Intervista a Franco Forte, Direttore delle collane da edicola Mondadori

Franco forte 1Parliamo di queste collane da edicola. In cosa si differenziano dalle altre collane? Quante sono?

Si differenziano per la periodicità, mensile, e la distribuzione, che avviene soltanto in edicola. Sono tre: Urania per la fantascienza, il Giallo e Segretissimo per la spy story.

Quali sono le più popolari in Italia?
Sicuramente la più venduta è quella del giallo, collana che orami conta più di 80 anni di vita. Ogni mese escono due romanzi di autori classici, due moderni e uno speciale trimestrale. Il Giallo vende bene anche in formato e-book, arrivando a coprire il 90% dei titoli usciti in cartaceo. E’ un mercato, quello elettronico, che comunque non influisce su quello tradizionale del cartaceo, ma vi si affianca. Nel 2013 abbiamo ricavato dalla vendita degli e-book circa un milione di euro.
Ogni anno escono circa 120 titoli. Presto inizierà una collana di apocrifi di Sherlock Holmes.

Gli scrittori esordienti come possono arrivare a pubblicare nelle collane da edicola?
Prevalentemente attraverso il premio Alberto Tedeschi per romanzi inediti. Da lì, nel corso degli anni, sono usciti giallisti diventati famosi. Per citarne soltanto alcuni: Macchiavelli, Lucarelli, Leoni, Comastri Montanari, Fassio, Luceri, Riccardi. I romanzi pervenuti nell’arco di otto mesi vengono letti e valutati. Entrare fra i finalisti significa farsi conoscere e vendere tanto.

Con il tuo arrivo alla direzione, che impronta hai dato alla collana dei gialli in particolare?
Sono arrivato nel 2010. Ho cercato di mantenere la struttura delle collane e di dare impulso al mercato elettronico. Ho dato maggiore spazio alle scrittrici, sia italiane che straniere, constatando che vendono moltissimo, al pari degli uomini. La mia idea è che la casa editrice propone, poi è il pubblico a scegliere e il pubblico, nel quale è molto forte la componente femminile, dimostra di apprezzare le autrici, sia italiane che straniere. Il giallo che piace è quello d’investigazione di stampo classico, di ragionamento piuttosto che di azione, con pochissimo sangue e niente violenza. Una specifica del genere, meno presente in libreria e più in edicola. Anche la collana degli apocrifi di Sherlock Holmes è molto gradita alle donne.

Veniamo alla tua produzione. Che tipo di scrittore sei?
Non so definirmi, scrivo un po’ di tutto. Sceneggiature per film e serie di polizieschi televisivi, ho diretto due riviste.
E’ venuta prima la scrittura o il lavoro editoriale?
Contemporaneamente, circa 25 anni fa, quando sono entrato in Mondadori, dopo aver attaccato al chiodo una laurea in ingegneria. Mi piace il giallo storico perché mi piace studiare la storia di Milano; inoltre è molto considerato all’estero perché la storia d‘Italia interessa e gli scrittori sono considerati affidabili.

Come imposti la ricerca storica per costruire le trame dei romanzi gialli?
Da anni passo molte ore alla biblioteca ambrosiana, dove c’è un fondo storico interessantissimo. Le trame nascono tutte là.

Cos’è il giallo italiano oggi?
Il giallo italiano è pervasivo in tutti gli ambiti. È narrativa allo stato puro, ormai fuori dal genere.

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I fratelli Rico ovvero la mafia secondo Simenon

 

untitled Era il 1958 quando la collana “Il Girasole” della Mondadori, all’interno della presentazione ordinata dei romanzi di Georges Simenon, nel numero 91 presentò questo I fratelli Rico (Les freres Rico, 1952) con la traduzione di Bruno Just Lazzari. Recentemente è stato ripubblicato da Adelphi con la traduzione di Marina Di Leo. Traduzione di Marina Di Leo.

Non conoscevo il romanzo e l’ho letto nell’edizione del ’58, reperita in biblioteca.

Simenon si cimentò in una storia ambientata in vari stati degli Usa, narrando le gesta di malavitosi italo americani. I capi dell’ “organizzazione”, Simenon non usa mai la parola mafia, richiamano alla base Eddie, il maggiore dei fratelli Rico, quello più rispettoso delle regole ferree dell’associazione e che, forse per questo, è riuscito a costruire un suo impero economico e una famiglia normale, lontano dai pericoli della grande metropoli. Degli altri fratelli, Gino è un killer professionista, Tony l’autista per rapine o assassinii. Tony ha compiuto uno sgarro sposandosi senza autorizzazione del boss. In più, il matrimonio desta i sospetti della “famiglia” a causa di un cognato, presunto confidente della polizia.

Eddie Rico deve seguire le tracce del fratello minore e stanarlo, alla prevedibile conclusione della vicenda penseranno altri. Nessuna sorpresa né colpi di scena; la malavita trionferà.

I vari personaggi sono descritti con la solita maestria nell’indagine psicologica che connota il grande autore belga. Quello che non mi ha convinto è la scelta della storia di gangster che non mi pare essere nelle corde di Simenon. Mentre “Luci nella notte” è un grande noir di sentimenti e come tale universale, ne I fratelli Rico non vi si respira l’aria di Brooklyn degli anni 30-40 e la storia è intrisa di troppi stereotipi da cartolina stile Little Italy.

Da questo romanzo è stato tratto il film statunitense I fratelli Rico (The Brothers Rico, 1957) di Phil Karlson, con Richard Conte e Dianne Foster.

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Delitto sulle piste da sci

 

Antonio Manzini, Pista nera, Sellerio, 2013

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Attore e sceneggiatore, romano (allievo di Camilleri all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica), ha esordito nella narrativa con il racconto scritto in collaborazione con Niccolò Ammaniti per l’antologia Crimini.

Del 2005 il suo primo romanzo, Sangue marcio (Fazi).

Con Einaudi Stile libero ha pubblicato La giostra dei criceti (2007).

Un suo racconto è uscito nell’antologia Capodanno in giallo (Sellerio 2012).

Del 2013, sempre per Sellerio, ha pubblicato il romanzo giallo Pista Nera, con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone. Secondo episodio della serie: La costola di Adamo (Sellerio 2014).

Sono inclusi suoi racconti anche nelle antologie: Ferragosto in giallo (Sellerio 2013 “Le ferie di agosto”) e Regalo di Natale (Sellerio 2013, “Buon Natale, Rocco!”).

Bio-bibliografia tratta da http://www.wuz.it/biografia/2521/Manzini-Antonio.html

“io sono il peggiore dei figli di puttana. E comunque con me faccio i conti ogni santo giorno. Davanti allo specchio, in una pozza d’acqua, quando guido, quando mangio…(p. 269)

Così si definisce il vicequestore Rocco Scaglione, protagonista della serie di polizieschi a firma di Antonio Manzini iniziata con Pista nera.

