Con l’espansione militare del Terzo Reich aumentarono le possibilità per le due maggiori banche tedesche di concludere buoni affari. Nonostante le iniziali resistenze da parte austriaca, nel 1942 fu concesso alla Deutsche Bank di acquistare la quota di maggioranza nella più grande banca del paese, la Creditanstalt, dopo aver detenuto per oltre tre anni quote di minoranza. Nel caso della Cecoslovacchia il governo tedesco insistette fin dall’inizio perché la Deutsche Bank e la Dresdner Bank rilevassero le banche ceche, in particolare quelle con la clientela di lingua tedesca.
Le banche dovevano essere le messaggere del Nuovo Ordine Tedesco: un funzionario della Deutsche Bank si recò a Praga due giorni prima dell’invasione per negoziare il futuro bancario della Cecoslovacchia. In questo modo, l’istituto fu in grado di gestire “l’arianizzazione” dei paesi occupati, guadagnando la fiducia e la cooperazione degli industriali tedeschi, avidi di investimenti a buon mercato nell’Europa dell’Est.
La Creditanstalt era la più famosa banca di investimenti austriaca, con partecipazioni azionarie in molte aziende del settore siderurgico. Fondata nel 1855 dai Rotschild, acquisì risonanza internazionale nel 1931, quando il suo fallimento provocò una crisi bancaria e finanziaria in tutta l’Europa centrale, con ripercussioni anche in Germania.
La banca, oltre a possedere quote delle principali aziende austriache, aveva una fitta ragnatela di contatti negli ex territori dell’Impero Asburgico, in Ungheria e nei Balcani. Per la banca berlinese, l’acquisizione della Creditanstalt sarebbe stato l’inizio di un percorso di espansione nelle aree d’Europa soggette alla pressione politica ed economica tedesca.
Subito dopo l’acquisto, le maggiori partecipazioni industriali della banca vennero vendute all’azienda pubblica Reichwerke “Hermann Goring”, che acquisì così industrie strategiche nel settore della carta, delle costruzioni, della siderurgia, degli armamenti e del commercio.
La riorganizzazione della vita economica austriaca fu veloce e brutale: venne istituita una “tassa di arianizzazione” per costringere gli ebrei a vendere le loro imprese, ma i proprietari non ricevettero quasi alcun compenso. In totale, furono più le attività costrette a chiudere di quelle rilevate: su un totale di 13.046 imprese artigiane, di cui 12.550 solo a Vienna, 11.357 chiusero i battenti mentre 1.689 vennero “arianizzate”. Le imprese commerciali, invece, erano 10.992 (7.900 a Vienna): 9.112 furono chiuse e 1.870 trasferite a proprietari “ariani”.
La Creditanstalt svolse un ruolo significativo in questo processo: inventariò tutti i beni posseduti da cittadini ebrei depositati nei propri conti correnti e nelle cassette di sicurezza, erogò prestiti agevolati alle aziende “arianizzate” e intervenne per confiscare le quote azionarie in mano ad ebrei e trasferirle in mani più “pure”, cioè di religione cristiana. Prima della vendita veniva nominato dallo Stato una sorta di curatore fallimentare incaricato di esprimere una valutazione generale che tenesse conto dell’inventario dei beni e dei costi necessari all’avvio dell’attività: di solito una delle motivazioni addotte per far abbassare il prezzo d’acquisto era “che un’azienda non-ariana non avrebbe potuto prendere parte alla ripresa economica” e quindi andava svenduta.
In seguito all’invasione della Cecoslovacchia il governo nazista intraprese una riorganizzazione complessiva dei rapporti di proprietà al fine di integrare la regione della Boemia-Moravia all’interno dell’economia bellica tedesca. Dopo l’annessione dei Sudeti, Deutsche Bank rilevò le filiali della Bohmische Union-Bank (BUB), una banca con una clientela prevalentemente di lingua tedesca che possedeva partecipazioni azionarie in molte grosse aziende della regione. Il problema era che la BUB era considerata una banca “ebraica” da parte delle autorità naziste, sia per la composizione degli azionisti che per la quota di ebrei presenti tra i dipendenti.
