A dispetto di ogni riserva o gusto personale Dario Argento è il thrilling italiano. L’uccello dalle piume di cristallo esce sugli schermi italiani nel 1970 e, dopo uno stentato avvio nelle città principali, viene acclamato – grazie al passa parola degli spettatori – nuovo fenomeno cinematografico nazionale. Figlio d’arte e già critico cinematografico e sceneggiatore, Dario Argento non arriva dietro la macchina da presa per caso. Soprattutto ha le idee chiare non solo sulle storie da raccontare ma sul modo in cui farlo. L’Italia irrompe come sfondo primario dei suoi thrilling e, anche se si tratta sempre di città dall’identità incerta (spesso fusione di varie metropoli), è proprio la collocazione delle vicende in un’epoca e in un contesto nostrani che ne decretano un primo largo consenso. Il gradino successivo si incastra sul primo. Quali che siano le fonti (per ‘Luccello dalle piume di cristallo’ Dario racconterà alternativamente di essersi ispirato a un suo sogno o a un giallo di Fredric Brown, La statua che urla), le modalità del racconto mescolano il thrilling classico con la fiaba nera. Ci sono certamente suggestioni derivanti da film e autori precedenti, ma la capacità di concentrarsi sul dettaglio, di muovere la macchina, di giocare con sguardi, musiche e personaggi è assolutamente originale. Qui nascono una serie di “formule” che costituiscono il terzo livello del successo argentiano e che ritroveremo negli anni in tantissimi altri film, alcuni di buona fattura, altri meno riusciti.
Val la pena di citare queste caratteristiche perché, sono importanti. La follia dell’assassino che, a volte, è protetto da uno stretto vincolo familiare (marito-genitore-figlio), le radici infantili che si esplicitano in disegni, pupazzi, musichette che perdono le loro caratteristiche giocose per diventare segnali macabri, elementi di una mitologia. Al tempo stesso il particolare visto ma dimenticato sino alla rivelazione finale, il pericolo che si annida proprio quando la vittima crede di aver raggiunto la salvezza, persino una certa dose di umorismo nel tratteggio dei comprimari, sono fondamentali. I titoli poi, così felicemente ispirati al mondo animale, faranno scuola. Allo stesso modo la morte diventa un rito, una danza, la sua resa grafica sullo schermo serve a delineare la suspense a dispetto di qualche salto logico.
Sì, e Argento lo dimostrerà con lo sviluppo della sua carriera, perché la linearità della storia, il giallo classico, lo interessano sempre meno. È l’effetto scenico, cinematografico, che più gli sta a cuore, quindi l’appellativo di “Hitchcock italiano” con cui venne lanciato, è, in qualche modo, fuorviante sin da principio. Argento non è mai strettamente legato alla verosimiglianza, all’assoluta correttezza delle sue trame. Preferisce giocare con lo spettatore. A volte bara persino. Il particolare che Tony Musante nell’Uccello dalle piume di cristallo sa di aver visto ma ricorda solo nel finale, in realtà non appare sullo schermo se non quando il regista decide di mostrarcelo. Al contrario di quanto succede a David Hemmings in Profondo rosso che, con lo spettatore, intravede realmente il viso dell’assassino nello specchio che riproduce i quadri mostruosi in casa della medium assassinata.
Con il mondo della parapsicologia, della magia, Argento ha, sin da principio, un rapporto privilegiato. Tutto torna, almeno apparentemente e grande spazio viene dedicato alle procedure scientifiche della Polizia. Ma non sono queste a trovare la soluzione dei delitti. Vi è piuttosto spazio per un’intuizione parapsicologica indotta dall’atmosfera straniante di grandi città che improvvisamente diventano palcoscenici notturni, fatti di vuoti e di pieni, di architetture bizzarre e coni d’ombra. Lo stesso assassino, benché, “maniaco” non ha nulla a che vedere con i moderni serial killer e le motivazioni venali gli sono assolutamente estranee. Come dice lo pseudolibro Tenebre nel film eponimo che all’inizio degli anni ’80 viene indicato- a torto- come ultimo del filone: “L’impulso era diventato irresistibile. C’era una sola risposta alla furia che lo torturava. E così commise il suo primo assassinio. Aveva infranto il più profondo tabù e non si sentiva colpevole, né provava ansia o paura, ma libertà. Ogni ostacolo umano, ogni umiliazione che gli sbarrava la strada poteva essere spazzato via da questo semplice atto di annientamento. L’OMICIDIO”.
Dario Argento è stato incoronato, il Maestro della Paura. In Italia con qualche ritrosia, e all’estero (in Francia soprattutto) con molto maggiore entusiasmo. La sua filmografia è lunga e variegata ma, ai fini della nostra trattazione, sono i primi quattro thriller che ci interessano. Già con Suspiria la sua vena narrativa imbocca decisamente il sentiero dell’horror sovrannaturale che non è oggetto di questa ricerca.
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In realtà, anche Hitchcock della verosimiglianza si interessava poco. Il paragone comunque ha sempre infastidito Argento, che per ripicca dichiarava di ispirarsi maggiormente a Fritz lang (ma era un suo vezzo: quando lo accusavano di aver copiato bava lui replicava di preferire Freda e via così). Con Suspiria in fondo ha firmato il suo capolavoro, perchè l’irrazionale è sempre stato l’elemento fondamentale della sua poetica del macabro (per sua stessa ammissione il giallo è un genere che non ama particolarmente). Già nel gatto a nove code tira in ballo una tesi fantascientifica, quella dell’XYY; in Quattro mosche di velluto grigio e Profondo rosso mescola il thrilling col fantastico puro, inserendo teorie ottocentesche come quella dell’immagine impressa sulla retina di un moribondo e aggiungendo suggestioni paranormali. Lo hanno copiato in tanti ma nessuno dei suoi epigoni ha saputo coglierne davvero lo spirito.