E’ un personaggio ingombrante, antipatico, scomodo e “doppiogiochista”, sempre al limite fra legale e illegale, ma anche con molti lati oscuri e sofferenze che nasconde dietro una facciata di cinismo e arroganza. Forse è proprio per questa dicotomia e complessità psicologica che fa presa nel lettore. E’ l’investigatore antieroe per eccellenza, maledetto quanto basta. Sapientemente l’autore lascia in ombra alcuni fatti accaduti a Rocco Scaglione prima del trasferimento d’ufficio ad Aosta e che penso riprenderà nei successivi romanzi. Tutti gli altri personaggi, inclusi i minori, sono ben tratteggiati e verosimili.

In “Pista nera” il vicequestore è alle prese con un delitto quasi perfetto, ambientato in uno scenario da favola: le piste da sci di Champoluc. La trama e la struttura del giallo sono solide, lo stile brillante, senza tempi morti o accelerati. Alla prossima avventura, vicequestore!

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Petro Markaris su Il fatto quotidiano:

 

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/30/le-lezioni-di-scrittura-del-fatto-quotidiano-del-lunedi/796697/

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Ogni settimana sul Fatto del Lunedì un grande scrittore o una grande scrittrice ci racconteranno come si costruisce un romanzo, affrontando un tema specifico dell’arte narrativa.

Il 3 febbraio è stata la volta di Petros Markaris, sceneggiatore, drammaturgo e, infine, giallista affermato in tutta Europa.

Ecco quali secondo lui gli errori che un autore non deve fare.

  • Non dovrebbe mai apparire più intelligente dei suoi lettori.

  • Non bloccare l’immaginazione del lettori dicendogli tutto.

  • Non dimenticare che è un romanziere, non un intellettuale.

Primo consiglio, dunque, l’ umiltà.

Venendo alla “sapida” intervista di Alberto Garlini, apprendo con grande soddisfazione che il prossimo romanzo di Markaris uscirà a giugno per Bompiani.

Ne riporto un passo che mi sembra particolarmente interessante.

 “Uso il giallo sia come sfondo che come pretesto per parlare della realtà sociale e politica della Grecia. Non è una novità. Rimanda al romanzo borghese del XIX secolo, che molto spesso aveva un crimine come punto di partenza. Hugo, Dostoevskij o Dickens sono alcuni esempi. D’altra parte, quello che faccio non è nuovo neppure nella storia del giallo. Leonardo Sciascia l’ha fatto prima di me, e anche Manuel Vasquez Montalban.”

 

 

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Cibo e crimine: binomio frequentato

 

Laura Vignali, Il delitto vien mangiando, Effigi Editore, 2013

“Il delitto vien mangiando” è un’antologia di 14 racconti, di cui la metà inediti. L’Autrice fornisce molti cadaveri al lettore: minimo due al giorno perché la lettura dura una settimana, se si segue la somministrazione suggerita di due racconti al dì, uno a pranzo e uno a cena. Se qualcuno vuol trovare ispirazione… in cucina, lo può fare tranquillamente, dal momento che ogni racconto è corredato da una ricetta.

Le storie sono quasi tutte ambientate nel microcosmo di Pistoia e dintorni, in cui da sempre l’autrice trae feconda ispirazione. Anche i personaggi delle storie sono tratti dalla vita reale, dal quotidiano, trasfigurati fino a renderli talvolta caricaturali, talvolta grotteschi.

La vendetta è un piatto che va servito freddo, recita un antico proverbio. Filo conduttore delle quattordici storie è, appunto, la vendetta, attuata in tutti i modi possibili.

Altra caratteristica: l’assassino e il movente sono fin dall’inizio all’attenzione del lettore che non si deve lambiccare il cervello nel trovare la soluzione dell’enigma.

La figura dell’assassino, sia umano che animale, crea una subitanea empatia nel lettore; per contro le vittime sono sempre odiose e si meritano la loro sorte, sembra suggerire Laura Vignali.

Stile scorrevolissimo e lettura che va veloce come un treno.

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L’AMORE COME MOVENTE IN AGATHA CHRISTIE E EARL DERR BIGGERS

Un grande ringraziamento allo scrittore Enrico Luceri per avermi permesso di   pubblicare il suo intervento al Festival del giallo Pistoia 2014

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IL SENTIMENTO PIÙ PERICOLOSO

 

L’AMORE COME MOVENTE IN AGATHA CHRISTIE E EARL DERR BIGGERS

 

 

 

CLUB AMICI DEL GIALLO

PISTOIA, 1 FEBBRAIO 2014

di 

Enrico Luceri

 

“Fece una pausa, tirò un sospiro e riprese: -Comunque è morta.

-Di cosa?

-Amore – disse.

-Amore? – ripeté miss Marple.

-Uno dei sentimenti più pericolosi che esistano – disse Elizabeth Temple.”

(Miss Marple: Nemesi)

 

L’amore è uno dei moventi più validi nel giallo. Valido e convincente, perché ognuno di noi almeno una volta ha immaginato di strappare l’uomo o la donna della propria vita dalle braccia di chi ce li aveva rubati. Cioè di eliminare chi rappresentava un ostacolo alla realizzazione di un sogno. Rubati: un furto, e quindi una colpa da espiare con una sola pena, quella di morte. È dalla notte dei tempi che Eros e Thanatos camminano a braccetto.

Agatha Christie, la più abile manipolatrice di enigmi della storia del giallo non ha esitato a usare questo ingrediente per dare sapore alle proprie pietanze, ma lo ha fatto con misura, calibrandone la quantità con precisione, consapevole della difficoltà di maneggiare una pulsione antica come il mondo. Già, ma cosa s’intende per movente sentimentale: sesso, gelosia, passione, espediente, sacrificio? L’elenco è lungo, e la regina del giallo lo ha declinato nella maggior parte degli aspetti.

Così in un romanzo della tarda maturità (Endless night, Nella mia fine è il mio principio) l’idillio fra un modesto autista e una ricca ereditiera supera ogni ostacolo come nelle favole (non a caso l’archetipo è Cenerentola), ma si rivela il crudele piano di una coppia di amanti diabolici per d’impadronirsi di un consistente patrimonio.

La testimonianza di una donna fedifraga e ingrata sembra più efficace della requisitoria di un pubblico ministero per smontare l’alibi del marito, un presunto assassino, ma quella gelida sicurezza nasconde la volontà di difendere a oltranza l’unico, vero amore, in un labirinto di specchi che inganna l’occhio di lettori e spettatori e confonde i ruoli (The Witness for prosecution, Testimone d’accusa).

