Dan Turèll: Assassinio di marzo

Turèll
Era pomeriggio inoltrato. Il momento giusto per un drink o due. Anzi, a guardare in faccia la realtà con coraggio virile, era il momento giusto per un diluvio di drink. Ma Drachmannsvej non era un posto in cui trovare un bar affidabile. Ecco il difetto di queste strade eleganti. In genere sono povere di bar. Sono povere di bar in modo così lampante che, in quanto cittadini e contribuenti, non si può fare a meno di chiedersi cosa diavolo ci stiano a fare i cosiddetti urbanisti. E poi, a dirla tutta, non mancano solo i bar. Per esempio mancano i taxi. In breve manca tutto quello che può darvi conforto in una giornata convulsa”(1).

“Dov’è Eric Liljencrone?”: è questo il misterioso messaggio ricevuto dalla redazione del quotidiano Bladet. Niente di incredibile – non da quando il direttore ha lanciato la campagna “Ditelo al Bladet”, invitando i lettori a riportare le loro notizie al giornale – eppure uno dei cronisti pensa che sia il caso di approfondire, cerca Liljencrone sull’elenco e, non riuscendo a mettersi in contatto con lui, decide di fargli una visitina. Ed è così che, in men che non si dica inciampa in un cadavere e si ritrova coinvolto in una pericolosa indagine legata al mondo dell’arte contemporanea…

Ambientato sul meraviglioso sfondo della Copenaghen dei primi anni Ottanta, Assassinio di marzo è il quinto capitolo di una serie di dodici polizieschi(2) aventi per protagonista l’anonimo reporter freelance del Bladet.
L’autore, Dan Turèll (1946-1993), scrittore, poeta, giornalista e performer è stato definito il Chandler danese; in effetti, i punti di contatto con l’autore del Grande Sonno non mancano e, pur essendo un detective “occasionale”, il reporter di Turèll può tranquillamente essere considerato un discendente di Marlowe, per la voce con cui riporta la sua storia (chiaramente in prima persona e al passato, in ossequio ai moduli classici della “scuola dei duri”) e sulla scorta del suo (romantico) cinismo(3).
Eppure, a leggere questo Assassinio di marzo, più che l’hardboiled americano, viene in mente la rilettura offertane da Léo Malet nei “Nuovi misteri di Parigi”, non tanto per lo stile(4), quanto per certi modi della narrazione e per lo sguardo del narratore: con Burma, infatti, il protagonista della Mord-Serie condivide la tendenza ad esprimersi in maniera metaletteraria (se Malet citava Simenon(5), Turèll evoca, come numi tutelari di un certo romanzo hardboiled “surreale”, Craig Rice e Jonathan Latimer(6)); come Burma, il reporter ha un rapporto di amore-odio con i rappresentati della legge(7); come Burma, infine, il reporter sembra lontanissimo dal facile giustizialismo.
Investigatore per nascita, per curiosità, per caso o per spirito d’avventura(8), il personaggio di Turèll, da vero flaneur è perso (proprio come Burma) nella duplice polarità distacco/empatia, ed è per questo che, oltre ad offrirci dei meravigliosi affreschi ambientali, riesce a metterci sotto gli occhi la realtà del tempo -un tempo straordinariamente vicino- con tutte le sue brutture e contraddizioni, e lo fa senza forzare la mano, con meravigliosa, incontenibile ironia.

Assassinio di marzo, di Dan Turèll, è proposto ai lettori italiani da Iperborea nell’ottima traduzione di Maria Valeria D’Avino.

(1)Dan Turèll, Assassinio di marzo, Iperborea, Milano 2016, p. 47. Traduzione di Maria Valeria D’Avino.
(2)I romanzi sono indipendenti, anche se, affermano gli esperti, il susseguirsi delle avventure mostra, come in ogni “serie” che si rispetti, un’evoluzione del personaggio. I lettori italiani dovranno (almeno per il momento), accontentarsi di questo Assassinio di marzo e di Assassinio di Lunedì, proposto da Iperborea nel 2010 (D. Turèll, Assassinio di Lunedì, Iperborea, Milano 2010. Traduzione di Maria Valeria D’Avino).
(3)Ma, più in generale, l’affinità sembra legata a una comune visione della società; “i poliziotti sono come il medico che ti prescrive un’aspirina quando sei affetto da un tumore al cervello” scriveva Chandler nel Lungo addio (R. Chandler, Il lungo addio, Feltrinelli, Milano 2004, p. 192. Traduzione di Bruno Oddera), e Turèll pare convinto anche lui che il crimine non sia “malattia”, ma “sintomo”, e che la punizione del colpevole non produca un sostanziale miglioramento nel mondo diegetico, così come non la produce nel mondo reale.
(4)Lo stile di Turèll è sì follemente ironico, ma non surreale e strampalato come quello del Malet di Nestor Burma.
(5)Si pensi, per esempio, alla comparsa del libro Una testa in gioco di Simenon, in La notte di Saint-Germain-des-Prés di Malet, e all’uso (o al ri-uso) della trama del primo
all’interno del secondo.
(6)“Che cos’era successo? Che ci faceva tutt’a un tratto Marcus al posto di Mortiz? Cose del genere non succedono. Forse nei gialli americani degli anni Trenta di Craig Rice e Jonathan Latimer, ma non certo in un fresco e sobrio mese di marzo a Copenaghen” (Dan Turèll, Op. cit., p 109).
(7)Il commissario Ehlers nella Mord-Serie come Florimond Faroux nei “Nuovi misteri di Parigi”.
(8)I romanzi della Mord-Serie si aprono sempre con una serie di circostanze fortuite che costringono il reporter a impegnarsi nelle indagini, ma a ben vedere è l’indole stessa del protagonista a “costringerlo”; basti pensare a questo Assassinio di marzo: se il reporter facesse come i suoi colleghi, limitandosi a leggere il messaggio per poi archiviarlo come una delle tante strane comunicazioni dei lettori alla redazione, non ci sarebbe nessuna indagine.

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