Dopo le partite truccate, i videogiochi contraffatti, gli erogatori delle pompe di benzina tarate male, è la volta delle false recensioni. Da un articolo apparso ieri, 4 settembre, su Repubblica, a firma di Enrico Franceschini, apprendo che la scrittore di noir R.J. Ellory scriveva entusiastiche recensioni dei suoi romanzi su Amazon, naturalmente coperto da nickname. Non gli bastava l’autopromozione, scriveva con altri pseudonimi stroncature ai romanzi dei concorrenti. Scoperto, chissà come, (mi piacerebbe tanto saperlo) si è pubblicamente scusato, anche se penso che, una volta esaurito il polverone sollevato dalla scoperta, studierà un altro sistema di “promozione”.
Un altro giallista britannico, Leather, scoperto a creare rumore, dibattito in rete intorno alle sue opere si è difeso con l’argomentazione più vecchia del mondo: Lo fanno tutti, quindi sono legittimato a farlo anch’io. E’ un nuovo sistema di marketing.
In Usa alcuni autori commissionano a prezzolati critici letterari delle recensioni, positive, Ça va sans dire.
Questo avviene in Gran Bretagna, ma non è escluso che anche in Italia fenomeni di questo tipo esistano.
Mi chiedo: se il mercato della promozione dei libri è così drogato, come fare per disintossicarlo almeno un po’? Come faranno gli aspiranti lettori a scegliere in libreria o in rete?
Franceschini suggerisce il ritorno alla vecchia figura del critico letterario.
Concludo con una mia riflessione. In un’era in cui la comunicazione e la trasmissione di notizie avviene per la quasi totalità in Web, che ruolo può avere il critico letterario, anche se tiene la schiena dritta e resiste alle pressioni di autori ed editori? La riflessione è aperta.