Angelica è laureata in lettere e lavora come impiegata in un’azienda non lontana da casa. Ha venticinque anni quando decide di farla finita. È per via dell’ansia, o forse di quell’inspiegabile senso di vuoto. Sale in macchina, se ne va al lago e si imbottisce di pillole. Solo con l’ultimo barlume di coscienza si rende conto di non essere ancora pronta.
Non vuole morire.
Si risveglia in una clinica psichiatrica: ha davanti a se’ una seconda possibilità, e l’arduo compito di rimettere insieme i pezzi di una vita mandata in frantumi. Per farlo, per tornare a vivere, dovrà liberarsi dell’acool, delle benzodiazepine e delle mille altre dipendenze alle quali si è lasciata andare…
Romanzo d’esordio della trentenne Aurora Frola, I ricordi non si lavano è la storia di una caduta(1) e di un disperato tentativo di ritornare alla luce.
Per raccontare questo viaggio di anabasi e catabasi della protagonista, l’autrice si serve di una narrazione in prima persona e al presente, in equilibrio tra lo stream of consciousness e il discorso indiretto libero(2), con tutte le oscillazioni, gli scompensi, gli smottamenti del caso. Il discorso di Angelica non è né neutro, né omogeneo: procede a tratti, accelera, diviene brachilogico, conciso, persino sentenzioso(3) con l’aumento della tensione emotiva(4), per poi farsi più certo mentre la protagonista si schiarisce i pensieri. Così, man mano che la sua sicurezza aumenta, il racconto si costella di espressioni rafforzative -“questa cosa è così. Sì, lo è”- che sembrano voler testimoniare la ritrovata confidenza con il mondo degli oggetti, un tempo fuori controllo.
Nell’universo dolorosamente asettico della clinica, perfetto non-luogo, quasi invisibile se non per i suoi lati negativi e funzionali (contenimento e dunque costrizione), i “normali” rapporti sociali sono svuotati, annullati, ridotti all’insignificanza – accidentali incontri tra “bambole” o “anime” rotte-. Ma la scelta dello sfondo “neutro” non è semplicemente geografica; l’impalpabilità dei luoghi, una vera e propria a-geografia serve a trasformare la parabola della protagonista in una dolente agiografia contemporanea. A dispetto dei sensi di colpa, Angelica si svela agli occhi del lettore come una ragazza innocente torturata, martoriata da un indicibile trauma(5).
E così, tra lo svelamento del passato irrisolto e il contrasto instaurato tra il mondo della clinica e il mondo “di fuori”, il il romanzo finisce per rivelare la crudeltà e la falsità dell’esistenza “normale”, e la posizione della protagonista, da clinica si fa esistenziale. “Prima e dopo tutto. Resto io. Angelica.”, si legge infatti, in una battuta d’arresto che unisce sintassi destrutturata (ristrutturata?) autoposizione del soggetto (in senso postmoderno, e non fichteiano), e principio di individuazione…
Il romanzo I ricordi non si lavano, di Aurora Frola, è edito da Edizioni della Sera.
(Da sinistra verso destra: Fabrizio Fulio-Bragoni, Aurora Frola e l’editore Stefano Giovinazzo. Presentazione di “I ricordi non si lavano” alla Libreria Belgravia)
(1)Non a caso la protagonista si chiama Angelica.
(2)I dialoghi ci sono, ma sono pochi, perché Angelica è “sola”; ed è una solitudine metafisica, la sua, che non l’abbandona neppure quando è in compagnia dei rarissimi compagni di viaggio.
(3)Tutti hanno bisogno di punti fermi, figuriamoci una ragazza lasciata sola a vedersela con e sue dipendenze. Che c’è di meglio, allora, di una serie di ingiustificate (ma quanto mai necessarie) certezze?
(4) L’autrice riesce con successo a instaurare un rapporto di corrispondenza tra tensione emotiva della protagonista e tensione narrativa.
(5)Ma non c’è determinismo, nel romanzo, né banali tentativi di giustificazione, solo comprensione…