Nell’Antico Egitto i gatti erano considerati animali sacri, con proprietà e caratteristiche che li rendevano del tutto simili alle divinità mitologiche. Se ne veniva ucciso uno, anche accidentalmente, il responsabile doveva essere punito con la morte. In caso di incendio, il gatto doveva essere messo in salvo prima di ogni membro della famiglia e degli oggetti che si trovavano nella casa. Quando un gatto moriva, per le persone ad esso legate cominciava un lungo periodo di lutto e siccome gli Egizi credevano che anche per i felini esistesse l’aldilà, li mummificavano e li seppellivano con tanto di funerale, assieme al cibo necessario a sopravvivere alla traversata verso il mondo dei morti.
Per gli antichi Egizi il gatto era associato, tra l’altro, al culto di Iside, la dea che aveva il proprio regno nella notte, che è il tempo del riposo per gli esseri umani e dell’azione per gli animali, quando la natura si anima di presenze e di movimenti misteriosi e segreti, legati al culto della fertilità e della dea madre. Con l’avvento del cristianesimo, però, le cose cambiarono: i culti pagani vennero cancellati o addirittura estirpati, nei casi in cui non fu possibile assimilarli. Molti antichi dei divennero demoni, creature maligne da combattere, Iside per prima. E il gatto nero, suo tradizionale alleato notturno, seguì lo stesso destino, diventando nell’immaginario popolare un essere maligno e pericoloso, addirittura menagramo, fino a essere bruciato assieme alle streghe, nel Medio Evo.
Beatrice Nefertiti, lo si intuisce anche dal nome d’arte, condivide per i gatti la stessa passione spinta fino all’adorazione sacrale che era propria degli Antichi Egizi. Per esaltare le qualità dei felini ha scritto un libro di racconti intitolato “La gatteria di Piazza delle Erbe”, edito da Anguana Edizioni, che narra le vicende di due comunità di gatti: un gruppo di “regolari”, cioè risiedenti presso famiglie, che si ritrovano però nella piazza, all’ombra dei tigli o sotto i banchi del mercato di frutta e verdura, e un secondo gruppo di randagi che hanno eletto a loro rifugio un giardino chiuso al pubblico nei pressi del palazzo della Prefettura. Tra tutti i felini, di varia indole, lignaggio e provenienza, spicca Merlino, il gatto samurai, che un giorno fa la conoscenza di una signora triste e dimessa, sposata ad un marito altrettanto triste e dimesso. Incuriosito dalla pietosa condizione dei due umani, Merlino cerca di capire che cosa li abbia ridotti in quella condizione e sente così pronunciare per la prima volta la parola “lavoro”. Così una mattina Merlino segue la poveretta e scopre il luogo nel quale trascorre le sue giornate: un palazzo dove “nei secoli, tante persone sono state prigioniere, hanno subito torture, sono morte”. Insomma un luogo di pena e di dolore per la nostra sventurata che viene vessata in continuazione dai suoi superiori che la vogliono costringere ad andarsene, cosa che lei non può fare perché le hanno spostato a tradimento in avanti l’età della pensione e se molla quel lavoro, muore di fame. Il gatto samurai parla della triste sorte della loro amica agli altri gatti e tutti insieme decidono di aiutarla, ordendo raffinate trame per punire i suoi aguzzini. Ne nascono una serie di avventure rocambolesche nel corso delle quali i generosi gatti di Piazza delle Erbe riescono a infliggere una serie di clamorosi rovesci agli umani che lavorano nel “palazzaccio”, liberando finalmente la loro amica umana dall’oppressione e dandole così soddisfazione delle tante umiliazioni subite.
La Gatteria di Piazza delle Erbe è un’opera tenera e dolce, piena di ironia e di affetto per il mondo dei felini, un mondo trattato a volte con disprezzo da esseri umani che hanno perso il senso e la considerazione per i valori fondamentali dell’esistenza, afflitti e ingrigiti come sono da una realtà lavorativa piatta e disumanizzante, nella quale credono di trovare la loro realizzazione e che, al contrario, finisce solo per spossessarli dei loro istinti vitali. Così, a volte è bello chiudere gli occhi e credere di esser parte di una comunità di gatti che crede ancora nella fiducia e nell’affetto per gli altri, con la convinzione che insieme si possa affrontare qualsiasi pericolo, superare ogni ostacolo e che sia possibile condividere sentimenti di fratellanza e di solidarietà senza timore di essere traditi o pugnalati alle spalle.
bellissimo!
grazie! in realtà è l’autrice del libro a essere molto brava: sa toccare le corde giuste con molta semplicità e molta grazia