Quando un arido marito di mezza età perde la testa per una giovane bionda mozzafiato può accadere di tutto, anche che egli pianifichi l’uxoricidio per mezzo di una catena di velenose lettere anonime che giustifichino l’opportuno suicidio della moglie, destinataria di una missiva(The moving finger, Il terrore viene per posta).

Conseguenze fatali anche da una seduzione tardiva che per una coincidenza si rivela null’altro che un escamotage per costruire un alibi perfetto: fatali per tutti, vittima e assassino, complice e perfino testimone inconsapevole (Ordeal by innocence, Le due verità).

In senso lato, l’uxoricidio come mezzo per disfarsi di una moglie ingombrante e vivere con una donna giovane e bella, è il movente che parecchi anni dopo provoca la condanna a morte di un innocente sventata in extremis da Poirot (Mrs. McGinty’s dead, Fermate il boia).

Un insopprimibile istinto materno risvegliato da una lunga narcosi esplode violento quando una ragazza cerca di evadere da un ambiente soffocante, cedendo all’amore per un suo coetaneo (Nemesis, Miss Marple: nemesi).

Potremmo continuare a lungo, ma oggi vogliamo esplorare il punto di vista della Christie su un altro aspetto tutt’altro che secondario: l’adulterio. L’amore tradito, con tutto il corollario di tresca più o meno clandestina, gelosia e relativa vendetta.

Il triangolo di tante commedie, brillanti o drammatiche, nelle sue storie è molto spesso lui-lei-l’altra, una figura geometrica che contiene in sé un difetto strutturale di fondo, la presuntuosa certezza di garantirne la stabilità anche dopo l’eliminazione, brutale, di un lato. Presuntuosa perché la stessa collassa inesorabilmente per l’intervento del detective di turno. Un groviglio di relazioni, un impasto di passioni, una miscela di speranza e delusione, un vento improvviso e impetuoso che spazza tutto ciò che incontra sul suo cammino. Ma qui parliamo di romanzi gialli, e quindi fuor di metafora quel vento è l’omicidio.

Il classico triangolo ha considerevoli margini di ambiguità. Che l’uomo finga solamente (per qualche motivo legato alla dinamica del giallo) di assecondare la passione di un’amante più giovane, più bella o più ricca della moglie o fidanzata, o ceda alla tentazione, finisce comunque per scatenare una serie di circostanze che conducono al delitto, ma sempre in posizione subalterna, irretito e affascinato da colei che ha deciso di conquistarlo incurante delle conseguenze.

Un uomo oggetto del desiderio, conteso da due donne: si tratta di una situazione frequente, in fondo, nella società attuale come in quella conservatrice dell’epoca della scrittrice, nulla di strano o sconveniente se ella la piega alle sue esigenze di giallista. Ovvero con la consueta e riconosciuta abilità e un certo distacco professionale. Proprio così?

Si è creduto di riconoscere in alcuni personaggi certe caratteristiche della Christie: per esempio, un suo divertente e divertito alter ego letterario, quella Ariadne Oliver, che deve la sua fortuna di autrice di mystery a un ascetico investigatore finlandese che peraltro detesta. O l’infermiera (Amy Leatheran), testimone oculare e io narrante di un romanzo (Murder in Mesopotamia (Non c’è più scampo, dove il triangolo è lui-ancora lui-lei, sorprendentemente), che probabilmente deve alcune delle sue innegabili competenze professionali all’esperienza vissuta dalla Christie in un dispensario d’ospedale durante la Grande Guerra. L’elenco potrebbe continuare, ma sono sempre aspetti esteriori, vezzi, esperienze pubblicamente note, che ben poco rivelano delle reali pulsioni di questa scrittrice la cui popolarità è direttamente proporzionale a una tenace riservatezza.

La discrezione, il rispetto della privacy, la diffidenza per le interviste e i giornalisti, la timidezza di questa donna nata nell’epoca vittoriana sono proverbiali, ma si tratta davvero ed esclusivamente del condizionamento di un’adolescenza trascorsa in un ambiente sociale conservatore, o c’è dell’altro? Per esempio, qualcosa di misterioso, un segreto intimo e sconvolgente custodito per oltre cinquant’anni? Certo è solo una congettura, ma forse in questo enigma inconfessabile si nasconde la radice di alcuni moventi d’amore nei gialli di Agatha Christie.

Ai primi di dicembre del 1926 la scrittrice, all’epoca trentaseienne, ha appena raggiunto la fama con un romanzo considerato uno dei suoi capolavori (The murder of Roger Ackroyd, L’assassinio di Roger Ackroyd), è madre felice di Rosalind, e moglie del colonnello Archie Christie, un valoroso pilota della Grande Guerra che non ha ancora trovato un’occupazione gratificante nel difficile periodo post-bellico.

Il 3 dicembre 1926 Agatha Christie scompare all’improvviso dalla sua tenuta nella contea meridionale del Surrey, che lei stessa ha ribattezzato Styles (come la località in cui è ambientato il suo primo romanzo, in cui esordisce Hercule Poirot). Nottetempo si aggira senza meta per la campagna buia a bordo della sua auto, infine l’accosta al ciglio della strada e svanisce, letteralmente. Nel tardo pomeriggio del giorno seguente un’altra donna giunge alla stazione termale di Harrogate, nello Yorkshire, nel nord est dell’Inghilterra. Lì prende alloggio in albergo, registrandosi come Teresa Neele, proveniente dalla sudafricana Città del Capo.

Intanto nel Surrey la polizia conduce ricerche febbrili ma confuse. Giornali, riviste e tabloid alimentano la curiosità morbosa dell’opinione pubblica sguinzagliando giornalisti, reporter e fotografi, alla ricerca di immagini e notizie, non sempre attendibili, da pubblicare prima dei rivali.

Pare che solo due persone assistano impassibili alla spasmodica caccia che appassiona il Regno Unito: la signora Neele, a Harrogate, e il marito della Christie, Archie, che nega dissapori con Agatha e confida in un suo prossimo ritorno. La stampa si affretta subito dopo a precisare che fra i domestici di Styles si mormora il contrario. Così la polizia comincia a sospettare che egli sia coinvolto nella vicenda, soprattutto quando si scopre che coltiva quella che un tempo si chiamava con pudore e ipocrisia un’affettuosa amicizia con la sua segretaria, che si chiama Nancy… Neele.

Gli investigatori del Surrey ricevono una segnalazione che fra le tante sembra attendibile e partono per il nord.

