Il 1938 segnò un cambio di passo nelle persecuzioni antiebraiche. Tra il 9 e il 10 novembre, nella cosiddetta Notte dei Cristalli, i nazisti lanciarono un pogrom violentissimo che portò alla distruzione di oltre 7500 negozi e alla devastazione e all’incendio di quasi tutte le sinagoghe della Germania. La polizia ricevette l’ordine di non intervenire e i vigili del fuoco fecero attenzione solo a che il fuoco non si trasmettesse agli edifici vicini. Gli squadristi ebbero via libera: il numero delle vittime decedute in seguito ai pestaggi fu di varie centinaia, senza contare i suicidi. Circa 30.000 ebrei vennero deportati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenshausen.
In tale occasione il Ministro della Propaganda Joseph Goebbels trascrisse nel suo diario una conversazione avuta con Hitler: “Il Fuhrer desidera prendere misure molto dure contro gli ebrei. Devono rimettere in piedi i loro negozi da soli. Le compagnie di assicurazione non pagheranno un soldo. Dopodiche il Fuhrer vuole gradualmente espropriare le imprese ebraiche, pagandole con titoli di stato che potremo rendere nulli in qualsiasi momento.”
Il giorno successivo Hermann Goring, numero due del regime, in un discorso di fronte a un’assemblea di capi sezione del partito, manifestò la chiara intenzione del regime nazista di gestire i profitti del processo di “arianizzazione” al fine di finanziare lo sforzo bellico: “E’ sottinteso che un controllo sulle arianizzazioni passate e future può essere imposto in qualsiasi momento. E’ altrettanto sottinteso che i casi particolarmente importanti di arianizzazione o almeno le negoziazioni più rilevanti fin dall’inizio saranno effettuate al vertice, così che ogni possibile controllo garantisca che i benefici vadano realmente al Reich.”
Mentre il numero di attività “non-ariane” messe in vendita aumentava costantemente, la gente si lasciava andare, anche in pieno giorno, a saccheggi di abitazioni e negozi “ebraici”: ad Amburgo, la villa di un ricco commerciante venne svuotata di tutto e gli oggetti furono posti immediatamente all’asta sulla pubblica via. Per gettare benzina sul fuoco il governo emise l’Ordinanza sull’Esclusione degli Ebrei dalla Vita Economica Tedesca, che impediva a ogni cittadino ebreo di gestire negozi o di amministrare imprese e che autorizzava ogni imprenditore a licenziare un dipendente ebreo senza dover temere alcuna conseguenza sul piano giuridico. La misura fu aggravata dall’imposizione di una tassa aggiuntiva del 25 per cento sui tutti i beni “ebraici”. Quelli che avessero cercato di portare i loro averi all’estero sarebbero stati perseguiti per legge e se per caso fossero riusciti a emigrare, avrebbero perso automaticamente la nazionalità tedesca e tutti i loro beni sarebbero stati confiscati dallo Stato.
Secondo una stima fatta da un dirigente della banca alla fine degli anni trenta, il valore dei beni immobili posseduti da ebrei in Germania ammontava a circa 8-9 miliardi di marchi. Visto che un Reichmark nel 1939 valeva circa quattro euro del 2008, la cifra ammonterebbe a 30-35 miliardi di euro, ma è probabile che vada ritoccata per eccesso perché le proprietà possedute da “non-ariani” erano ingenti e includevano anche due grandi banche, la Mendelssohn & Co di Berlino e la Simon Hirschland di Essen, (che la Deutsche Bank riuscì ad assorbire nonostante l’opposizione del governo), svariate banche minori, grandi aziende minerarie con relativi possedimenti, case editrici, fabbriche di ceramiche e di porcellana, più una miriade di negozi e piccole imprese.
Quello che è certo è che la prospettiva di incamerare tali beni suscitò una feroce competizione tra le due principali banche private, la Dresdner Bank e la Deutsche Bank, che spinte dall’avidità tentarono di inserirsi nel processo di “arianizzazione” per impedire che tutte le ricchezze venissero incamerate dallo Stato.
