Domenica mattina di un marzo
              soleggiato, se l’occasione fa l’uomo ladro, a Milano madre natura non è stata
              particolarmente generosa, sicchè, pigliamo al volo ciò che c’è: domenica di
              sole, corsa nel parco.
Inizio a corricchiare, piano,
              senza pretese, so di essere fuori allenamento. Ascolto un po’ di musica e mi
              guardo intorno. Hanno costruito un parcheggio nuovo, deve essere in via De
              Pisis se la memoria non mi inganna, ma è quasi vuoto, strano, abbraccia i
              palazzi che lo costeggiano, è ora di pranzo della domenica, dovrebbe esserci
              movimento. Mi avvicino, noto in sequenza, una volvo col finestrino passeggero
              frantumato, una scarpa femminile abbandonata sull’asfalto e una bicicletta,
              legata a un palo, con la ruota davanti a forma di otto, ovvero schiacciata da
              un’auto. Non mi sento incentivata a usare questo parcheggio caso mai mi dovesse
              servire fermarmi.
Proseguo, giro in via Eritrea,
              continuo per via Lessona, supero la scuola di ballo e scorgo il parco di villa
              Scheibler. Attraverso la strada e varco la soglia. Lo sguardo si spande
              curioso, fin dalla prima occhiata il parco si presenta tranquillo e piacevole,
              poche persone immerse nella lettura, qualche mamma con bimbo al seguito e
              qualche coppia che passeggia. Noto che su molti alberi è esposto un cartello
              che ne proclama il nome. Gli uccelli sono numerosi e giocano tra loro,
              con un’allegria contagiosa. Soddisfatta della scoperta, dopo aver percorso il
              perimetro del giardino, mi ributto sulla strada e poco dopo, in via Console
              Marcello, noto un’altra auto danneggiata, la portiera del guidatore era stata
              visibilmente scardinata. Milano città sicura, certo. Due anni prima la mia auto
              era stata forzata e aperta lungo il viale Milton, ovvero all’interno di quella
              che ora è l’area c, in prossimità del castello sforzesco e in pieno orario
              lavorativo.
Decido di rientrare, ammiro le
              montagne che in lontananza si scorgono mentre attraverso il ponte che porta in
              direzione Milano Certosa. Per fortuna sono a piedi, non corro il rischio di
              cadere nelle profonde buche del manto stradale che di nuovo, per l’ennesima
              volta, si sono formate sulla sommità e che, per chi usa lo scooter,
              costituiscono un pericolo a cielo aperto.