Martedì 14 dicembre 1926: Teresa Neele sembra indifferente alla concitazione nella hall. Scende nel salotto e incrocia senza batter ciglio lo sguardo di un uomo, il colonnello Archie Christie. Questi fissa mrs. Teresa Neele, poi la riconosce senza esitazione: è sua moglie, è Agatha, la scrittrice di mystery più famosa d’Inghilterra. La ricerca è finita: la donna scomparsa nel Surrey è ricomparsa nello Yorkshire. Ma l’enigma non è risolto.

Spiegazione ufficiale e immediata: ha sofferto di una perdita di memoria, provocata dal trauma dell’incidente automobilistico. Caso chiuso. La presunta smemorata di Harrogate e il marito cenano assieme, al ristorante dell’albergo, poi salgono a dormire. In camere separate. Qualche mese dopo avvieranno le pratiche di divorzio. Qui finisce la cronaca degli 11 giorni della sparizione di Agatha Christie e comincia il vero mistero. Che cosa è accaduto davvero alla donna di Styles?

Non si saprà mai, lei stessa accenna evasivamente alla fine del suo primo matrimonio nella pur monumentale autobiografia e glissa sulla scomparsa, rimarcando solo che l’avversione per l’invadenza della stampa e dell’opinione pubblica nacque in quel periodo.

Da allora si sono accavallate le ipotesi più stravaganti e fantasiose, confermate e smentite puntualmente dal comportamento contraddittorio della Christie. Che si può spiegare solo così: a scappare, a fuggire nascosta dietro il cognome dell’amante che le stava rubando il marito, non era la più grande autrice della storia del giallo ma solo una donna innamorata che cercava di riconquistare il suo uomo, stimolandone senza successo i sensi di colpa, per ridurre una passione travolgente a infatuazione passeggera.

Una sofferenza, uno strappo, “una cruda afflizione bravamente sopportata” (A murder is announced, Un delitto avrà luogo), una mutilazione affettiva, un trauma subìto (certificato anche dalla compiacente diagnosi dei medici, come una provvidenziale amnesia da stress), forse non razionalizzato del tutto, un’ossessione addormentata ma non rimossa (come quello sleeping murder su cui indagherà miss Marple nel suo commiato dai lettori), confinata in un posto freddo in fondo al cuore, così buio e profondo che fa paura solo immaginarlo.

In Death on the Nile (Poirot sul Nilo), la ricca e bella ereditiera Linnet Ridgeway, che ha soffiato il fidanzato all’(ex)amica Jacqueline de Bellefort, si giustifica così:

“-Capisco perfettamente dove vuole arrivare, signor Poirot- disse Linnet con gli occhi scintillanti di collera. –Per dirla in parole povere, lei pensa che io ho rubato il fidanzato alla mia amica. Considerando le cose dal punto di vista sentimentale… l’unico dal quale possano vederle quelli della sua generazione… può anche esser vero. Non nego che Jaqueline amasse appassionatamente Simon… ma per lui la cosa era diversa. Credo che anche prima di conoscere me, avesse cominciato a capire di essersi sbagliato… Consideri le cose logicamente, signor Poirot! Simon si è accorto di amare me, e non Jaqueline: che doveva fare? Mantenere eroicamente il suo impegno morale, e fare infelici tre persone? Perché non credo che sposando Jaqueline controvoglia, l’avrebbe resa felice. Molto meglio riconoscere schiettamente l’errore, prima che fosse troppo tardi. Ammetto che per Jaqueline sia stato un gran colpo, e mi dispiace. Ma era inevitabile.”

In Sad Cypress (La parola alla difesa), la giovane Elinor Carlisle vede le nozze con l’amato Roderick andare in fumo per l’apparizione di una ragazza bionda, Mary, che fa perdere la testa al promesso sposo. Quali pensieri possono passare per il capo di una donna umiliata e abbandonata?

“Cosa ne sapeva Roddy di Mary Gerrard? Niente… meno di niente! Era veramente innamorato di lei… della vera Mary? Non si poteva affatto escludere che lei possedesse vere e ammirevoli doti ma… cosa ne sapeva, tutto sommato, Roddy? Sempre la solita vecchia storia… l’eterno vecchio scherzo della Natura!

Non era stato lo stesso Roddy a dichiarare che si trattava di un “incantesimo”?

Non era stato lo stesso Roddy a dire… ma sul serio… che il suo desiderio era di liberarsene? Se Mary Gerrard… sì, se per esempio, Mary Gerrard fosse morta, Roddy non avrebbe ammesso un giorno: “È stato meglio così. Adesso lo capisco. Non avevamo niente in comune…”

E forse avrebbe aggiunto con voce dolce e malinconica: “Era una creatura incantevole”.

Che continuasse a essere così per lui… sì… un ricordo stupendo… una creatura bella e gioiosa, che doveva rimanere tale per sempre.

Se fosse capitato qualcosa a Mary Gerrard, Roddy sarebbe tornato da lei… Elinor. Di questo era assolutamente sicura!

Se fosse capitato qualcosa a Mary Gerrard…”

Qui però l’amore è un falso movente, che abbaglia il lettore e confonde la prospettiva, come in Evil under the sun (Corpi al sole), un comodo paravento per celare l’interesse più concreto.

Questo brano del dialogo fra Poirot e la non più giovane ma sempre affascinante Elsie Greer, tratto da Five Little Pigs (Il ritratto di Elsa Greer) la dice lunga sul punto di vista della scrittrice a proposito della spregiudicatezza di un’amante:

    “-Voi non capite e non compatite la gelosia?

– No, non credo. Se una cosa è perduta, è perduta. Se non si riesce a tenere il proprio marito, si deve lasciarlo andare. Non capisco questo istinto di proprietà esclusiva.

– L’avreste potuto capire se lo aveste sposato.

-Non credo. Noi non eravamo… Vorrei che voi foste convinto di una cosa: non dovete pensare che Amyas Crale abbia sedotto un’innocente fanciulla. No, niente di tutto questo. Dei due, io ero la responsabile. Lo incontrai a una riunione, e subito fui attratta da lui… e seppi che lo avrei avuto…”

Secondo la logica di Poirot, questi tre indizi dovrebbero provare che la Christie aveva razionalizzato a fatica il proprio divorzio, e consciamente o meno proiettava nelle trame elaborate il suo punto di vista sulle persone coinvolte: una moglie ingannata (e forse con qualche responsabilità nella propria algida distrazione), un marito indebolito da una certa insoddisfazione coniugale o professionale che si lascia sopraffare dalla passione, un’amante spregiudicata e determinata a conquistare chi appartiene a un’altra.