Già nell’agosto del 1937, la Deutsche Bank aveva chiesto a tutte le filiali di riferire i casi di aziende “non ariane” che avessero un’elevata posizione debitoria, in modo da poter spingere facilmente i proprietari a vendere. Nel 1938 questi sforzi vennero sistematizzati. In una lettera del 4 gennaio, inviata dal Cda della banca ai direttori delle filiali, si chiedeva di stilare una lista di tutta la clientela “non ariana”: “Recentemente abbiamo avuto numerose discussioni con voi circa il fatto di intrattenere rapporti d’affari con committenti non-ariani, e vi abbiamo detto solo pochi giorni fa come vediamo il futuro sviluppo di questo tipo di azienda. In seguito abbiamo avuto notizia da parte vostra che siete in costante contatto con tali imprese e che avete offerto loro i vostri servizi, o intendete offrire i vostri servizi in connessione con l’arianizzazione. […] L’obiettivo della lista che vi chiediamo è quello di metterci in grado di considerare se […] possiamo aiutarvi nei vostri sforzi, benché noi siamo consapevoli che, nell’immediato, le negoziazioni vadano condotte da voi stessi.[…] In questo senso, noi siamo interessati in quelle aziende non-ariane di dimensioni maggiori presenti sul vostro territorio che non sono vostre clienti ma sono lo stesso potenziali candidate per l’arianizzazione, siano esse imprese private oppure società per azioni […]così da essere in grado di offrire i nostri servizi nel caso di un possibile trasferimento.”
L’obiettivo principale era trovare dei compratori per le aziende in vendita, possibilmente facendo in modo che non si scatenassero delle aste per quelle più ambite: questa ricerca divenne una vera e propria attività specializzata che le banche condussero cercando di promuovere un processo di concentrazione industriale, perché dopo la vendita avrebbero sostenuto il rilancio dell’impresa collocando sul mercato eventuali prestiti. La “caccia” ai possibili compratori, dunque, si rivelava un modo per incrementare il parco clienti della banca.
Nei casi in cui si realizzò una stretta collaborazione Stato-banche l’intero processo divenne ancora più efficiente. Il direttore della regione della Saar-Palatinato della Deutsche Bank, il giorno dopo la Notte dei Cristalli scriveva: “Da questa sera tutti i beni di proprietà di ebrei nel distretto amministrativo verrano trasferiti a questa compagnia (Saar-Palatinate Asset Realization Company), la procedura usuale è che il proprietario ebreo irrevocabilmente autorizzi la compagnia ad amministrare i suoi beni e a trasferirli in mani ariane; […] La compagnia effettuerà velocemente la vendita dei beni ad essa trasferiti, mentre le banche ad essa collegate potranno offrire crediti ai compratori.”
La Deutsche Bank compilò una lista di 700 imprese delle quali 200 furono vendute entro il luglio e altre 260 entro la fine di Agosto 1938. L’istituto di credito fu particolarmente attivo in settori quali il tessile e tabacco, entrambi fortemente dipendenti dall’importazione di materie prime da paesi esteri nei quali la banca aveva forti interessi, vista la sua vocazione originaria di finanziatrice del commercio internazionale. Come già detto, l’acquisizione di due grandi banche riuscì nonostante l’opposizione del governo nazista, che non voleva che la Deutsche Bank acquisisse troppo potere rispetto alla concorrente Dresdner Bank, che aveva legami privilegiati con esponenti del regime e con la Gestapo. Tra gli acquisti ci furono anche molte banche minori, aziende del settore minerario-carbonifero con proprietà nell’Europa Centrale e una casa editrice, la cui “arianizzazione” si rivelò particolarmente ambita dai vertici del Partito NazionalSocialista, vista l’importanza accordata dal regime alla propaganda.
Nella bozza di una lettera conservata negli archivi dell’istituto, risalente a questo periodo, si legge:”Al fine di creare un definitivo stato di pace nell’economia prima possibile, le autorità del Reich stanno discutendo l’idea di una completa soluzione del problema non ariano nell’economia.” (continua)
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