Eugenio Tornaghi, classe ’67, laureato in economia, lavora in banca e pubblica romanzi.
Prima de “Il debito dell’ingegnere” (2009), che ha appena vinto il Premio Nebbia Gialla, aveva pubblicato, sempre con Todaro editore “Una spiegazione logica” (2007). Dicono che ami le motociclette, il mare, la letteratura in genere e Manuel Vazquez Montalban. L’editore lo definisce “autore eclettico, discontinuo e indisciplinato”.
La prima domanda è perché?
Perchè è vero. Eclettico perchè mi piace sperimentare, cambiare generi. Oltre ai romanzi che citi tu, ho scritto due favole illustrate per bambini in età pre-scolare. Discontinuo perchè non riesco a rispettare date di consegna. Un po’ perchè ho un lavoro e una famiglia piuttosto impegnativi, e un po’ perchè mi piace sperimentare e magari mi accorgo, a pagina centotrenta, che quello che ho scritto non mi corrisponde. Così ricomincio da capo e naturalmente buco ogni possibile sensata scadenza. Indisciplinato poi, lo sono sempre stato, ma in questo caso l’Editore si riferisce a un racconto, che avrebbe dovuto avere per tema il vino. Io non riesco a scrivere su temi predefiniti. Non sono un giornalista. Il racconto che mandai aveva per tema un’oca, poi naturalmente ci ho messo anche una bottiglia di vino…
Hai appena vinto un premio letterario, neonato ma sicuramente prestigioso perché nasce sotto l’egida doc di MilanoNera. Vorrei sapere cosa pensavi dei premi prima e cosa ne pensi adesso.
Ne pensavo e ne penso tutto il bene possibile. Consentono all’autore di avere una qualche misura del valore della sua opera e magari di vendere qualche copia in più. Se scrivi per un piccolo editore non è facile arrivare nelle librerie. Il limite dei concorsi, è determinato dal numero dei libri che vi partecipano. Mi spiego meglio, i concorsi che conosco prevedono una giuria di qualità che seleziona 3 o 5 libri da proporre a una giuria popolare. Se al premio vengono iscritti cento libri, i giurati sono nell’impossibilità materiale di leggerli e, immagino, si orientano sui nomi più noti o sui libri che hanno avuto recensioni positive. In questo modo, la funzione del premio viene meno.
Come definisci i tuoi romanzi?
Romanzi, appunto. Non amo le tassonomie, e ancora oggi, nonostante le lezioni di Tecla Dozio non ti so dire se i miei sono “gialli” “noir” o chissà cos’altro. Sono romanzi: finzioni narrative che trattano di temi reali. Non scrivo tanto per scrivere e chi mi legge non può leggermi tanto per passare il tempo. Scrivo perchè ho qualcosa da dire, qualcosa che riguarda la realtà in cui viviamo. Cerco di essere avvincente, perchè ritengo sia un dovere
“L’ingegnere” del tuo ultimo romanzo è uno che, più che vivere, funziona. Cioè?
L’ingegnere del romanzo è un incapace affettivo. Un uomo che ha scelto di vivere contando solo sulla propria intelligenza e sulla forza della logica. Da questo punto di vista “Il debito dell’ingegnere” è un romanzo di apprendimento: l’ingegnere apprende che per capire la realtà la logica non basta.
Davvero non è mai troppo tardi nella vita per ripagare i debiti morali che si accumulano nei confronti degli altri?
Dipende. Dipende da come sei fatto. Ci sono persone che non riconoscono nessun tipo di debito e ce ne sono altre che con i debiti proprio non sanno convivere. Io preferisco queste ultime. Sarà che lavoro in banca…
Appunto, lavori in banca. Si tratta di un posto dove si può ambientare un delitto o viene piuttosto voglia di commetterlo?
La Banca è un posto fantastico per ambientare un delitto. Ci nascono e ci muoiono i sogni della gente: un mutuo per andare a vivere con la fidanzata, il finanziamento per aprire un’attività, il credito negato che fa fallire un’impresa, e mette sul lastrico gli operai. Ci passa la vita dalla banca, con il suo carico di di emozioni. Sconsiglierei invece di commettere un delitto in banca, sai com’è, ci sono un sacco di telecamere, guardie armate. Fossi in te lascerei perdere.
Credo che ogni lettore cerchi una parte di sè in quello che legge. Che ne dici?
Dico che è vero, e è un gran complimento quando mi scrivono per dirmi che ci si sono ritrovati.
“Leggi mille pagine e scrivine una.” Che ne pensi?
Sacrosanto.
Perché ci sono scuole di scrittura creativa e non di musica creativa, scultura creativa, architettura creativa, pittura creativa eccetera?
Perchè musica, pittura, scultura, sono arti di per sé, mentre la scrittura è uno strumento neutro che può diventare arte e qualcuno pensa che si possa insegnare. Io credo che si possano dare degli strumenti del mestiere, ma la creatività non te la insegnerà mai nessuno
La prima cosa che hai scritto e che hai fatto leggere a qualcuno, e cosa ti hanno detto.
“E’ il più bel romanzo che abbia mai letto”, dal che ho dedotto che il mio interlocutore aveva letto davvero poco e ho provato a fare leggere il mio romanzo ad altri. Sono piovute critiche, anche pesanti, quasi tutte giuste. Qualcuna insensata.
Che musica ascolti?
Di tutto. Cito in ordine sparso: Paolo Conte, Il motorino di Nicola, Red Hot Chili Pepper, Battisti, Caparezza, The Clash, De Andrè, Tom Waits, Miles Davis, Ivano Fossati, Beatles, Guignol… Per i gruppi che non conosci, dai un occhio a My Space, c’è fermento tra gli ultra quarantenni lombardi.
A cosa stai lavorando?
A tre cose contemporamente. Ricordi? Io sono quello indisciplinato e discontinuo. In ogni caso è probabile che il primo ad uscire sarà un romanzo il cui titolo provvisorio è “Lo scemo del paese”. Degli altri due, uno è troppo embrionale e l’altro non è pubblicabile. Non in Italia almeno, non adesso.
Cosa stai leggendo?
Ho appena finito “Canale Mussolini”. Non conosco personalmente Pennacchi, ma mi piacerebbe stringergli la mano chinando il capo. Che romanzo! Il romanzo di una vita.