Proviamo a precisare i ruoli dei personaggi: una moglie di successo, tanto da risultare ingombrante per un valoroso reduce che nel dopoguerra accumula frustrazioni, una giovane innamorata di quest’ultimo, di una personalità che è lecito immaginare assai meno spiccata della rivale, e quindi meno impegnativa.

Enfin, mes amis, non siete d’accordo? Come in Murder on the Orient-Express (Assassinio sull’Orient-Express) l’enigma può avere due spiegazioni, ambedue attendibili. E in questi casi si sceglie sempre quella più comoda.

Che tutte queste siano solo congetture, nulla impedisce di trarre una morale dalle opere citate: abbandonare la legittima consorte per un’altra donna è una scelta quantomeno sconsiderata. Come nulla impedisce di sospettare che la radice di una “cruda afflizione bravamente sopportata” affondi nel buio di quegli undici giorni lontana da casa nel freddo inverno del 1926.

1926: il romanzo The chinese parrott (Il pappagallo cinese) consacra la fama di un altro detective letterario che ha esordito l’anno precedente, importante come Poirot e miss Marple, anzi per certi versi fondamentale, come tutti coloro che nella propria vita, reale o letteraria, dividono la storia in un prima e un dopo.

Fino a quel momento infatti ogni personaggio orientale, meglio ancora se cinese, come il diabolico Fu Manchu creato da Sax Rohmer, era sinonimo di inganno, perfidia e sottile crudeltà. Fin quando lo scrittore americano Earl Derr Biggers decise di ribaltare i canoni consolidati, e non di rado venati da un latente razzismo, creando un cinese, anche se naturalizzato statunitense, al servizio della legge e dell’ordine: Charlie Chan.

Nato in Cina, Charlie si trasferisce adolescente a Honolulu, nelle Hawaii, dove entrerà nella polizia locale per diventare ben presto sergente investigativo. In seguito, sbrogliando i complicati casi scritti dal suo creatore, Chan farà carriera fino a diventare ispettore. E qui la sua parabola si ferma, perché dopo sei romanzi, pubblicati fra il 1925 e il 1932, al ritmo di quasi uno l’anno, Earl Derr Biggers scompare prematuramente per una crisi cardiaca.

O per meglio dire, la carriera di Charlie Chan prosegue diversamente, perché il cinema continuerà a sfornare per anni nuove avventure dell’investigatore venuto dalle isole più esotiche dell’immaginario collettivo, anche se i soggetti apocrifi si scostavano sempre più da quelli originali dell’autore.

Nel primo dei quali, The house without a key (La casa senza chiave), Charlie scopre l’assassino di un facoltoso imprenditore di Honolulu, cinica “pecora nera” di un’eminente famiglia bostoniana.

In seguito, l’investigatore si trasferisce per un breve periodo sulla costa occidentale degli Stati Uniti, per risolvere i misteri creati da Biggers con abilità degna del miglior giallo classico: il già citato The chinese parrott, dove Charlie indaga in un ranch nel deserto della California sotto le mentite spoglie di un cuoco.

Poi Behind that curtain (La donna inesistente, conosciuto anche con il titolo Sangue sul grattacielo), in cui Chan collega da par suo l’omicidio di un alto funzionario di Scotland Yard in pensione, avvenuto in un attico di San Francisco, con l’assassinio di un avvocato londinese e la scomparsa di una giovane sposa inglese nell’aspro territorio di confine fra Pakistan e Afghanistan, allora colonia britannica, lontani nel tempo e nello spazio.

Tornato finalmente nella sua Honolulu, Charlie Chan dovrà affrontare in Black camel (Il cammello nero) una delle sue inchieste più difficili, e di conseguenza più appassionanti per noi lettori, che esamineremo in dettaglio perché esemplare per l’argomento che trattiamo oggi.

Nel romanzo seguente, Charlie Chan carries on (Una tragica promessa), Charlie collabora con un’istituzione prestigiosa come Scotland Yard per smascherare un intraprendente omicida che ha preso di mira un gruppo di turisti impegnato nientemeno che in un… giro del mondo!

Nella sua ultima avventura, Keeper of the keys (Il canto del cigno, pubblicato anche come Il custode delle chiavi), Chan torna sul continente e si trova alle prese con l’omicidio di una famosa cantante lirica, avvenuto in uno chalet, nell’ incantevole cornice di una località montana del Nevada.

Nelle opere di Earl Derr Biggers, modernissime come impianto, introspezione psicologica dei personaggi e descrizione degli ambienti, il protagonista deve affrontare spesso il pregiudizio, se non l’antipatia, di chi, anche nella polizia, diffida dell’uomo di colore. Un rapporto che presenta una singolare e significativa simmetria con quello del tenente Colombo con i suoi indagati: tutti commettono l’errore di sottovalutare l’investigatore, ingannati dal proprio orgoglio e dall’altrui aspetto dimesso, o per meglio dire modesto ma non per questo sottomesso.

Earl Derr Biggers è autore dai canoni consolidati e mai convenzionali, declinati con stile e misura. Ogni suo giallo è un piccolo capolavoro del mystery classico, un whodunit squisito e inesorabile, l’ennesima dimostrazione di come ogni indizio, ogni dettaglio e ogni prova che l’investigatore scopre sia alla portata del lettore, che però in genere non ha la finezza e l’intuito del detective venuto da una terra lontana impregnata di grande saggezza per sbrogliare i delitti dei “diavoli bianchi”.

Autore ironico e distaccato, prolifico e intelligente, Earl Derr Biggers non è immune da un sobrio e misurato romanticismo, visto che a ogni inchiesta scorre parallela una storia d’amore fra due personaggi, non di rado un giovane più bello che intelligente, e comunque spavaldo e di buoni sentimenti (un po’ come l’America vista dagli stessi americani?) e una donna emancipata e di forte personalità. Un abbinamento inedito per l’epoca, e anche in questo lo scrittore si dimostra in anticipo sui tempi rispetto a molti suoi colleghi.

    Esemplare è soprattutto l’irresistibile trasformazione dell’azzimato John Quincy Winterslip, uno dei miglior prodotti della buona società bostoniana, che nel romanzo La casa senza chiave, contagiato dall’atmosfera languida e romantica di Honolulu s’innamora di una bellezza tropicale, cui strappa la promessa di matrimonio fra le onde che s’infrangono sulla spiaggia di Waikiki.

Le stesse onde che anni dopo fissa turbata Shelah Fane, attrice di rara bellezza in crisi personale e artistica, e catalizzatrice di passioni infauste, quando sbarca a Honolulu, dove verrà allestito il set del film che dovrebbe restituirle la fama. Ma il copione studiato dal destino (e da Biggers nel romanzo Charlie Chan e il cammello nero) è diverso: sullo sfondo di spiagge dalla sabbia chiarissima e di un oceano sconfinato, dove soffiano gli alisei e sui piroscafi i turisti attendono di sbarcare fra aloha e ghirlande di fiori, si muove un assassino rapido e intelligente, un avversario temibilissimo per l’imperturbabile detective dagli occhi a mandorla e il linguaggio forbito e dignitoso al tempo stesso.