Il nuovo manager nominato dalla Deutsche Bank, Walther Pohle, era un protetto della Gestapo e come primo atto licenziò immediatamente tutti i dirigenti e i direttori di filiale ebrei. I 18 membri del consiglio dei supervisori si dimisero in blocco per protesta. Il direttore generale appena licenziato fu arrestato dalla polizia tedesca e morì in carcere, presumibilmente per essersi suicidato.
Il personale epurato fu rimpiazzato da funzionari della Deutsche Bank provenienti dalla Germania, così che Pohle potè annunciare trionfalmente al consiglio supremo delle SS “le dimissioni di tutti i membri non-ariani della banca”.
Il 5 luglio 1939 finalmente il Ministero dell’Economia del Reich garantì alla BUB un “certificato di arianità” che le permise di iniziare ad operare.
Il nuovo management, nonostante il certificato di purezza razziale che avrebbe dovuto attestarne anche la moralità, fece subito figurare nel bilancio abbondanti perdite, in modo da poter richiedere e ottenere dei sussidi dallo Stato.
In effetti i profitti della banca andarono male durante i primi due-tre anni e cominciarono a crescere solo nel 1943: la principale fonte di guadagno derivò dalla partecipazione alla riorganizzazione dell’economia del Centro Europa.
Il 27 settembre 1941, il maggiore delle SS Reinhard Heydrich assunse il ruolo di “Reich protector in Boemia-Moravia”. Il 24 novembre ebbe luogo la prima deportazione di ebrei verso il ghetto di Therensiestadt, un campo di transito vicino al confine con la Polonia nel quale le condizioni di vita degli internati erano abbastanza buone, ma non certo per ragioni umanitarie: il campo era stato creato da Adolf Eichmann con lo scopo di occultare la realtà dei campi di sterminio, ai quali venivano avviati i detenuti di Therensiestadt dopo un breve periodo di permanenza che serviva ad illuderli sulla loro sorte. Il 9 gennaio del 1942, infatti, iniziarono le deportazioni verso est, in particolare verso Auschwitz.
Le deportazioni avevano delle notevoli implicazioni finanziarie: alle banche come la BUB veniva fornita una lista numerata dei loro clienti, preparata dall'”Ufficio Centrale per la sistemazione della questione ebraica in Boemia e Moravia”. In quelle liste, agli ebrei venivano assegnati dei numeri di registrazione particolari con lo scopo di identificarli. Le banche ricevevano istruzioni di non intraprendere alcuna azione sui loro conti correnti fino a quando una seconda cifra non veniva associata al nome: il numero segnalava l’avvenuta deportazione. A questo punto il conto corrente veniva svuotato e il suo contenuto trasferito in un fondo speciale, destinato ad accogliere i ricavi del processo di “arianizzazione”.
Nel novembre del 1943 il totale del deposito delle vittime di Therensienstadt ammontava a circa 360 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti altri 400 milioni di euro appartenenti a ebrei “resettled” [uccisi].
L’Olocausto era divenuto la principale fonte di entrate della banca boema. Verso la fine della guerra, quando Praga stava per essere liberata, i vertici della BUB trasferirono quasi tutti i beni e i titoli presenti sul fondo dei deportati in Germania. Questi beni furono inventariati nel 1957, quando la Deutsche Bank fu riorganizzata come un singolo istituto dopo essere stata temporaneamente divisa in tre tronconi dalle potenze vincitrici, ma non furono utilizzati per risarcire i vecchi proprietari dei conti sopravvissuti allo sterminio, bensì per pagare le pensioni ai dipendenti della banca.
Non mi capita mai di fare commenti sui blog che leggo, ma in questo caso faccio un’eccezione, perch