E’ difficile quantificare i profitti ricavati dalla Deutsche Bank grazie alla campagna di persecuzione degli ebrei: una valutazione fatta da alcuni storici li ritiene attorno al 14 per cento dei profitti annui della banca, almeno nel periodo 1938-1945. La percentuale però appare sottostimata perché durante la guerra i bilanci dell’istituto venivano falsificati per far figurare perdite maggiori di quelle reali, in modo da pagare meno tasse all’esosissimo Stato nazista ed eventualmente poter richiedere finanziamenti pubblici.
Sappiamo con certezza che nel 1940 il patrimonio della Deutsche Bank venne certificato dall’agenzia Moody’s in 4 miliardi di Reichmarks, mentre nel maggio del 1945 i dirigenti dell’istituto, in vista dell’arrivo dell’Armata Rossa, riuscirono a evacuare in fretta e furia dai forzieri della sede berlinese 7 miliardi di Reichmarks, trasferendoli nella zona di occupazione britannica. A questa somma di denaro va aggiunto un altro miliardo e mezzo di beni custoditi nelle filiali della parte occidentale della Germania, per un totale di 8,4 miliardi. E’ arduo tradurre queste cifre in Euro perché i dati degli anni di guerra sono poco affidabili, in particolare quelli del biennio 1944-45, visto che imperversava il mercato nero. L’Ufficio Federale di Statistica indica in 3,70 il fattore di conversione Reichsmark – Euro per il 1940 e in 3,30 per il 1944: otteniamo così la somma di 14,8 miliardi di Euro per il 1940 e di 27,7 miliardi di Euro per il 1945, con un incremento di capitale di quasi 13 miliardi nel giro di cinque anni, nonostante il fatto che il mercato del credito al consumo fosse letteralmente crollato e che la Germania fosse ridotta a un cumulo di macerie.
Secondo lo storico Raul Hillberg, il totale dei beni mobili e immobili posseduti da ebrei nella sola Germania nel 1933 ammontava a una cifra oscillante tra i 10 e i 12 miliardi di Reichmarks. Al cambio attuale fanno una cifra che oscilla tra i 40 e i 48 miliardi di Euro: è difficile dire quale porzione di questa somma sia stata incamerata dalla Deutsche Bank, che si trovava in competizione sia con la Dresdner Bank che con lo Stato nazista, ma è indubbio che l’istituto berlinese riuscì a sopravvivere al crollo del commercio internazionale solo grazie alla politica di “arianizzazione” promossa dal Terzo Reich.
Subito dopo la guerra il governo di occupazione americano promosse un’inchiesta per fare luce sulle complicità degli ambienti bancari con il nazismo: la Divisione Finanza del Governo Militare (OMGUS) produsse un report di oltre 10.000 pagine, realizzato utilizzando le corrispondenze originali e i registri delle operazioni svolte dagli istituti di credito sotto il regime nazista. Il report dell’OMGUS documentò che le grandi compagnie parteciparono alla campagna di discriminazione e di persecuzione degli ebrei non solo per incrementare il proprio patrimonio, ma anche per mantenere il primato nel proprio particolare settore d’affari, industriale o finanziario che fosse.
Sempre secondo il rapporto, gli uomini di punta delle due maggiori banche, Hermann Abs per la Deutsche Bank e Carl Goetz per la Dresdner, aiutarono le SS a trasferire in Svizzera centinaia di lingotti d’oro ottenuti fondendo i denti strappati agli ebrei morti nei campi di concentramento; finanziarono con appositi mutui la costruzione dei campi di sterminio, compreso quello di Auschwitz, e passarono informazioni alla Gestapo su eventuali oppositori al regime.
Gli investigatori dell’OMGUS concludevano la loro analisi raccomandando che i due istituti venissero smembrati e venduti a pezzi, e che i loro dirigenti fossero processati e incriminati per crimini contro l’umanità. Ma buona parte del governo americano, in particolare gli esponenti legati al Dipartimento di Stato e alla Cia, supportati dal Foreign Office britannico, era convinta che occorresse mettere le industrie tedesche in grado di riprendere al più presto la produzione economica. Gli Stati Uniti, infatti, non erano in grado di sobbarcarsi il peso del mantenimento di un intero continente devastato dalla guerra e inoltre il nemico principale, ora che il conflitto era terminato, era diventata l’Unione Sovietica e il comunismo in generale.
Di conseguenza la posizione degli esponenti più intransigenti verso i criminali di guerra nazisti, come il ministro del Tesoro Henry Morgenthau, rimase isolata e il rapporto dell’OMGUS scivolò presto nell’oblio assieme alla questione dello sfruttamento della manodopera forzata e al contrabbando dei lingotti d’oro.
I russi, dopo avere chiuso tutte le banche private nella parte orientale di Berlino, chiesero inutilmente ad americani e inglesi di fare altrettanto nella parte occidentale: Hermann Abs fu liberato dal carcere nel quale era stato rinchiuso dopo soli pochi mesi e l’unica condanna che subì, a dieci anni di prigione, fu da parte della Jugoslavia, che lo processò per il ruolo avuto nella direzione della filiale di Zagabria della Creditanstalt dal 1942 al 1945, periodo durante il quale Abs si attivò per riciclare i beni delle vittime delle stragi degli Ustascia croati.