Un indagine difficile, perché il movente dell’omicidio sembra affondare le proprie radici in un altro delitto, quello commesso anni prima a Los Angeles, quando il famoso attore Denny Mayo era stato trovato morto nella propria abitazione.

Un vecchio adagio, citato da Chan, sostiene che “La morte è un cammello nero che si inginocchia, non invitato, davanti a ogni porta” e mai come in questa inchiesta serviranno pazienza orientale, acume e un’intelligenza raffinata, al servizio di una logica pacata che non esclude fulminanti intuizioni, per raccogliere quegli indizi apparentemente insignificanti capaci di inchiodare l’assassino.

Una storia esemplare, dove l’amore che diventa il motore della vicenda spinge al centro del palcoscenico solo personaggi femminili, relegando accanto al sipario figure maschile incapaci di frenarne le pulsioni più elementari. Come Alan Jaynes, il milionario che reclama inutilmente la mano di Shelah Fane, il cui primo marito Bob Fyfe ne è ancora così perdutamente innamorato da mentire per difenderne la memoria, o l’indovino Tarneverro (ispirato a figure molto popolari nell’ambiente hollywoodiano dell’epoca) che gioca una partita difficile, in precario e rischioso equilibrio fra le imprevedibili reazioni di due donne innamorate dello stesso uomo.

Qui dunque il triangolo è ancora lei-lui-l’altra e lui, l’attore Denny Mayo, diventa irraggiungibile oggetto del desiderio per ambedue, perché nel frattempo freddato nella sua abitazione all’apice del successo nella Mecca del cinema, sorta di successore nel mito infranto (da poco) di Rudy Valentino e predecessore di James Dean. Solo che qui siamo in un romanzo giallo e non si muore per una peritonite mal diagnosticata o per un incidente stradale ma per un colpo di pistola. Anche il movente dell’assassinio di Denny Mayo è l’amore, inevitabilmente, quello più profondo e consapevole, che lo spinge a scegliere la strada più difficile, che come spesso accade è anche quella più giusta, finendo per rimetterci la vita.

La versione cinematografica fu realizzata nello stesso anno di pubblicazione del romanzo, il 1931. In questa e in parecchie altre pellicole il detective di Honolulu è interpretato da Warner Oland, attore di origine svedese naturalizzato americano, che tuttavia aveva decisamente il physique-du-rôle del pacioso e corpulento Charlie (e indossò anche la tunica di Fu Manchu, quasi a raccogliere in sé i due aspetti opposti della raffinatezza orientale). Ma il personaggio che emerge prepotente dalle pagine del libro per rubare la scena al protagonista sullo schermo è l’indovino Tarneverro, magistralmente impersonato dal grande attore Bela Lugosi.

Sebbene le opere di Biggers siano state pubblicate più volte in Italia, l’immagine letteraria di Charlie Chan ha finito per confondersi con quella sovente macchiettistica del suo alter ego cinematografico. Un destino inevitabile, se oggi la memoria è affidata alla consistenza virtuale (e già questa è una contraddizione) di uno strumento controverso come Internet.

Così il profilo del detective di Honolulu sembra apparire su una fotografia d’altri tempi, in bianco e nero, magari con i bordi dentellati, sbiadita e confusa dal trascorrere dei decenni. Oppure in una dissolvenza, quell’effetto delle pellicole d’epoca, dove l’immagine sfuma sempre più fino a scomparire, spesso accompagnata da un commento musicale malinconico e struggente.

In fondo non ci sarebbe da stupirsi se fosse questo il destino del pingue poliziotto venuto da una terra dalla saggezza millenaria. Chi indaga seguendo i precetti della filosofia orientale, trova la radice della felicità in un numeroso focolare domestico, in una scodella di riso e un cuscino su cui posare il capo, e quella dell’infelicità nell’ansia che divora l’anima dell’uomo bianco, appare superato a un pubblico ormai assuefatto a personaggi del tutto diversi. Egoisti, spavaldi, violenti, presuntuosi e sbrigativi, oppure introversi, perennemente insoddisfatti, tormentati da un subdolo malessere esistenziale che impedisce le gioie più semplici.

Sì, forse è inevitabile che Charlie Chan, serafico, paziente, cortese e infallibile investigatore appaia così distante da appartenere a un’epoca irripetibile del mystery in cui la leggenda finisce per sconfinare nel mito. Ma sarebbe un oblio ingiusto, che gli verrà risparmiato finché esisterà una platea di lettori affezionati allo stile demodé di chi risolve un enigma seduto in poltrona, immerso nelle proprie riflessioni, raccogliendo e disponendo con pazienza indizi, frammenti di frasi, gesti accennati e sguardi fugaci per comporre un mosaico cinese. E svela all’ultimo capitolo perché il cammello nero si sia inginocchiato proprio sulla soglia della stanza della grande attrice Shelah Fane.

Possiamo concludere questa indagine sul movente sentimentale in Agatha Christie e Earl Derr Biggers con la consapevolezza forse futile ma certo rassicurante che le celluline grigie di Poirot, la conoscenza della natura umana di miss Marple e la saggezza orientale di Charlie Chan sarebbero giunti alla medesima conclusione: cioè che si ama, e a volte non si può fare a meno di amare, anche coloro che ci fanno soffrire, proprio quelli per cui saremmo disposti a tutto, anche a sognare di eliminare un rivale.

Sognare, appunto: senza arrivare al delitto vero però, come in quei romanzi di Agatha Christie e Earl Derr Biggers, che appartengono all’epoca d’oro del giallo, quella che per chi vi ha appena parlato ne rappresenta tuttora il periodo migliore.

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Sara

Sara. Il prezzo della verità. Le vendicatrici Einaudi Stile libero Big, 2013

di Massimo Carlotto, Marco Videtta

sara

Quarto e ultimo volume della quadrilogia dedicata a quattro figure di donne, “Le vendicatrici”. Sara tra le quattro protagoniste, nei romanzi precedenti è la più misteriosa. Ne “Il prezzo della verità è la protagonista assoluta, le altre donne non sono presenti neanche come comparse. E’ un’immersione nella malavita romana, nell’ambiente dei palazzinari senza scrupoli di nessun genere, nelle deviazioni sessuali di certi “capitani d’industria”. La vicenda parte dall’attualità per risalire a ben diciotto anni prima, quando un trauma vissuto da bambina ha cambiato la personalità di Sara, forse per sempre.

