Non sono un’amante dei gatti; da bambina avevo un micio: lo infastidivo e stressavo con i miei goffi modi di treenne e lui reagiva graffiandomi, o meglio, come dicevo io, pungendomi. Gigetto era bianco e tigrato, con gli occhi verdi e un animo indomito. Negli anni, in villeggiatura, molti altri gatti hanno vissuto nel nostro giardino, ma con nessuno di loro ho sviluppato un rapporto empatico e totalizzante come con il mio amato e compianto semi-labrador o con l’attuale luce degli occhi dei miei genitori, il buffo cane giallo che risponde al nome di Nando. Non sono un’appassionata di felini: sono più un tipo da canucci, con i loro musi seri e affabili, la loro andatura dinoccolata, il lampo di comprensione che li attraversa nel momento in cui riescono a rispondere a una richiesta del padrone, l’amore assoluto e privo di sfumature, compatto, incondizionato che riversano sul loro umano. Non mi piacciono molto, i quadrupedi baffuti. Ma invece.
Ma invece domenica mattina sono dovuta andare in farmacia; mi serviva un termometro, in quella sotto casa non l’avevano. Ho preso la macchina, ho fatto i miei giri. Piovigginava. Sono tornata indietro, mi sono data una pacca virtuale sulla spalla quando ho scoperto che c’era posto sotto casa, evento di assoluta rarità. Sono scesa, mi sono avviata al portone, ho sentito ‘mio’. Mi sono girata e loro erano lì: cinque micetti in uno scatolo. Microscopici, con gli occhi chiusi, il cordone ombelicale ancora attaccato. Pigolavano e si agitavano, infreddoliti, terrorizzati. Sembravano, per forma e dimensioni, dei topini: con i musetti affilati e le codine sottili, umidi e sconvolti. Li ho portati a casa, ho provato ad accudirli: con difficoltà e profondo senso di inadeguatezza e una dose eccessiva di ansia, lo ammetto. Loro erano minuscoli, nati nella notte o la mattina stessa: a rischio di ipoglicemia e ipotermia, da nutrire giorno e notte ogni due ore, cercando un giusto equilibrio tra sfamarli e svegliarli, tenerli al caldo e massaggiarli. Abbiamo passato cinquanta ore a somministrare biberon di latte e scaldare bottiglie, con (poco) aiuto e molti tentativi andati a vuoto. Alla fine abbiamo trovato una ragazza che ha adottato due mici e una balia che ha accettato di occuparsi degli altri. A meno di una settimana dalla loro nascita, i gattini sono rimasti in due. Uno si chiama George e ha una famiglia che lo sta accudendo; per il nome del secondo siamo ancora in trattative. Se sopravviverà, sarà nostro: un piccolo tigrotto da viziare. Non so cosa succederà, i rischi sono tantissimi: posso solo sperare, incrociare le dita, mandare pensieri positivi, aspettare.
In bocca al lupo, gattini: le vostre mamme vi amano.
Fallo crescere con Nando, saranno una meraviglia insieme!
purtroppo i gattini sono morti tutti…