Ho pescato per caso questo libro in un autogrill, diretto verso un fine settimana di relax in riva al mare, sperando di garantirmi alcune ore di piacevole lettura sdraiato sotto l’ombrellone. Ho dovuto constatare, con sorpresa, che “101 modi per liberarti dagli stronzi e trovare soddisfazione sul lavoro” non è solamente piacevole, ma tratta in maniera approfondita ed esauriente le difficoltà che insorgono in un ambiente lavorativo a intrattenere rapporti umani, ogniqualvolta si affaccia all’orizzonte qualcuno che ha la ferma intenzione di avvelenarli con il proprio comportamento di stampo teppistico.
Luca Stanchieri è uno psicologo che svolge da vent’anni attività di consulente e formatore verso aziende e organizzazioni in generale, sia del settore pubblico che di quello privato. In questo volume, edito da Newton Compton, ha raccolto 101 casi di disagio lavorativo tratti dalla sua esperienza personale, maturata a contatto con un’ampia gamma di professioni (dai medici agli insegnanti, dagli agenti di commercio agli informatici, dagli imprenditori agli infermieri, fino ai telefonisti, ai consulenti della formazione e persino ai disoccupati) e di ambienti di lavoro (ospedali, scuole, aeroporti, beauty farm, agenzie immobiliari etc…).
Il filo conduttore dei casi narrati è come fare fronte al deterioramento dei rapporti umani quando siamo costretti a convivere per diverse ore al giorno con persone che non abbiamo scelto: “Il capo stronzo rende la vita impossibile, il cliente stronzo ti rovina la giornata, il collega stronzo ti irrita;[…] Supponenza, diffidenza, controllo, aggressività, invasività, presunzione, arroganza e, perché no, idiozia: la stronzaggine è un fenomeno relazionale che sembra avere il proprio luogo di elezione nel posto di lavoro. Questo libro si pone l’obiettivo di riconoscere e riassumere gli atteggiamenti e i comportamenti tipici di questa categoria e offrire mezzi di tutela e difesa.”
Un manuale di autodifesa da coloro che tentano di avvelenarci la vita mentre svolgiamo l’attività essenziale per vivere, introducendo stress, tensione e aggressività al solo scopo di rompere l’armonia delle relazioni, rendendo immensamente frustrante lo svolgimento delle mansioni che ci consentono di guadagnarci il necessario.
Lo Stronzo Infinito, o SI, si può annidare ovunque: può essere un collega, un manager o un consulente esterno, oppure qualcuno capace di proporsi in maniera accattivante per conquistare la nostra simpatia e la nostra fiducia, ma con l’intenzione, sempre e comunque, di “intervenire nelle relazioni sociali in modo da creare profondo malessere e insoddisfazione alle proprie vittime.” Spesso riuscendoci, purtroppo, perché il lavoratore coscienzioso che pensa solo a svolgere al meglio il proprio lavoro per trarne la maggior soddisfazione possibile, oltre che lo stipendio, una volta che viene “toccato” dalla bacchetta magica (in senso inverso) dell’SI finisce inevitabilmente per cadere nella sua spirale di negatività, guastandosi così l’esistenza.
Ci sono naturalmente alcuni accorgimenti per evitare le trappole tese da coloro che spesso riversano nell’ambiente di lavoro il bagaglio di fallimenti e delusioni della propria vita privata, la cui personalità è segnata spesso da carenze sul piano psicologico e affettivo. Il libro ne è pieno e anche se parecchi di questi accorgimenti sembrano solo dettati dal buon senso (tentare di dare un senso positivo alle attività che si svolgono, coalizzarsi con gli altri colleghi per fare fronte al “nemico” comune etc…) chi ha sperimentato il disagio generato da un SI sa bene quanto sia difficile applicarli e quanta fatica costi sottrarsi allo stress indotto da questo genere di persone, che ci costringono a sottrarre energie che dedicheremmo volentieri al lavoro e alla vita organizzativa.
L’importante è non farsi prendere dal pessimismo, cercare di cogliere comunque le opportunità che ci si presentano e non cedere alla tentazione di scontrarci apertamente con l’SI di turno, perché anche mandandolo a quel paese come si merita finiremmo per liberare una carica di energia negativa che si spanderà per tutto l’ambiente, peggiorando la situazione (in certi casi è comunque inevitabile farlo).
Il lavoro è una necessità e svolgerlo al meglio può comportare delle gratificazioni molto piacevoli, purché ci si sforzi di mantenerlo inquadrato in un contesto nel quale esso rappresenta solo una delle componenti che contribuiscono alla nostra felicità generale. Ciò che non si deve fare è trasformarlo in una sorta di religione, nella quale gli adepti sono dei fanatici aspiranti al martirio che rinunciano alla propria vita privata non perché siano più bravi e volenterosi degli altri ma perché, semplicemente, sono incapaci di coltivare affetti, passioni e rispetto per se stessi. Chi rinuncia alla propria vita per il lavoro lo fa solo perché la vita privata è troppo avara di soddisfazioni per dedicarvisi e tenta di affogare l’infelicità annullandosi nello stress lavorativo.