Gli autori ci svelano quale sia il dramma: una banda di sequestratori hanno rapito il padre di Sara, del quale, nonostante il pagamento del riscatto, non si è saputo più nulla.

Sara ha fatto parte dei NOCS e conosce le modalità operative della malavita e ha i mezzi per contrastarla. Così, grazie all’aiuto di un amico-amante, è facile agganciare la banda dei sequestratori e mettersi sulla pista della mente del sequestro. Conoscere la verità sulla fine di sua padre, perseguita a qualsiasi costo, la getterà in una crisi profonda, forse irreversibile.

Non si può aggiungere altro se non che la soluzione della vicenda, così come ce la prospettano gli autori, ha molto di artificioso, di “trovata” da feuilleton. Si tratta di uno stratagemma che avrebbe fatto cestinare senza rimedio il romanzo di un esordiente.

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A proposito del festival del giallo 2014: Intervista a Giuseppe Previti

Intervista a Giuseppe Previti, presidente dell’Associazione Giallo Pistoia in occasione della quarta edizione del festival del giallo di Pistoia.

a cura della redazione di Thriller Magazine

otello uccide desdemona

Alla fine di gennaio partirà la quarta edizione del festival del giallo di Pistoia: una tre giorni di incontri con scrittori, giornalisti, esperti. Il titolo del Festival 2014 è insolito. “Gocce scarlatte sul giallo- Storie di passioni, tradimenti, delitti, amori maledetti”. Tema, quello dell’eros, molto diffuso nella letteratura di tutti i tempi ma meno declinato in quella poliziesca, soprattutto nel giallo classico.

Quali sono stati i motivi di questa scelta?

Dopo aver affrontato temi quali il giallo classico, la mafia e il terrorismo, il rapporto fra cibo e giallo, la quarta edizione conferma nella scelta del titolo la volontà di sviscerare ulteriormente questa forma letteraria nei suoi rapporti con la realtà della vita.

E sicuramente la passione, l’amore, l’eros hanno spesso un ruolo attivo nell’accadimento dei fatti criminosi.

Tutto sommato la letteratura gialla se ne è sempre occupata e ai nostri relatori il compito di dimostrare in quale forma.

Puoi spiegare più nel dettaglio come verrà declinato l’argomento scelto per la manifestazione?

Questa quarta edizione conta sulla presenza di più di venti scrittori,di esperti giuridici, poliziotti, giornalisti, fumettisti, attori di teatro, esperti di cinema e di musica operistica.

Ad ognuno è stato affidato un tema da illustrare in base alle loro esperienze letterarie e/o professionali.

Dal programma si nota come fin dal primo giorno si parli di argomenti non strettamente attinenti al mondo della letteratura poliziesca. L’apertura è affidata a un magistrato, a seguire si parlerà di adolescenza e violenza sulle donne. Perché questi argomenti di attualità?

Certi temi non sono mai abusati e più se ne parla e meglio è. Tra i sottotitoli del festival sì parla anche di “amori maledetti ” e ci pare una definizione particolarmente adatta a passioni smodate, senza controllo, tesa soltanto alla più bieca prevaricazione di un soggetto sull’altro.

Ci è sembrato quindi giusto iniziare con argomenti di attualità, del resto la forza del giallo è proprio nel suo aggancio alla realtà.

Dunque Eros e Thanatos, ovvero passione e giallo in musica, cinema, fumetto, storia, letteratura. Nell’ambito del festival saranno premiati i vincitori del Concorso nazionale di narrativa gialla dal titolo “Biblioteche in giallo”. Puoi dirci qualcosa di questo concorso?

Il concorso, su scala nazionale, chiede ai partecipanti ad ambientare le loro storie gialle o noir in una biblioteca. Nelle passate edizioni la biblioteca che faceva da sfondo al racconto doveva essere una delle due biblioteche presenti a Pistoia, la San Giorgio e la Forteguerriana. A partire dal bando di concorso 2013, i racconti possono essere ambientati in tutte le biblioteche italiane.

Il premio per gli scrittori segnalati consiste nella pubblicazione dei loro racconti in un’antologia che verrà presentata la sera stessa della premiazione.

Il festival vede la collaborazione di enti pubblici o privati?

In questa edizione siamo particolarmente soddisfatti per la collaborazione di enti pubblici, associazioni e aziende. Ciò testimonia l’interesse della città per questa manifestazione. Del resto, l’ ambizione degli organizzatori è sempre stata quella di coinvolgere il territorio della città e della provincia.

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FESTIVAL DEL GIALLO 2014

31 GENNAIO – 1 e 2 FEBBRAIO 2014

Biblioteca San Giorgio di Pistoia

Storie di passioni,

di tradimenti, di delitti,

di amori maledetti

Biblioteca San Giorgio

Via Sandro Pertini, 51100 Pistoia

Tel. 0573-371600

[email protected]

www.sangiorgio.comune.pistoia.it

Ass. Culturale Giallo Pistoia

la fiamma del peccato

a cura di Giuseppe Previti e Cristina Bianchi

con la collaborazione di Susanna Daniele, Stefano Fiori, Maurizio Gori, Elena Orlando, Paolo Romboni, Enrico Tozzi e Elena Zucconi

Giovedi 30 Gennaio

Sala Nardi presso la sede della Provincia di Pistoia (Piazzetta S. Leone)

17,15 -18,15 ANTEPRIMA FESTIVAL

Con Elisabetta Bucciarelli

Patrizia Debicke e Margherita Oggero

 

Venerdi 31 Gennaio – Biblioteca San Giorgio

Biblioteca San Giorgio

9,30 – 9,45

Saluti dell’Assessore alla Cultura del

Comune di Pistoia, Elena Becheri.

Apertura del festival

a cura di Giuseppe Previti, Maurizio Gori.