Ottima naalisi Corrado, in effetti credo che come tutti i grandi Dario abbia attinto da diverse ispirazioni cucinandole poi a modo suo
Non è un caso che lui e Fulci all’epoca si detestassero. Erano due galletti nel pollaio, i loro thriller si distinguono nettamente dalla media delle produzioni thrilling italiane (e non solo) del periodo. In fondo i loro erano “gialli” anomali, aldilà del fatto di civettare o meno col fantastico possedevano una carica di originalità sia estetica che contenutistica che superava i limiti del genere. Argento infatti ha spesso esitato nell’accettare l’etichetta di “giallo” e “horror” per le sue pellicole (che erano un po’ e un po’, diciamolo).
io, per qualche ragione che non mi è neanche hciarisisma sono per ‘il terorista dei generi’
Eh Fulci aveva un approccio meno fantastico e più “crudele”, anche i suoi horror puri sono così. Pensa a Lo squartatore di NY; lo etichettano come giallo ma le atmosfere lo avvicinano alle altre produzioni blood & gore che Lucio ha realizzato per la Fulvia Film. E del resto cose estreme come il prologo de L’Aldilà si rifanno apertamente a invenzioni dei suoi gialli, vedi linciaggio della Maciara in Non si sevizia un paperino. Credo ti piaccia perchè anche la tua narrazione ha un approccio realistico.
sì, in effetti il Fulci che amo di più è proprio quello dei thriller realistici
Oggi anche su fb si assiste ad una crociata anti-argentiana che ha del grottesco. Neppure basata sulla ormai ovvia e legittima istanza che sia un regista che non imbrocca più un film da vent’anni, tragica realtà, bensì sul fatto che fin dall’inizio sia stato sempre un mediocre, scopiazzatore, non baciato da originalità, stile o personalità. Davanti a lui, meglio dire, al suo posto, si piazzano Fulci (Dio), Martino (Spirito Santo), Deodato (Figlio) e tutta una serie di apostoli che vengono addirittura definiti Maestri di Vita (fioccano le cazzate), vicino ai quali non è tollerabile piazzare Argento. Mi sembra una cosa assurda, folle, beotica. Argento HA il suo stile, che ha fecondato quello di altri, HA la sua visio-mundi, perfettamente evidenziabile, HA il suo tocco, questo sì malamente copiato da molti, HA la sua sensibilità e la sua innovativa tendenza alla fusione di generi. E, infine, Argento è morto, artisticamente, da ormai tanto tempo, senza speranza di recupero. I suoi stessi collaboratori lo riconoscono, per lo meno quelli con cui ho avuto modo di parlare al Country Inn durante le riprese di Dracula, che fin d’ora considero pietra tombale sul suo cinema. Ciò non toglie però che gli vada attribuito tutto il merito che ha sempre suscitato fin dagli anni Settanta… e meglio sarebbe che molti piccoli soloni di oggi tacessero al riguardo.
Orpo ma son di nuovo d’accordo con il Taeter? hai ragione in pieno Mike
Senza contare che Martino non ha mai negato di aver maturato un debito nei confronti di Argento coi suoi thrilling; che lo stesso Fulci nella seconda metà degli anni 80 ha realizzato cose indifendibili; e che a Deodato proprio non fregava un cazzo dell’horror, lo hanno intruppato nel genere per il suo Cannibal Holocaust che onestamente non c’entra nulla. Personalmente metto gli argentiani ultrà e gli anti-argentiani per partito preso sullo stesso piano. ‘Capiscono una sega.
come se foss’antani aahahahahah
Eh il thrilling all’italiana è prematurata da un pezzo.
Quanti ricordi, ragazzi!
P.S. Ho sbagliato ad inserire questa esclamazione che viene spontanea da questa bella lettura nell’ultimo post.
ah ecco, comunque a parte IL debito che credo possa interessarti, mirende felice sentiere che ti paice Argento.
Molti dei film che citi li ho visti ma non ne ho fatto oggetto di studio e quindi mi pappo bello spaparanzato i tuoi pezzi e le argomentazioni dei lettori. Un mio giudizio non troppo articolato è che mi garbavano tanto…:-)
io sono convinto, ma è opinione personale, che la vera radice del giallo italiano è più cinemaografica che letteraria..discutibile certo, però… aspetto il tuo parere
Idea stimolante ma mi trovi impreparato (mi sarei dato un due). Ci rifletto sopra prima di dire una stronzata (anche se in altra parte ne ho fatto l’elogio).
con calma quando vuoi..potrebbe venirne fuori un bel dibattito anche per iltuo blog sul giallo,no?
Il Grosso, nipotino Jonathan, mi ha convinto che è meglio soprassedere ad una discussione che gli toglierebbe un po’ di attenzione…:)
avremo comunque tempo e modo per discuterne, magari su altra piattaforma. per me sarebbe un piacere e anche interessante, Fabio
magari una volta qui..nessuno ci scancella…