Da The Prisoner, prigioniero virtuale di un luogo misterioso e inquietante che forse esiste solo nella mente del protagonista a Blade Runner opera geniale e essenziale di un grande della letteratura fantastica Philip K.Dick.
Sul film che contribuì a fare crescere in popolarità un giovane Harrison Ford si è detto tutto e anche di più, dai collegamenti con il libro alla sceneggiatura e ai rifacimenti.
Oggi io voglio semplicemente prendere spunto dal titolo originale di questo romanzo forse meno affascinante del film per cominciare un percorso che attraverso la città arrivi fino alla mente di noi piccoli uomini delle pianure europee.
Fare finta di essere sani, famosa canzone di Gaber è il secondo filone che troverete nel mio blog e la domanda che sorge spontanea oggi ma che era valida anche quando vidi per la prima volta Blade Runner è semplice, voi siete sicuri della autenticità della vostra storia personale? E’ precisa, pulita senza sbavature, non offre spiragli a dubbi o domande? Quando vi guardate allo specchio siete certi della vostra identità e del ruolo delle persone che compongono la vostra vita?
In Blade Runner alcuni replicanti non sapevano di esserlo e la consapevolezza della loro diversità è il preludio della loro fine o della loro schizofrenia, altri pur essendo consapevoli di essere solo una riproduzione dell’uomo destinata a terminare si aggrappano disperatamente alla vita cercando in tutti i modi di rimandare l’inevitabile conclusione.
E’ solo un film, uno splendido film di fantascienza.
Ma a distanza di 28 anni le mie certezze vacillano.
Quando vidi il film stavo facendo il corso ufficiali di complemento a Bracciano e da li a poco sarei diventato sottotenente per poi trascorrere il resto del servizio di prima nomina in Friuli in una caserma di alpini.
E’ accaduto davvero? Quel passato che credevo mio così denso e articolato l’ho vissuto o è solo una serie di ricordi indotti?
Perché voltandomi indietro non riconosco quel personaggio. Le sue scelte politiche e morali, erano reali o solo inventate?
Chiaramente il mio è un esercizio di analisi del ricordo. So che tutto è accaduto e quel tutto ha contribuito alla costruzione dell’uomo che sono diventato, ma se analizzo il risultato e sommo tutti i passaggi, il tempo e la fatica delle prove superate non mi riconosco.
E voi vi riconoscete? Sognate pecore elettriche? Se riavvolgete il nastro dei ricordi trovate il senso o avete come me il dubbio che il passato sia solo un insieme di dati indotti, magari da voi stessi per dare un senso alla vita?
Spero di avere lanciato un sassolino e di non avere fatto troppa confusione.
La città imperfetta nella quale viviamo non può che partorire uomini insicuri che cercano di non farsi schiacciare dalla semplice arroganza di chi tutto decide, sempre in nome del bene comune.