9,45 – 10,30

Intervento sul crimine e sulla passione

a cura di Tindari Baglione, Procuratore

Generale presso la Corte d’Appello di

Firenze

10,30 – 11,15

La violenza sulle donne: passione e

crimine nella cronaca e nella letteratura

con Susanna Daniele, Ilaria Minghetti e

Cristina Privitera

11,15 – 12,00

Adolescenza e noir: parole per

raccontare e raccontarci una passione

con Elisabetta Bucciarelli

12,00 – 12,45

Le signore del giallo: tra eros e crimine

un rapporto tiepido

con Margherita Oggero e Patrizia Debicke

15,00 – 16,00

L’opera al nero: passioni, intrighi e delitti

nel mondo del melodramma

con Cristina Preti e Fabrizio Mazzoncini

16,00 – 16,45

Anche la carne di un detective è debole

con Roberto Riccardi

16,45 – 17,45

La perfezione dell’amore con Andrea

Carlo Cappi e la partecipazione di Ermione

17,45 – 18,30

Eros e Thanatos, con Stefania Valbonesi

 

Sabato 1 Febbraio – Biblioteca San Giorgio

1 febbraio Biblioteca San Giorgio

9,30 – 9,45

Introduzione

a cura di Cristina Bianchi e Stefano Fiori

9,45 – 10,30

La violenza sulle donne: dallo stalking al

femminicidio con Antonio Fusco

10,30 – 11,15

Eros in tv: storie e problemi

con Biagio Proietti

11,15 – 12,00

Il thriller coniugale

con Oscar Montani

12,00 – 12,45

Eros letale: il cinema del mito

con Maurizio Tuci

15,00 – 15,45

Antologie “hot”: 19 sfumature di

peperoncino

di e con Andrea Gamannossi

15,45 – 16,30

Enrico Luceri: amore come movente per

due grandi classici: Agatha Christie e

Earl derr Biggers, con Enrico Luceri

16,30 – 17,15

Giallo e passione tra le due guerre

con Giulio Leoni

17,15 – 18,00

Gabriele D’Annunzio, le seduzioni del

delitto, interviene Roberto Sonnini per

l’Associazione Dannunziana Pisa e

Pro Loco Litorale Pisano

18,00 – 18,45

Premiazione concorso letterario

Biblioteche in giallo” con la

partecipazione del presidente della

Sezione Toscana dell’Associazione Italiana

Biblioteche, Sandra Di Majo

 

Domenica 2 febbraio – Biblioteca San Giorgio

 

9,30 – 9,45

 

Introduzione

a cura di Elena Zucconi e Giuseppe Previti

9,45 – 10,30

Esegesi di Barbablu’, con Pietro De Caria

10,30 – 10,50

Fuori concorso: Giallisti in erba…

un’esperienza alla scuola media inferiore “Roncalli” di Pistoia, anno

scolastico 2012-2013. Intervengono Maria

Lorello, Ottavia Strufaldi e Giorgia Motta

10,50 – 11,30

I detectives noir e la loro battaglia contro

il sesso: alla scoperta del vero antagonista

dei nostri tormentati investigatori

con Sergio Calamandrei

11,30 – 12,10

Isabella De’ Medici e l’inganno della sua

morte con Federico Napoli

12,10 – 12,50

La Femme fatale nel giallo

con Alessandro Maurizi

 

APERIPRANZO A CURA DELLA CAFFETTERIA SAN GIORGIO

 

Pomeriggio tra giallo e fumetto a cura

dell’Associazione Fumetti & Cartoons con

Giovanni Ballati, Riccardo Innocenti e

Andrea Laprovitera

15,00 – 15,30

Segni swing, con Niccolò Storai

15,30 – 16,15

Ramblas Negras: tributo a Manuel Vazquez

Montalban, con Gian Luca Campagna

16,15 – 16,45

Asta di beneficenza con la partecipazione

del Centro antiviolenza Libere tutte di Montecatini

16,45 – 17,30

Eros vs Thanatos: amore e morte nel

giallo a quadretti, con Pier Luigi Gaspa

17,30 – 18,15

Antologie “hot”: toscana a luci rosse

omaggio a una antologia “preveggente”

con Riccardo Parigi e Massimo Sozzi

18,15 – 19,00

Letture da “Il postino suona sempre due

volte” a cura degli attori del Gad di Pistoia.

Sabato 1 febbraio Biblioteca San

Durante i tre giorni del Festival

sarà installato un punto vendita

a cura di alcune librerie pistoiesi.

 

Eventi collaterali:

 

SPAZIO CINEMA della biblioteca San Giorgio

a cura di Maurizio Tuci

Lunedì 13 gennaio ore 16.00

La fiamma del peccato

di Billy Wilder (1944)

Lunedì 20 gennaio ore 16.00

Viale del tramonto

di Billy Wilder (1950)

 

DURANTE IL FESTIVAL DEL GIALLO NELLA SALETTA MEDIATECA DELLA BIBLIOTECA SAN GIORGIO SARANNO PROIETTATI I SEGUENTI FILM:

 

Venerdì 31 gennaio ore 16.00

I gangster

di Robert Siodmak (1946)

 

Sabato 1 febbraio ore 16.00

Chinatown

di Roman Polanski (1974)

 

Domenica 2 febbraio ore 16.00

Brivido caldo

di Lawrence Kasdan (1981)

 

Previste cene con autore durante i tre giorni della manifestazione delle quali daremo info nei giorni precedenti il festival.

 

teca San Giorgio

Giallo Pistoia

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Blues di mezz’autunno

Santo Piazzese, Blues di mezz’autunno, Sellerio, 2013

Blues siciliano

La trilogia palermitana con protagonista il biologo Lorenzo La Marca mi aveva così divertito che ne ricordo con piacere la lettura a distanza di anni. Li ho prestati e regalati, così appena ho scoperto sugli scaffali delle librerie un nuovo romanzo dell’autore palermitano, mi sono precipitata a comprarlo, pensando che fosse una storia in cui il simpatico protagonista fa luce su un mistero.

In una paginetta in fondo al romanzo Piazzese spiega che quel romanzo breve  è l’ampliamento di un racconto scritto per un’antologia francese coordinata da Serge Quadruppani. Niente di male, naturalmente.

L’inizio non è originalissimo ma efficace: un “amarcord” di La Marca, che narra in prima persona.  In un bar, mentre aspetta tre donne che non arriveranno, incontra un conoscente dei tempi dell’università. Un dialogo pieno di battute sottilmente rancorose e di allusioni a situazioni ed episodi che i due uomini hanno vissuto con sensibilità diverse. Arriva la domanda  che forse entrambi si aspettavano: cosa ne è stato degli abitanti della Spada, un  remoto arcipelago che il giovane  La Marca frequentava mentre lavorava alla sua tesi di biologia marina?

Da lì prende le mosse un grande flashback nel quale l’Autore ci introduce alla conoscenza del mare e di personaggi singolari.

Il mistero, annunciato nel risvolto di copertina, c’è, ma arriva molto in ritardo sullo svolgimento della trama e, quel che è peggio, non viene spiegato. Le due battute in tedesco, pronunciate durante un duello verbale, non vengono tradotte nel testo, nemmeno in nota. Questo fa un po’ arrabbiare il lettore che pensa che la spiegazione della vicenda sia in quelle due frasi. Manca il chiarimento che il lettore si aspetta.

Alla fine, tutti se ne vanno e il palcoscenico rimane vuoto, lasciando lo spettatore deluso.

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