Fu così che, nel 1949, subito dopo la fine del blocco sovietico sulla città, la Deutsche Bank riprese l’attività creditizia arrivando in pochi mesi ad avere 1.200 impiegati, contro i poco più dei duecento dell’immediato dopoguerra. Anche il proposito di dividere la banca in tre grandi tronconi, pur se attuato all’inizio del 1947, si rivelò nient’altro che una misura temporanea poiché il 100% del capitale azionario rimase nelle mani dei dirigenti della sede di Amburgo, che nel 1957 riuscirono a ricomporre i tre pezzi in un unico istituto ponendo a direttore proprio Hermann Abs, il responsabile del finanziamento del campo di Auschwitz-Birkenau e degli impianti ad esso adiacenti.
Un disegno di legge eliminò i vincoli territoriali voluti da Henry Morgenthau agli investimenti della banca e subito dopo la riunificazione, nel marzo 1957, venne siglato il Trattato di Roma che dava inizio al processo di unificazione europea. Così la Deutsche Bank poté ampliare il suo raggio d’azione all’intera Europa occidentale, come già avvenuto durante la guerra peraltro, anche se con mezzi molto diversi.
A ciò si aggiunga il fatto che le vittime delle persecuzioni raramente si fecero avanti per ottenere dei risarcimenti, sia perché spesso le famiglie erano state interamente sterminate e quindi non c’era più nessuno in grado di promuovere un’azione legale, sia perché per i sopravvissuti intentare causa ai loro ex-carnefici significava comunque rivivere momenti di grande dolore e di grande sofferenza. Solo alla fine degli anni novanta le industrie tedesche si sono assunte la responsabilità morale e storica di ciò che era accaduto e hanno creato un fondo di circa 5 miliardi di dollari per risarcire le vittime dell’Olocausto. Le 3.527 aziende che hanno aderito al fondo, però, hanno messo in chiaro che non si tratta di una confessione di colpa, ma piuttosto di un simbolo di “riconciliazione”. Pertanto il fondo ha uno scopo puramente “caritatevole”, anche perché la cifra messa a disposizione è immensamente inferiore a quanto guadagnato dalle stesse aziende con gli investimenti realizzati nei quarant’anni successivi alla fine del Nazismo.
In questo modo le compagnie tedesche e le loro affiliate straniere si sono assicurate la protezione contro eventuali cause legali e la certezza di potersi muovere sui mercati internazionali in condizione stabilmente “sicure”.
Ma la vicenda più incredibile avvenne proprio nell’immediato dopoguerra: il governo americano decise di nominare Hermann Abs responsabile della gestione degli aiuti del piano Marshall in Germania. Sembra folle ma è veramente così: il banchiere che autorizzò il mutuo per la costruzione del campo di Auschwitz fu messo a capo della ricostruzione economica del paese, anche grazie alle pressioni esercitate dagli ambienti finanziari britannici che avevano fretta di rendere nuovamente efficiente il sistema economico tedesco per recuperare i crediti fatti negli anni tra le due guerre. Anche per questo motivo le pene comminate ai dirigenti delle industrie che collaborarono con il nazismo furono quasi tutte irrisorie e gli stessi dirigenti furono reintegrati ai loro posti di comando dopo avere scontato pochi anni di detenzione. La scelta di Abs come coordinatore degli aiuti del piano Marshall fu dettata proprio dalla rete di conoscenze di cui disponeva: visto il suo passato, egli era considerato la persona più indicata per far ripartire al più presto l’economia e respingere le pressioni dei militanti comunisti e socialisti che si stavano riorganizzando sui luoghi di lavoro e chiedevano con insistenza l’allontanamento dei manager compromessi con il nazismo.
Il generale Lucius Clay, Governatore militare americano in Germania, voleva addirittura nominare Abs Ministro delle Finanze, ma dovette desistere perché l’opinione pubblica negli Stati Uniti non avrebbe mai accettato che un personaggio così compromesso con il regime nazista entrasse a far parte del governo.
Comunque la denazificazione dell’economia e della società tedesca venne di fatto accantonata. Il senatore Kilgore in quei giorni convulsi dichiarò: “In Italia, ho sentito da alcuni ufficiali dell’esercito americano deplorare il fatto che i partigiani abbiano ucciso molti manager fedeli al Fascismo, il che ha reso molto difficile la riorganizzazione della capacità produttiva italiana. In Germania non c’è stata alcuna rivolta partigiana. La gerarchia industriale nazista è rimasta intatta.”
Così Hermann Abs potè continuare a esercitare indisturbato la sua attività di banchiere fino al 1967, quando fu nominato presidente onorario della Deutsche Bank. Rockfeller negli anni settanta lo definì “il più grande banchiere al mondo” e la definitiva consacrazione avvenne quando il Vaticano, nel 1982, gli chiese di fare parte della commissione incaricata di fare chiarezza sul crack del Banco Ambrosiano. Da banchiere di Auschwitz a banchiere di Dio, dunque: per un fervente cattolico qual era Abs dev’essere stata una soddisfazione non da poco.
Gli americani, però, non dimenticarono mai il suo passato e nel 1983 lo inserirono nella lista delle persone indesiderate negli Stati Uniti, cioè quelle persone alle quali viene negato il rilascio del visto d’ingresso per alcune ragioni specifiche, la più rilevante delle quali, nel caso di Abs, era la “turpitudine morale dimostrata dalla sua attiva partecipazione nella persecuzione degli ebrei da parte della Germania Nazista e dei suoi alleati.”
Il divieto venne ribadito nel 1990 e rimase in vigore fino alla morte di Abs, nel 1994. (continua)