Ha ragione Nicola Verde quando definisce il suo ultimo romanzo “La sconosciuta del lago” un noir. La trama prende le mosse da un fatto di cronaca nera degli anni ‘50 (il corpo di una ragazza fu trovato decapitato dalle parti di Castelgandolfo) per poi procedere all’operazione che più interessa all’autore: definire la psicologia di tutti i personaggi fino a scavare nel profondo di ognuno per arrivare a metterne a nudo la parte più nera e atroce. Il romanzo ha il pregio, come i precedenti della trilogia sarda, di raccontare una società in un certo periodo storico. Si intuisce il gran lavoro di documentazione dietro la ricostruzione di luoghi e stili di vita.
Nicola Verde ambienta “La sconosciuta del lago” in una Roma del dopoguerra, piena di miseria morale e materiale ma caratterizzata anche da una gran voglia di riscatto. La città eterna rappresenta un miraggio per gli immigrati dal sud in cerca di fortuna e per le ragazze che inseguono i sogni d’amore e di successo, ben rappresentati dalle canzonette, dai fotoromanzi e da Cinecittà.
Il crimine troverà la sua soluzione nella zona più oscura dell’animo umano di più di un personaggio. Nessuno è esente da colpe, sembra dire Nicola Verde, tutti hanno qualcosa da nascondere a se stessi e agli altri.
Molto interessante è la struttura: un racconto a più voci, compresa quella della vittima che ricostruisce la propria vita di ragazza di borgata. Ognuno racconta la sua parte di verità, aggiungendo elementi al racconto della “voce” che lo precede in una sorta di puzzle che alla fine viene completato, e non è bello da vedere.
Sicuramente non ascriverei Nicola Verde al gruppo nutrito dei giallisti napoletani, come ha sostenuto un giornalista de Il Mattino di Napoli. Lo ius soli non basta; Verde non ha mai ambientato i suoi romanzi o racconti a Napoli, con una sola eccezione, che io sappia, il racconto con cui ha vinto il premio Lama e Trama.
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