‘È solo trucco, sorella. Vengo dal teatro qui di fronte, sono in pausa’.
Si mise a ridere. ‘Oh, mi spiace, sembra proprio vero. Che cosa danno?’
‘Giulietta e Romeo di Shakespeare in una versione moderna orientalesistenzialista alternativa ai modelli interpretativi europei tradizionali’.
Annuì con aria seria e disse: ‘Ah, sì’.
Fece una pausa e chiese: ‘E che cosa succede?’
‘Romeo incontra Alì Babà e baratta Giulietta con i quaranta ladroni’”(1).
1984. il muro di Berlino è ancora lungi dal cadere, il mondo è diviso in due blocchi contrapposti, Konstantin Černenko è presidente dell’Unione Sovietica; negli USA, il settantatreenne Ronald Reagan inizia il suo secondo mandato alla casa bianca e in Europa si respira l’aria pesante della guerra fredda.
Intanto, a Francoforte, la comunità turca saluta il suo primo detective privato “regolare”: non si sa come, né perché, ma l’inesperto e scalcagnato Kemal Kayankaya è riuscito ad ottenere una licenza da investigatore. Così, quando il turco Ahmed Hamul perde la vita in circostanze misteriose, è proprio all’esordiente Kayankaya che la moglie della vittima, la giovane vedova Ilter, giustamente diffidente nei confronti degli ufficiali di polizia, affida le indagini.
Muovendosi, più a casaccio che secondo un progetto preciso, tra barucci e bordelli, vicoli oscuri, locali notturni e chioschetti, e salvandosi miracolosamente da agguati e aggressioni di spacciatori, guardie, sbirri corrotti, protettori sul piede di guerra e buttafuori, Kayankaya riesce a far luce sulla morte del suo connazionale e portare allo scoperto un losco traffico di stupefacenti…
La narrazione, americana nei dialoghi (almeno in quelli “seri”) e nelle descrizioni, è deformata attraverso moduli eroicomici che non arrivano mai ad intaccare l’intreccio, duro, teso, ritmato, irrealisticamente reale(2), secondo i migliori canoni del genere.
Lo sfondo multi-raziale inserisce una piacevole variazione(3) su un tema antico: quello del detective privato solo e squattrinato, vagamente emarginato, ma dotato di una spiacevole testardaggine e di una chandleriana(4), deprecabile, ipertrofia del senso di giustizia, a confronto con un mondo duro, ipocrita, falso, corrotto.
I personaggi sono piacevoli, sfaccettati, ben definiti, il ritmo è ideale, senza strappi e senza eccessivi rallentamenti; l’intreccio è ben congegnato e i dialoghi sono perfetti.
Primo capitolo della serie di romanzi aventi per protagonista Kayankaya e libro d’esorido dell’allora ventunenne Jakob Arjouni, Happy Birthday, Turco!, testo chiave del nuovo thriller tedesco, è stato recentemente riproposto da Marcos y Marcos nella super-economica, neonata, collana Minimarcos.
(1) Jakob Arjouni, Happy Birthday, Turco!, Marcos y Marcos, Milano 1993, p. 56. Traduzione di Gina Maneri.
(2) Siamo alle solite: come fa un tipo senza esperienza né preparazione a sopravvivere agli assalti e le percosse di una serie di picchiatori e stimati “professionisti del settore”? ma d’altra parte il superomismo dei protagonisti è uno dei caratteri che gli amanti del genere thriller e dell’hard-boiled hanno imparato ad accettare, se non proprio ad amare…
(3) Paragonabile (nonostante le ovvie differenze tra la situazione razziale nella Germania di metà anni ’80, e quella dell’America degli anni ’50) a quella messa in scena da Walter Mosley nei suoi hard-boiled afroamericani.
(4) Non a caso Kayankaya è stato definito “il Marlowe turco-tedesco”.
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